Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 12 Lunedì calendario

LA BATTAGLIA CIVILE DEL PRETE DEGLI OPERAI


Varsavia
DALLE immagini d’archivio dei funerali di don Jerzy Popieluszko, il prete di Solidarnosc sequestrato e ucciso dai comunisti il 19 ottobre 1984, si capisce perché l’impero sovietico era destinato ad avere le ore contate. Il Muro non era ancora caduto ma il processo di sgretolamento era inevitabile. In milioni si riversarono nelle strade a dare l’addio a quel giovane cappellano dall’aspetto malaticcio che predicava con tanta forza libertà e giustizia. Fu la più grande manifestazione di massa religioso-patriottica che precedette gli eventi del 1989. Una figura da rivalutare in questo continente in via di costruzione. Non solo un martire, dunque, ma un eroe civile. A venticinque anni dalla morte, un film di Rafal Wieczynski ne ripercorre le orme, portando in scena l’atmosfera irreale e infuocata di quel periodo. «Popieluszko, non si può uccidere la speranza» è stato scelto per essere l’evento clou al Festival Internazionale del Film di Roma, il prossimo 19 ottobre, anche se nelle sale italiane sarà disponibile solo alla fine del mese. In Polonia la pellicola ha avuto un successo enorme ed è stata vista da un milione e 300 mila spettatori in pochi mesi. Il regista è riuscito ad intrecciare immagini d’archivio, straordinarie per la loro potenza visiva, alle scene di popolo grazie all’utilizzo di 7 mila tra attori e comparse, e quasi un anno di riprese in 14 città. La storia di questo prete, volente o nolente, è il simbolo della rinascita polacca e, in fondo, del processo di unificazione europea. Nato nel 1947 in una famiglia di origini contadine, padre Jerzy fu ordinato prete e inserito dal cardinale Wyszynski, l’allora Primate della Polonia, nel lavoro pastorale di alcune parrocchie. Per una serie di coincidenze si ritrovò suo malgrado a seguire la vita spirituale dei lavoratori, in quei tempi impegnati in durissimi scioperi per difendere i propri diritti. Iniziò così a organizzare corsi, aiutare le famiglie di coloro che erano in carcere, tenere seminari, aiutare gli operai nella non facile attività sindacale, fino a divenire un punto di riferimento per tutti, il cappellano di Solidarnosc, sindacato sostenuto (e finanziato) dalla Chiesa (e da Papa Wojtyla). «Nella sua attività fu capace di riunire intorno all’ideale di libertà e solidarietà uomini e donne di tutte le generazioni e classi sociali, operai metallurgici e infermiere, studenti e artisti» ha spiegato Jan Zaryn, lo storico dell’Istituto Nazionale della Memoria che ha affiancato il regista nella consultazione degli archivi. Don Jerzy diviene un tassello fondamentale per capire come mai sia potuto nascere nel cuore dell’Europa un movimento in grado di fondere in un tutt’uno la resistenza politica a quella spirituale, opponendosi a Mosca e alla repressione di Jaruzelski. Vincere il male col bene era il suo motto evangelico. Il 19 ottobre 1984, tornando da un incontro non tanto lontano da Varsavia, venne sequestrato da tre funzionari del Ministero dell’Interno. Dopo tre giorni di ricerche, durante i quali folle impressionanti si ritrovarono nelle piazze per pregare per lui, in un lago fu ripescato il suo cadavere. Lo trovarono maciullato in volto, orrendamente mutilato, ai piedi avevano legato un sasso. Le circostanze della sua morte non sono mai state chiarite fino in fondo, un giallo avvolge ancora l’identità dei mandanti che, secondo molti, condurrebbe a Mosca. «Forse un giorno, nel fondo di qualche archivio, potrebbe spuntare qualche documento interessante. Per ora si tratta solo di supposizioni, di voci» fa presente il postulatore della causa di beatificazione, padre Gabriel Bartoszewski. «Purtroppo gli archivi del Kgb, dopo il periodo eltsiniano, non sono più disponibili» aggiunge rammaricato Jan Zaryn. Bisognerà avere pazienza. Intanto in attesa che la Chiesa lo proclami beato, un film ne esalta il suo coraggio civile.