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 2009  ottobre 13 Martedì calendario

ANNO NERO PER LE MELE


Un centesimo al campo, un euro, almeno, sul bancone del supermercato. la storia delle mele coltivate nel Veronese, uno dei maggiori distretti ortofrutticoli d’Italia. L’allarme era scattato già quest’estate, con le pesche che venivano pagate 5 cent al chilo. Ora, per le mele è ancora peggio. E si tratta dell’ennesima puntata di uno sceneggiato da cui dipende la sopravvivenza di centinaia di migliaia di aziende agricole. A prescindere dalle speculazioni che trasformano un prodotto povero, anzi, poverissimo all’origine, in una primizia di stagione quando arriva sulle tavole degli italiani, sono parecchi gli agricoltori a rischiare il fallimento.
I costi dei concimi

Già, perché il costo sulla pianta del frutto più diffuso d’Italia, arriva a 20, a volte 25 centesimi al chilo. Ed è incomprimibile: oltre al diserbo e alla fertilizzazione, indispensabili per ottenere risultati appena accettabili, ci sono poi i fitofarmaci, altrettanto indispensabili per evitare che insetti e parassiti riducano le mele a un groviera prima ancora che arrivino a maturazione. Poi ci sono i costi delle reti antigrandine. E quello per la raccolta. Sommando tutte queste voci sia arriva per lo meno a 20 cent. «Chi ha fatto grossi investimenti è destinato solo a perderci dei gran soldi – spiega a Libero Filippo Moroni, responsabile economico della Coldiretti di Verona – soprattutto con le Golden, la varietà più diffusa dalle nostre parti. In realtà la situazione più che grave è drammatica: sul mercato per questo genere di mela non c’è prezzo. L’unica quotazione certa è quella dell’industria di trasformazione che la acquista per farne succo o puré. E paga esattamente un centesimo al chilo».

Questo vale per i frutti con i calibri inferiori, da 70 a 75 millimetri. Per quelli più grandi le cose cambiano, ma di poco. «Se va tutto bene, i melicoltori più fortunati riescono a strappare 20-22 centesimi – conferma Moroni – ma devono avere prodotti di qualità eccezionale. Comunque i soldi li incasseranno fra alcuni mesi perché grossisti e grande distribuzione prendono i prodotti in ”conto conferimento”: li pagheranno quando avranno incassato a loro volta. E si tratta di tempi molto lunghi, anche 6 o 7 mesi. Le mele, infatti, vengono conservate a lungo nelle celle frigorifere. Così il produttore rischia di vedere i soldi ad aprile, maggio. E non sa bene quanto prenderà».

Sono anni che le quotazioni all’origine calano. Ma quello che si riteneva il minimo assoluto è destinato ad essere corretto al ribasso un anno dopo l’altro. Come sta accadendo in questo maledetto autunno del 2009. Sembravano pochi i 30-32 centesimi del 2008, ma quest’anno i prezzi all’origine sono calati di un ulteriore 50%.

Ma quanto costano al pubblico queste mele che sulla pianta valgono meno della legna di cui sono fatti gli alberi? Come è già accaduto in passato chi scrive ha indossato i panni del casalingo di Voghera. E ha fatto il solito tour dei maggiori supermercati del capoluogo (mancato) dell’Oltrepò pavese. Ecco il risultato.

Le mele Golden, le stesse che all’origine vengono pagate da un centesimo a 22 (si trovano sul bancone dei supermercati ad almeno un euro, nella pezzatura però da 80 a 85 millimetri e con lo sconto del 30% (come accade al Gulliver di Voghera). Ma accade anche di trovarle a 1,69 euro nel calibro di 80-90 millimetri e a 1,43 nella pezzatura da 70 a 80.(Coop).
fino a cento volte

Il prezzo più basso il Casalingo di Voghera lo ha trovato all’Iper di Montebello, un vero e proprio santuario della spesa: 0,90 cent nella varietà però da 70 a 75 millimetri. Quella che facilmente al campo si paga meno di 15 centesimi di euro.

E non è detto neppure che accorciando la filiera produttiva ci siano dei benefici per il consumatore finale. Sempre al Gulliver di Voghera abbiamo trovato le mele Golden (70/75) provenienti dalla Val Curone, in provincia di Alessandria, che dista circa una ventina di chilometri da Voghera. Il cartellino, però parlava un’altra lingua rispetto a quella degli agricoltori: 1,89 euro al chilo. Non conosciamo il prezzo all’origine, ma molto facilmente, trattandosi di un calibro piccolo, non dovrebbe superare i 50 centesimi, anche considerando che in questo spicchio di Pianura padana la frutticoltura è oramai un pallido ricordo.

Insomma il rincaro dal campo alla tavola, va da un massimo di 100 volte a un minimo di 5. Questa è la sorte di un prodotto che all’origine vale meno del legname da bruciare nella stufa, che si paga 12 euro al quintale, dunque 1,20 centesimi al chilo. Ma che di colpo diventa un bene capace di ingrassare i bilanci di intermediari e distribuzione organizzata.