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 2009  ottobre 12 Lunedì calendario

Un’équipe italo-francese studia il Dna del fungo più raro, ”ma coltivarlo sarà impossibile” - L’uomo clona con successo le pecore, mescola i geni di lucciole e pomodori e semina mais indistruttibile

Un’équipe italo-francese studia il Dna del fungo più raro, ”ma coltivarlo sarà impossibile” - L’uomo clona con successo le pecore, mescola i geni di lucciole e pomodori e semina mais indistruttibile. Ma con il tartufo bianco è ancora fermo a secoli fa. Non sappiamo bene dove nasca, non siamo in grado di coltivarlo e non possiamo neppure riprodurlo. A portarci da lui è ancora il naso di un cane, che di notte guida il suo padrone ai piedi di questo o quell’albero, lontano da occhi indiscreti. Il profumato mistero di uno strano fungo che cresce sottoterra è ancora intatto, impassibile a ogni evoluzione e saldo su un’unica certezza: quella del palato, oltre a quella del portafogli. Ma sarà sempre così? Pare proprio di no. Nell’era della genomica, quella tecnologia che permette di leggere tutta l’informazione genetica che risiede nel dna di un organismo, anche il genoma del tartufo è oggetto di ricerca. Da due anni, un progetto italo-francese (ma sarebbe più giusto dire franco-italiano, visto che a Parigi hanno potuto contare su finanziamenti ben maggiori dei nostri) sta dando la caccia al dna di quello che Brillat Savarin ha definito come «il diamante di tutti i cibi». Il convegno ad Alba I risultati delle prime indagini e i futuri passi saranno presentati oggi e domani ad Alba, capitale della trifola bianca la cui Fiera è stata inaugurata venerdì dal ministro Luca Zaia, durante un convegno promosso dal Centro nazionale studi tartufo dal titolo «Tutto quello che avreste voluto sapere sul tartufo, ma non avete mai osato chiedere». I ricercatori francesi e italiani, coordinati da Francis Martin dell’Institut National de la Recherche Agronomique di Nancy, hanno iniziato sequenziando il genoma del tartufo nero pregiato, il Tuber melanosporum. «L’indagine - spiega la professoressa Paola Bonfante dell’Università di Torino, responsabile italiana del progetto - ha rivelato che il tartufo nero ha un genoma cospicuo per un fungo. Tuttavia i geni sono veramente pochi, circa 7500, e sono questi che permettono al fungo di crescere nel suolo, di rintracciare la pianta giusta, di associarsi come un manicotto attorno alle radici e poi di aggregarsi a formare il tartufo». L’accoppiamento dei miceli Una vera sorpresa è stata trovare dei geni che controllano il mating, l’accoppiamento: «Anche nei tartufi per arrivare al corpo fruttifero si devono incontrare dei miceli che portano caratteri sessuali opposti. Questa scoperta sarà molto utile per migliorare la conservazione dei terreni vocati, le tartufaie, e per ottenere successo dalla micorrizazione delle piante». Il tartufo è innanzi tutto profumo: a conferma di questo, un numero cospicuo di geni controlla la sintesi di molecole che portano a ben 120 aromi diversi. « stato anche scoperto che le proteine dei tartufi contengono numerose componenti allergeniche, rendendoli tollerabili praticamente da tutti». O perlomeno, da chi è disposto a spendere 350 euro l’etto per il bianco più pregiato, che quest’anno promette un raccolto ottimo e con prezzi leggermente inferiori rispetto alla passata stagione. Il nuovo progetto Proprio il Tuber magnatum Pico, simbolo di Alba, non poteva essere ignorato. Durante l’incontro, il professor Martin presenterà il nuovo progetto di sequenziamento che, in collaborazione con i gruppi di ricerca di Torino e Parma, avrà il compito di capire la differenza tra tartufo bianco e nero. Con la genomica, si arriverà a coltivare il tartufo? « improbabile e in ogni caso non è questo il nostro scopo» dice la professoressa Bonfante. Trifolao e commercianti possono tirare un sospiro di sollievo: ancora per molti anni, le quotazioni del prodotto più misterioso della terra non scenderanno al livello delle patate.