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 2009  ottobre 13 Martedì calendario

CALDERN SPEGNE LA LUCE. E BRANCOLA NEL BUIO


La chiusura per decreto di Luz y Fuerza del Centro, la parastatale elettrica che illumina le case di più di 30 milioni di messicani, quasi un terzo della popolazione, sta provocando un’ondata di proteste di tale intensità e magnitudine che potrebbe spazzare via la già esigua governabilità disponibile.
Approfittando dei festeggiamenti del sabato sera per il trionfo per 4-1 sul Salvador - una vittoria che per il Messico significava il biglietto per i mondiali di calcio del Sudafrica - la polizia federale e l’esercito hanno occupato la sede amministrativa della compagnia nella capitale e una mezza dozzina di centrali negli stati di Messico, Hidalgo, Morelos e Puebla. Tempestiva e autoritaria, giudicata incostituzionale dall’opposizione e dai lavoratori, la liquidazione dell’importante parastatale - la seconda del settore dopo la Comisión Federal de Electricidad, che serve il resto del paese ad eccezione del centro - è considerata un primo passo verso la sua privatizzazione, anche se il governo lo nega e si giustifica con la proverbiale inefficienza e le alte tariffe della compagnia.
Ma non c’è bisogno di scomodare il cadavere di Milton Friedman per vedere che gli ultimi governi messicani hanno seguito pedissequamente la ormai antiquata ricetta neo-liberista: rendere inefficienti e in passivo le imprese statali per poter invocare il toccasana della privatizzazione. In questo caso poi, la mossa del governo Calderón, definita «storica» dal suo partito, il Partido de acción democrática (Pan), è anche una pugnalata alle spalle del Sindicato mexicano de electricistas, uno dei più autorevoli e combattivi del paese (vedi l’articolo qui sotto).
Con un’aperta intromissione nella vita del sindacato, il ministro del lavoro Javier Lozano non ha riconosciuto il nuovo segretario del Sme, Martín Esparza, adducendo con cavilli legali che le elezioni interne del sindacato non erano valide. La politica anti-sindacale del governo, che favorisce solo i sindacati di provata fedeltà e conduce una guerra senza quartiere contro quelli combattivi e realmente autonomi, è il preludio a una riforma dell’intera legislazione del lavoro in senso anti-operaio.
Ai più di quarntamila lavoratori di Luz y Fuerza non resta che scegliere fra un pre-pensionamento che il governo pubblicizza come vantaggioso, la possibilità di essere ricontrattati - ma con meno garanzie e maggior flessibilità - dalla nuova azienda che sorgerà dalle ceneri della vecchia o la prospettiva di una lotta dura e duratura, che comunque è già cominciata.
Già domenica una grande manifestazione spontanea ha radunato migliaia di lavoratori e cittadini davanti al monumento alla Revolución. Con un’assemblea straordinaria, celebrata in piena avenida Insurgentes, il Sindicato Mexicano de Electricistas ha deciso di denunciare ai maggiori organismi internazionali l’attentato perpetrato dal governo Calderón ai diritti dei lavoratori messicani e di sottoporre al Congresso l’illegalità del decreto.
Quest’ultima misura «anticrisi» del governo si somma a una serie di provvedimenti economici e designazioni politiche che sembrano fatte apposta per mettere alla prova la pazienza dei messicani.
Per far fronte al buco del prossimo bilancio - una voragine di più di quaranta miliardi di dollari - provocato dal crollo del prodotto interno lordo, delle esportazioni, del turismo (colpito anche dall’influenza A) e delle rimesse degli emigranti, il governo non ha trovato di meglio che proporre la soppressione di tre ministeri (turismo, riforma agraria e funzione pubblica) e l’istituzione di una nuova imposta del 2% su tutti i beni di consumo, compresi i generi alimentari e le medicine.
Mentre la prima misura manderà a casa, cioè in mezzo alla strada, almeno diecimila burocrati - un danno evidentemente considerato collaterale -, l’incremento mascherato dell’Iva è presentato come una tassa per favorire i poveri: con parte delle risorse raccolte, il governo darà alle famiglie più bisognose un sussidio mensile di circa cinquanta euro. Tutti i partiti, che in un primo momento si erano dichiarati contrari alla nuova imposizione fiscale, stanno ammorbidendo le loro posizioni e non è da escludere un prossimo accordo fra il Pan e il Pri, il Partido revolucionario institucional - l’insetinguibile dinosauro tornato all’offensiva - che potrebbere permettere alla impopolarissima misura di passare, magari con qualche lieve modifica.
Un’altra decisione governativa che sembra fatta apposta per esacerbare gli animi è il ricambio al vertice di tre importanti istituzioni: il ministero dell’agricoltura, la procura generale e Pemex, l’azienda petrolifera di stato. La scelta dei nuovi responsabili ha provocato una valanga di critiche. Il nuovo ministro per l’agricoltura, Francisco Javier Mayorga, aveva già occupato il posto nel governo di Vicente Fox (2000-2006, anche lui del Pan), contribuendo allo strangolamento dei campesinos e alla perdita della sovranità alimentare. Il direttore designato per Pemex, José Suárez Coppel, era già stato proposto da Calderón come consigliere della parastatale e bocciato da tutti i partiti perché troppo compromesso nei tentativi di smantellamento e privatizzazione dell’ente pubblico.
Ma la designazione più offensiva e controcorrente è senza dubbio quella del nuovo procuratore generale della repubblica: Arturo Chávez Chávez è già stato procuratore dello stato di Chihuahua (1996-1998) ed è considerato uno dei maggiori responsabili dell’impunità e dell’incremento dei feminicidios, le sadiche esecuzioni di centinaia di giovani donne a Ciudad Juarez. Già all’epoca, numerose organizzazioni di diritti umani, Amnesty international e la stessa Onu ne chiedevano la destituzione per l’incapacità dimostrata nel combattere una piaga sociale che persiste ancora oggi.
La sua sola menzione ha provocato forti proteste in tutti i settori democratici, non solo messicani. Il gruppo dei verdi europei ha invitato il governo Calderón a riflettere su una nomina così infelice.
«E’ come mettere la volpe a guardia del pollaio», ha detto l’euro-deputato spagnolo Raúl Romeva. Eppure, sfidando l’opposizione nazionale e internazionale, grazie a un accordo sottobanco fra il Pan e il Pri, Arturo Chávez Chávez è riuscito ad ottenere l’approvazione del senato (75 voti contro 27). Dopo l’investitura ufficiale, è dovuto uscire dalla porta posteriore del senato, per evitare le madri delle giovani uccise a Ciudad Juarez, che di fronte all’entrata principale gridavano: «Assassino».