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 2009  ottobre 13 Martedì calendario

Servizi pubblici, la mappa degli sprechi- Rifiuti: a Brescia si pagano 112 euro all’anno, a Roma 276 951 aziende senza concorrenza

Servizi pubblici, la mappa degli sprechi- Rifiuti: a Brescia si pagano 112 euro all’anno, a Roma 276 951 aziende senza concorrenza. Aumenti del 28% in 5 anni A Brescia i rifiuti si bruciano per produrre energia elettrica e calo­re mentre a Roma finiscono qua­si tutti in discarica. Ma basta a spiegare perché i romani pagano per i servizi di igiene urbana due volte e mezzo più dei bresciani? Proprio così: una famiglia di tre persone con un’abitazione di 80 me­tri quadrati spende 276 euro a Roma e 112 a Brescia. Un abisso, spia di una situazione as­surda nella quale si trovano tutti i servi­zi pubblici locali in Italia. Controllati dal­la politica, spesso fonte di sprechi e inef­ficienze, prosperano al riparo della con­correnza. Patologie certamente molto meno gravi al Nord che al Sud, dove la cronaca ci ha consegnato casi incredibili come quello dell’Amia, l’azienda munici­palizzata dei rifiuti di Palermo sprofon­data in una voragine finanziaria così grande (120 milioni di euro) che la pro­cura della Repubblica ne ha chiesto il fal­limento. Comunque diffuse e soprattut­to per nulla a buon mercato. Un dettagliatissimo dossier della Con­fartigianato dimostra che nei cinque an­ni compresi fra il luglio del 2004 e il lu­glio del 2009 le tariffe dei servizi pubbli­ci locali, calcolate escludendo quelle di gas e luce esposte alla volatilità dei prez­zi, sono aumentate in Italia del 28%. Con­siderando una inflazione cumulata del 10,4%, il rincaro reale è stato del 17,6%. Mica male. Tanto più considerando che la crescita del 28% va confrontata con un aumento del 16,8%, cioè oltre 11 punti inferiore, registrato per le stesse tariffe nell’area dell’euro. In cinque anni il co­sto dell’acqua potabile italiana è salito di un terzo: +33,4%. La tassa sui rifiuti è lie­vitata invece del 29,6% mentre i biglietti di autobus e metropolitane sono rincara­ti del 24,6%. Ma quando manca la concorrenza può succedere. E questa è esattamente la situazione nella quale operano le 951 aziende italiane di servizi pubblici loca­li. Occupano 171.464 addetti e nel 2008 hanno fatturato 39,3 miliardi. La gradua­toria per fatturato mette in cima il gas (25,4%), seguito dall’acqua (17,3%), il trasporto pubblico (17,1%), l’energia elettrica (13,4%), poi le farmacie e le ca­se popolari. Enormi sono le differenze fra Nord e Sud. Le imprese settentrionali hanno chiuso il bilancio 2007 con un utile me­dio di 369 mila euro. Quelle meridionali con una perdita media di 251 mila euro. Fra il 2003 e il 2007, al Nord l’utile me­dio per impresa si è accresciuto del 159% mentre al Sud la perdita media si è ampliata del 18,5%. Nello stesso periodo le imprese settentrionali hanno ridotto il costo del lavoro del 5,8%, quelle meri­dionali l’hanno aumentato del 14,6%. Co­me se non bastasse, la paga degli ammi­nistratori è mediamente più alta nel Mezzogiorno. Nelle isole lo stipendio medio di un amministratore delegato raggiunge 73.537 euro, contro 52.716 eu­ro nel Sud «continentale», 40.363 euro al Centro e 44.559 euro al Nord. Senza però, come sarebbe logico, che a retribu­zioni più elevate corrisponda una mag­giore efficienza. Illuminanti sono i numeri di una ta­bella contenuta nel dossier della Confar­tigianato ottenuti incrociando i dati rela­tivi al «costo di cittadinanza» del mini­stero dello Sviluppo con le informazioni dell’Unioncamere. Confrontando il co­sto dei servizi pubblici locali in 14 città, si scopre che la più cara è Cagliari, ma soltanto perché nel capoluogo della Sar­degna c’è un serio problema di approvvi­gionamento del gas. Se si tiene conto di questo fatto, allora è Palermo che batte tutti: 2.581 euro pro capite. All’ultimo posto c’è Trieste, con 2.111 euro, appena al di sotto di Milano e Venezia (2.114) e ben distanziata da Roma (2.345). Diffe­renze apparentemente marginali: fra Pa­lermo e Milano passa il 22%. Ma che di­ventano gigantesche rapportandole alla ricchezza prodotta nelle diverse città. I 2.581 euro di Palermo rappresentano in­fatti il 14,6% del Prodotto interno lordo pro capite dei palermitani, mentre i 2.114 di Milano non sono che il 5,3% del pil pro capite dei milanesi. Ne consegue che a Palermo il costo dei servizi pubbli­ci locali è quasi triplo rispetto a Milano. Il costo pro capite per la sola spazzatura è in Sicilia superiore del 32% a quello del­la Lombardia. Se in Provincia di Trento la raccolta differenziata raggiunge il 56,1% (oltre il doppio di una media na­zionale attestata su un deprimente 27,5%) e in Lombardia è al 44,5%, in Sici­lia non si va oltre il 6,1%. Il Nord ha un tasso di raccolta differenziata del 42,4%, quasi quattro volte quello del Sud ( 11,6%). Dai dati del ministero dei Trasporti e dell’Istat la Confartigianato ricava poi che il costo medio per chilometro per­corso delle società di trasporto pubblico locale oscilla da un minimo di 1,72 euro del Molise a 3,03 per la Toscana, 4,09 per la Lombardia, 4,78 per la Sicilia e ben 7,06 euro della Campania. Regione dove si registrerebbe, sempre secondo queste elaborazioni, la minore percor­renza media annua per autista: 18.920 chilometri, contro 21.830 in Sicilia, 26.418 in Lombardia e 42.624 in Emilia Romagna. E la situazione cambia di po­co anche considerando che a Napoli i mezzi pubblici sono più lenti che a Bolo­gna (12,5 chilometri l’ora contro 15,1). Non può che risentirne il livello di soddi­sfazione della clientela. Generalmente basso secondo l’Istat (nella media nazio­nale si dichiara soddisfatto il 50,9%), per alcuni fattori come la pulizia precipita addirittura. Fra il 2001 e il 2007 il nume­ro di passeggeri che si è dichiarato soddi­sfatto dell’igiene delle vetture è sceso dal 50,8% al 44,1%. Con le solite grandi differenze territoriali. Se nel Nord Est il gradimento si aggira intorno al 60% dei clienti, e in Valle d’Aosta tocca l’83,8%, in Sicilia si ferma al 27,7%. E non va mol­to meglio in Campania, con il 32,9%. Ma gli utenti italiani non sembrano essere particolarmente soddisfatti nem­meno di altri servizi, come quelli del gas e dell’energia elettrica. Ancora sulla base dei dati Istat, il dossier Confartigianato spiega che la soddisfazione per la com­prensibilità della bolletta del gas è scesa fra il 2001 e il 2007 dall’80,3% al 75,2% e quella per la comprensibilità della bollet­ta elettrica è calata dal 76,8% al 72,3%. Il 53,7% delle famiglie, inoltre, segnala dif­ficoltà nell’acceso agli sportelli delle aziende del gas: quota che sale al 56,4% per le aziende dell’elettricità. E veniamo alla illuminazione pubbli­ca. La fondazione Civicum ha analizzato cinque aziende che gestiscono questo servizio in diverse città. Il risultato, rife­rito al 2007, è che la quota di lampade spente varia dallo 0,02% per l’Aem di Mi­lano allo 0,27% per Iride di Torino, allo 0,7% per Acea Napoli, al 5,6% per Asm Brescia, al 6% dell’Acea di Roma. Per l’azienda capitolina si registrava anche il tempo più lungo per la sostituzione del­le lampade spente: 9 giorni e mezzo in media. Nel 2008, infine, le interruzioni di elet­tricità, che avevano segnalato un miglio­ramento negli anni precedenti, sono di nuovo peggiorate toccando in media gli 88 minuti l’anno. Anche in questo caso con grandi differenze. Ai 122 minuti per­si nel Sud fanno riscontro i 72 del Nord e i 65 del Centro. La regione dove si so­no registrate più interruzioni, tuttavia, è settentrionale: il Piemonte, con 201 mi­nuti. Più che in Sicilia (197) e Calabria (132). Blackout che sarebbero costati al­le piccole e medie imprese fatturato per un miliardo e 88 milioni di euro.