Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 11 Venerdì calendario

Quella fila di 9 ore per «iscriversi» al processo Eternit- TORINO – Nelle code c’è la storia degli ultimi trent’anni di morti silenziose

Quella fila di 9 ore per «iscriversi» al processo Eternit- TORINO – Nelle code c’è la storia degli ultimi trent’anni di morti silenziose. Il ban­chetto arancione nell’aula 5 è dedicato alle vittime accertate. Così, davanti agli occhi sfilano i vecchi operai superstiti dell’Eter­nit di Casale Monferrato, qualcuno di loro tossisce, altri si commuovono. Passano i fi­gli del maestro elementare Bertolotti, che dopo una vita passata a insegnare alfabeto e tabelline morì di mesotelioma nel 1978, e fu il primo segnale che «quel male» ammaz­zava anche chi in fabbrica non c’era mai sta­to. A metà del corridoio ci sono i parenti di «Pica», Piercarlo Busto, bancario, fondato­re della squadra di basket, che dopo il lavo­ro andava a correre intorno vicino all’Eter­nit e morì a soli 33 anni, nel 1988. Sua mo­glie trovò il coraggio di affiggere sui muri un cartello funebre nel quale si diceva che «l’inquinamento di amianto lo ha tolto al­l’affetto di chi lo amava», e quel manifesto listato a lutto fu lo sparo nel buio di una città che faticava ancora a capire cosa stava succedendo. C’è la Spoon River di Casale Monferrato, e molto altro ancora in questo primo gior­no del «processo del secolo» fatto solo di attesa. Dall’aula numero 5, sportello con­trassegnato dal talloncino verde, si dipana la fila di coloro che vogliono costituirsi par­te civile. Persone ammalate, o familiari di vittime giunti da ogni parte d’Italia a rac­contare sempre la solita storia. Una fitta sot­to la scapola, i bronchi che vanno male, e capisci che tocca a te. Lunedì prossimo ver­rà pubblicato il terzo rapporto annuale stila­to dal Registro nazionale dei mesoteliomi, e si leggerà che ancora oggi, che non viene più prodotto, in Italia l’amianto uccide tre­mila persone all’anno e ne fa ammalare al­tre 7.000. Ci saranno altri processi, nei pros­simi anni. L’amianto uccide, e annoia. una morte dolorosa, il mesotelioma. Ma silente, a scoppio ritardato. Così la più grande strage «bianca» mai avvenuta in Europa fatica a farsi spazio, ad essere raccontata. E i proces­si, i pochi processi che vengono celebrati, diventano un happening di vittime, dei lo­ro familiari. La sola occasione per dire sia­mo qui, non dimenticateci. Per questo, ieri mattina a Torino sembrava di essere ad una fiera del dolore. Accampati sui prati di fronte al tribunale c’erano i francesi del Nord Pas-de-Calais, della Lorena e di Bor­gogna, con i loro caschi da minatore e i giacconi color arancio che indossavano nel­le cave dove si estraeva l’amianto. C’erano gli svizzeri con lugubri cartelli neri che ri­producevano sagome umane e sopra la fo­to del proprio caro, data di nascita e di mor­te segnata in gesso bianco. In Belgio, il quo­tidiano «La Libre Belgique» ha dedicato la prima pagina al processo di Torino. Titolo: «Il profitto di fronte alla salute». Segue ri­tratto di Raffaele Guariniello: «Il procurato­re ostinato», ed è una definizione piuttosto verosimile. Attilio Manerin, rappresentan­te dell’associazione francese delle vittime da amianto, ha una tesi. «Non importa co­me andrà – dice ”. L’importante è che ci siamo arrivati. Questo è un processo esem­plare, per tutti». Pochi giorni fa è stato inda­gato per omicidio il padrone della Eternit transalpina, il caso di Torino è stato citato come un precedente. L’etichetta secolare deriva dal numero di parti civili, 2.889 se stiamo alle famiglie delle vittime, 2.000 ieri hanno presentato domanda dopo nove ore. Gli imputati sono noti. Lo svizzero e il bel­ga: Stephen Schmideiny, il miliardario con­vertito all’ecologia, e il barone Jean Louis De Cartier de Marchienne. I due ultimi pro­prietari degli stabilimenti italiani di Eter­nit, il fibrocemento inventato nel 1901, per la metà composto di amianto. Sono accusa­ti di aver continuato a produrre anche quando era ormai certo che di quella polve­re si moriva, operai e «civili». A Casale Monferrato, dove c’era lo stabilimento più grande, Eternit era come la Fiat. Ma il pro­cesso che riguarda anche le vittime delle al­tre filiali italiane, Cavagnolo (Torino), Ru­biera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Ogni città è rappresentata da una delegazio­ne e da storie simili, dolore e frustrazione che si sommano. La giornata tanto attesa si è risolta in un lungo esercizio di contabilità. C’era da far quadrare i conti, nomi che vanno depenna­ti da una lista e aggiunti a un’altra, quella arancione. Piero Ferraris ha scoperto di es­sere ammalato nell’aprile scorso, proprio quando stava per cominciare l’udienza pre­liminare. Rina, sua moglie, racconta che nell’ultima settimana si è chiuso nel silen­zio carico di rabbia. Era furioso con il desti­no, con Dio. Non ha più parlato. morto il 12 novembre.