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 2009  ottobre 12 Lunedì calendario

SE NON TRATTA COI TALEBAN IL PAKISTAN VA IN PEZZI"


La guerra contro i taleban sta spaccando l’esercito pakistano e potrebbe spaccare lo stesso Pakistan, con minoranza pashtun che torna a guardare al mai sopito sogno di riunirsi con i pashtun al di là del confine, in Afghanistan. Tariq Ali, storico, analista, romanziere, nel 1969 aveva previsto la secessione del Bangladesh, allora inimmaginabile. Ora il collasso del Pakistan è evocato nel suo ultimo saggio «Il duello» (Baldini Castoldi).
Quanto possono incidere gli ultimi attacchi taleban, all’Onu, al quartier generale dell’esercito di Rawalpindi?
«Sono attacchi preventivi. I taleban vogliono dimostrare che sono in grado di colpire il cuore dello Stato. un avvertimento a non andare oltre nell’offensiva nel Nord-Ovest. Il governo sta pianificando l’assalto al Waziristan, la più indipendente tra le province cosiddette tribali. Per i taleban significherebbe guerra totale, cercherebbero di destabilizzare almeno metà del Paese, fino all’Indo».
Quanto è profonda la spaccatura nell’esercito pakistano?
«Non ho dati scientifici, in base alle mie valutazioni, il 50-60% dei soldati, e il 30% degli ufficiali, in questo momento non condivide la politica del governo. Ci sono stati casi in cui i soldati si sono rifiutati di sparare sui militanti».
 una divisione basata su differenze politiche o etniche?
«Ha una base fondamentalmente ideologica. Negli Anni Settanta e Ottanta gli Stati Unit hanno spinto per un’islamizzazione dell’esercito, di coloritura wahabita, in accordo con i sauditi. Hanno riempito le caserme di mullah. Si trattava di contenere l’espansione sovietica in Afghanistan, ma l’islamizzazione è proseguita fino agli Anni Novanta. Ora è difficile cancellare 25 anni di indottrinamento. Musharraf ci ha provato e per poco non è stato assassinato. L’offensiva contro gli islamisti ha provocato un cortocircuito. E l’esercito è l’unica parte dello Stato efficiente».
L’offensiva estiva contro i taleban nella valle dello Swat è stata però efficace.
«Sul piano militare sì, ma sul piano politico è stata un disastro. Anche se qualche villaggio potrà aver tratto sollievo dall’eliminazione degli islamisti più fanatici, in gran parte del Paese si è radicato un odio, un astio, un senso di ribellione contro le politiche imposte dagli Stati Uniti che stanno minacciando l’unità del Paese».
Che probabilità ci sono di una secessione del «Pashtunistan»?
«Per ora molto basse. Ma se per qualche motivo imprevedibile Washington dovesse allentare la sua presa su Afghanistan e Pakistan, le spinte centrifughe sarebbero terribili».
Pensa a un disimpegno dall’Afghanistan?
«Obama ha cambiato il linguaggio, ma non la politica nei confronti di Kabul. I suoi tentennamenti sull’invio dei rinforzi sono però fondati. Voleva spostare il campo di battaglia contro l’antagonismo islamico dall’Iraq all’Afghanistan, ma si è reso conto che i costi sarebbero altissimi. Quello che i suoi generali non dicono in pubblico è che in realtà occorrerebbe mezzo milione di soldati per vincere la guerra. E, aggiungo io, uccidere un milione di civili afghani».
C’è un’altra exit strategy?
«Coinvolgere sul serio Russia, Cina, Iran, e il Pakistan. Sostituire la Nato con una forza realmente internazionale. Costituire a Kabul un governo di unità nazionale dove tutte le etnie, e soprattutto quella pashtun, siano rappresentate. difficilissimo, ma costerebbe meno vite».