Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 12 Lunedì calendario

MOSCA FRENA SULLO SCUDO USA IN UCRAINA


La possibilità che gli Stati Uniti installino un radar in Ucraina, nell’ambito del nuovo progetto di difesa antimissile in funzione anti iraniana, non piace a Mosca, che dopo le iniziali aperture torna a irrigidirsi sull’iniziativa dell’amministrazione Obama. L’ipotesi è «stravagante e decisamente inaspettata», commenta il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, che in attesa di «un sollecito chiarimento» non nasconde le perplessità: «I piani per lo scudo suscitano più domande che risposte». Non apprezza neanche Kiev, dove è in corso una pre campagna elettorale alla quale il presidente filo occidentale Viktor Yushenko affida il suo sempre più incerto destino politico: «La Costituzione non consente la presenza di basi militari sul territorio ucraino», afferma il neo ministro degli Esteri Petro Poroshenko (molto vicino al presidente, padrino di due suoi figli, e uno degli uomini più ricchi del Paese, dove è considerato «il re del cioccolato»).
Dietro la diffidenza del Cremlino ci sono le stesse motivazioni della dura opposizione russa al dispiegamento di sistemi radar e antimissile in Polonia e Repubblica ceca, secondo il progetto iniziale di «scudo» messo a punto dall’amministrazione Bush e scartato da Obama. L’Ucraina, inoltre, chiede da tempo e con insistenza l’adesione alla Nato, insieme alla Georgia appena dichiarata dall’Unione europea «corresponsabile» della guerra con la Russia dell’agosto 2008: un progetto per la verità poco realistico, almeno nel breve periodo, che Mosca considera però una inammissibile intrusione occidentale nel «giardino esterno», come dire lo spazio ex sovietico.
L’irritazione ucraina alla presenza di radar antimissile si colloca invece sullo sfondo di una battaglia politica interna che vede Yushenko sempre più isolato e in difficoltà, di fronte ai possibili avversari alle presidenziali dell’anno prossimo dati per favoriti dai sondaggi: lo storico rivale Viktor Yanukovich, da sempre molto vicino alle posizioni del Cremlino. E Julia Timoshenko, alleata ai tempi della Rivoluzione arancione e oggi primo ministro, ma sempre più lontana dalle posizioni di Yushenko, al quale oppone un marcato e non disinteressato «realismo» nelle turbolente relazioni con la Russia.
I giochi naturalmente sono aperti. Perché il nodo intorno al quale lo scudo americano sta prendendo forma è il dossier nucleare iraniano, su cui è un atto una complessa e incerta partita alla quale Mosca può dare un contributo decisivo. La stessa amministrazione Usa continua a seguire la politica del doppio binario nei confronti di Teheran, nella speranza di costruire un fronte unitario che spinga la Repubblica islamica a rinunciare all’opzione nuclear-militare: fermezza da una parte, disponibilità al dialogo dall’altra. Ieri il segretario di Stato Hillary Clinton ha rilanciato la linea dura: «Non aspetteremo all’infinito la prova che l’Iran rispetta i suoi obblighi internazionali», ha detto dopo un colloquio a Londra con il ministro degli Esteri Miliband.
L’incontro della scorsa settimana a Ginevra fra i rappresentanti iraniano e quelli del «5+1» (i membri del Consiglio di sicurezza più la Germania) è stato «costruttivo» ma «le parole non bastano», ha ammonito Clinton, molto severa sulla condanna a morte di tre partecipanti alle manifestazioni contro Ahmadinejad (anche il ministro Frattini ha chiesto di «fermare le esecuzioni», perché «non ci può essere negoziato globale se oltre al nucleare non si parla di diritti dell’uomo»).
Ma proprio a Ginevra, secondo quando scrive il Washington Post, gli Stati Uniti hanno presentato un piano che prevede la fornitura all’Iran di uranio a medio arricchimento per mantenere in attività un reattore che produce isotopi medici, e consente di curare fino a 10 mila pazienti la settimana. Teheran dovrebbe consegnare a Paesi terzi parte del suo uranio arricchito sotto il 5 per cento perché venga arricchito fino al 20 per cento. Sarà il primo banco di prova delle reali intenzioni iraniane, sostiene l’amministrazione americana: «Se non accetteranno potremo dire ancora una volta ”Non possiamo fidarci di loro”», ha spiegato una fonte ufficiale al quotidiano. Senza contare che «se nessun Paese gli offrisse uranio a medio arricchimento, l’Iran potrebbe affermare di non avere scelta e di essere obbligato a produrlo da sola», avvicinandosi sempre più alla produzione di combustibile utilizzabile per un’atomica. Se ne discuterà a Ginevra il 19 ottobre, ma l’Iran rilancia: «Senza un accordo convincente, arricchiremo l’uranio da soli».