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 2009  dicembre 13 Domenica calendario

La prima della Scala ha riproposto – credo – il problema numero uno della lirica oggi (a parte, ma non del tutto, quello economico)

La prima della Scala ha riproposto – credo – il problema numero uno della lirica oggi (a parte, ma non del tutto, quello economico). Cioè la insanabile frattura tra la fedeltà assoluta all’autore nella parte musicale e l’assoluto arbitrio nella parte scenica. Ne risulta una stridente e intollerabile incongruenza tra ciò che si ascolta e ciò che si vede. Coerenza imporrebbe che, se si vuole ripensare e attualizzare l’azione, si ripensino e si attualizzino anche le parole e la musica. Altrimenti è pura schizofrenia. Non le sembra? Paolo Scappucci scappucci@hotmail.it Caro Scappucci, Mi chiedevo come ri­spondere alla sua let­tera quando ho ap­preso che negli scorsi giorni è andata in scena all’Opera di Amsterdam una nuova edi­zione della «Fanciulla del West» di Giacomo Puccini. L’opera fu commissionata dal Metropolitan di New York (dove venne rappresen­tata per la prima volta nel 1910) ed è ispirata dalla feb­brile caccia all’oro che esplo­se in California verso la metà dell’Ottocento. Ma nella re­gia di Nikolaus L ehnhof f con le scene di Raimund Bauer, l’azione si svolge in uno squallido cimitero delle auto­mobili, in una roulotte e in un bar frequentato da mina­tori in giacche di cuoio che ri­corda, secondo un articolo di George Loomis per il New York Times , un ritrovo per omosessuali. Al Corriere vi sono perso­ne, a cominciare da Paolo Isotta, che possono risponde­re alla sua lettera con maggio­re competenza. Come spetta­tore dilettante le dirò soltan­to che i suoi argomenti mi pa­iono molto convincenti. Vi sono state nel mondo del me­lodramma, soprattutto in questi ultimi anni, due ten­denze di segno radicalmente opposto. Da un lato gli sparti­ti e i libretti sono trattati con un rigoroso scrupolo filologi­co e sono divenuti, per quan­to possibile, intoccabili. Dal­l’altro i registi, invece, hanno il diritto di sbizzarrirsi sfrena­tamente inventando rappre­sentazioni che non hanno al­cun rapporto con il contesto originale dell’opera e le inten­zioni del compositore. Uno dei casi più clamorosi fu la rappresentazione dell’«Ido­meneo re di Creta» sulla sce­na del Deutsche Oper Haus di Berlino alla fine del 2006. L’opera di Mozart racconta l’amore di una principessa troiana e dell’erede al trono di Creta dopo la fine della guerra di Troia, e mette in scena, nel terzo atto, un sacri­ficio umano che viene fortu­natamente sventato. Ma nel­la regia di Hans Neuenf els, la rinuncia al sacrificio viene preceduta da una scena in cui Idomeneo apre un sacco da cui escono le teste recise di Nettuno, Gesù, Buddha e Maometto. Dopo molte pole­miche e proteste, soprattutto della comunità musulmana, l’opera fu dapprima vietata in settembre per ragioni d’or­dine pubblico, poi rappresen­tata integralmente in dicem­bre. Possono esservi casi in cui la trasposizione di un te­sto teatrale o musicale in un’epoca diversa da quella dell’ambientazione origina­ria, può avere una particolare efficacia. Penso soprattutto a quei drammi storici di Shake­speare che offrono straordi­nari spunti di attualità e in cui i costumi di epoche suc­cessive possono rafforzare l’universalità del messaggio. Ma ho l’impressione che le li­cenze degli ultimi anni, so­prattutto al Festival di Sali­sburgo, siano state troppo numerose. Forse è ora che an­che i registi diano prova di una maggiore fedeltà all’am­bientazione originaria. Paro­le di un dilettante, natural­mente.