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 2009  settembre 30 Mercoledì calendario

Auto, bici e osterie: turismo e gastronomia fra otto e novecento Il turista straniero in Italia, nel 1872, conosce a malapena la parola osteria e non sa come tradurla

Auto, bici e osterie: turismo e gastronomia fra otto e novecento Il turista straniero in Italia, nel 1872, conosce a malapena la parola osteria e non sa come tradurla. Inglese, francese o tedesco l’ha letta nel Baedecker dove figura nel volume consacrato in lingua francese all’ ”Italia Centrale” con la seguente descrizione "panche di legno, molta sporcizia, vino variabile. Chi vuole cenarvi, faccia provvista di prosciutto, salame, formaggio, dal salumiere". E’ Roma la sola città dove la sosta vi è raccomandata, per una ragione che non ha nulla a che fare con il ristoro. Le osterie sono infatti "il vero teatro della vita popolare". Al Testaccio, di domenica, c’è un pieno di gente che va a divertirsi, e lo spettacolo vale un giro e una sosta con le precauzioni d’uso. "Nelle osterie (cabarets) si beve vino locale buono (da 6 a 10 soldi la foglietta), talora si può avere del pane e del formaggio, o dei piatti caldi (osterie con cucina)". Come sceglierle? E’ presto detto, bisogna dirigersi verso quelle più affollate: lo spettacolo sarà migliore. Il ristoro nella capitale è affidato in prima istanza agli alberghi, quindi alle trattorie, da quelle eleganti, con cucina francese, alle meno care, con piatti romani, piemontesi e "italiani", quindi ai caffè, alle liquorerie, alle birrerie. Altre soste, nelle cantine e nelle mescite non sono raccomandate, i rischi essendo quelli ben noti: la sporcizia e i prezzi fissati in base alla faccia del cliente (ma comunque derisori). Per i piatti tipici il fritto, l’abbacchio e le carni in umido ci pensano le trattorie; solo il vino potrà riservare qualche piacevole sorpresa più in basso. Oltre alle osterie di piazza Colonna, del Pantheon e del Teatro Marcello, ci sono quelle fuori porta. Sono menzionate solo quando figurano nei percorsi come tappe imposte dai trasporti o dal paesaggio. I turisti le incontrano sulla via Appia e ad Ostia antica, come una parte dei siti, sfuggita al lavoro degli archeologi. Allontanandosi dalle zone suburbane, se ne trovano altre, ad intervalli regolari. Sulla strada per Tivoli o su quella per Palestrina, o andando verso Bracciano, le osterie segnalano un bivio, offrono sosta ai carri, forniscono la base per escursioni. In assenza di un albergo raccomandato, i turisti ne devono ignorare i servizi, portando con se la propria colazione. La malaria e le febbri tifoidee sono sicuramente all’origine di questo ostracismo. Un principio di elementare prudenza consiglia dunque l’osteria solo entro le città murate, nei centri dove il visitatore ha già un rifugio, il proprio albergo. Bere in bicchieri sporchi, mangiare in piatti unti, farsi imporre i cibi, domandare l’ubicazione delle latrine che o non esistono, o risultano inaccostabili, sono rischi che i compilatori delle guide non consigliano di correre. Siccome cibo e vino hanno prezzi ridicoli, tanto per vedere, talora si varca una soglia, si guarda fingendo di bere. A Firenze, ne è menzionata una, "il Barile", forse per una particolarità curiosa : vi si domanda un fiasco e si paga in proporzione a quello che si è bevuto. A Venezia, a Milano e in tutte le città sulla linea ferroviaria che le unisce, non ne è indicata, nei Baedecker, una sola. La grande attrazione dell’Italia sono i caffè, con i loro servizi di gelateria, sorbetti e granite, con le misture di cioccolato e di latte. II silenzio calato sulle osterie che pur sono numerosissime, si spiega con una particolarità: l’esistenza della trattoria. Teoricamente può essere l’equivalente del francese "restaurant" o del ristorante italiano, in realtà essa offre un ventaglio assai ampio di servizi e di cibi, ivi compresi quelli discreti e modesti. Da un punto di vista lessicale, anche trattoria sarebbe un francesismo derivato da traiteur (colui che fornisce cibo pronto da asporto), a conferma che l’unico termine autenticamente italiano resta l’osteria, riservata però agli autoctoni. A complicare questa organizzazione dei servizi di conforto, si aggiunge, qua e là, l’offerta ambulante, quel cibo occasionale che fa parte del teatro urbano e popolare. Napoli, naturalmente, è al primo posto, per una distribuzione eteroclita cui fa difetto, nel Baedecker del 1872, la menzione della pizza. E’ la patria dei maccheroni, distribuiti per le vie conditi con cacio piccante, ed un grande mercato di pesce che offre buono, ovunque. A Santa Lucia, il meglio è consumarlo nelle stesse botteghe, dove "volendo studiare il carattere del popolo, ci si deve sedere senza riguardi alla tavola del proprietario". Gli itinerari gastronomici indicati dai Baedecker verranno aggiornati nei decenni seguenti. La gerarchia dei locali rimane la stessa, con alcune integrazioni significative, stimolate da un maggior interesse al commercio del vino e alla cucina locale. Cominciano a diffondersi nelle grandi città le insegne con i termini Toscana e Firenze, grazie ad un abbinamento di cucina e cantina che incontra molto favore. A Milano nel 1886 è raccomandata la Fiaschetteria toscana. Altre due fiaschetterie, sono indicate a Padova nel 1913, di cui una con offerta di "carni fredde". E’ il vino che guida la scoperta di nuovi esercizi: a Napoli, nel 1903, si suggeriscono "alcune mescite dall’organizzazione primitiva, in particolare l’osteria Vincenzo Bifulco vicolo Conte Mola, e da Luigi Trevisan via S. Giacomo 41/43" per il "vino caldo" . Una maggiore sensibilità ai consumi locali, dischiude settori della ristorazione sino ad allora taciuti, iniziando i turisti alle gerarchie gastronomiche apprezzate dagli stessi napoletani: intorno alla città è segnalato il pullulare di trattoriucce di campagna, frequentate, in estate, dalla piccola borghesia e dagli impiegati. Andando oltre gli indirizzi della guida, la città è tutta da esplorare ed offre infinite sorprese. La baracche piantate in riva al mare, al castello del Carmine quella di Monzú Arena, o le pagliare del Vasto, la più nota è di Giovanni Solla, nel secondo Ottocento, hanno inaugurato una moda del ristoro popolare en plein air, in siti baciati dal clima o dal paesaggio. Locali effimeri ma tali da assicurare rapidamente ai loro proprietari una fortuna, reinvestita in più solide mura, spuntano, si riempiono e scompaiono al ritmo degli investimenti edilizi. Li sovrasta tutti, dal Vomero la trattoria dei Pallino, con le sue celebrate pietanze: la zuppa di soffritto, la minestra maritata, i vermicelli alle vongole e il capretto al forno. Vincenzo, nipote e figlio d’arte, aiutato in cucina dalla madre e da due zie, col suo paio di baffoni biondicci e il ventre capace accoglie i clienti sberrettandosi e pronunciando alla comitiva ferma all’ingresso, la frase rituale: "Quanti simme?" senza abbandonare il mestolo nella mano sinistra. Si arricchisce, a Roma, la segnalazione delle osterie di cui talora il Baedecker tace l’insegna ed indica l’indirizzo. Nel 1909, non sono più soste facoltative per godere di uno spettacolo popolare, ma hanno qualcosa da offrire. Da Pacifico Piperno, piazza Monte de’ Cenci 9, un nome che non uscirà più dai vademecum, in aprile e in maggio, si potranno ordinare "i carciofi fritti all’olio, alla giudea". L’esplorazione delle osterie del ponte Molle e di Porta Pia è pure consigliata, mentre per le soste fuori dall’urbe, le indicazioni di prudenza non mutano. Non è certo l’inserimento di qualche luogo di sosta, le osterie di Malafede, di Mezzocammino, di Tor di Valle e del Ponticello, fra Ostia e Roma, a correggere un quadro generale dai pesanti sottintesi igienicosanitari. Dal 1872 al 1909, la revisione più significativa non concerne la ristorazione. Nel 1872 si viaggiava in treno, battello a vapore e diligenza; trentasette anni dopo la figura del vetturale comincia il suo lento declino, i cavalli si diradano, a sostituirli ci sono le biciclette (bagaglio a presso in ferrovia) e le prime pesantissime automobili. L’azione del Touring Club Ciclistico Italiano (TCCI), fondato a Milano nel 1895, è recepita nei Baedecker con grande favore... I nuovi veicoli sono fattori di omogeneità culturale tra le varie nazioni e insegnano a comunicare in modo diverso. A tre velocità (carbone, pedale, motore) anche il paesaggio gastronomico viene modificato e si apre dalla grande città con stazione, alla campagna e alla provincia. Una analisi ravvicinata dell’escursionismo sportivo fa apparire tutta la sua rilevanza in una storia dell’osteria italiana. Le guide del TCCI, edite dal 1895 e firmate da Luigi Vittorio Bertarelli, affrontavano i problemi posti dal viaggio per ordine di priorità: lo stato delle strade, le indicazioni del percorso, le tappe. Subordinatamente prospettavano le esigenze di manutenzione (del veicolo) e di ristoro. Pilastro dell’escursione restava 1’albergo-ristorante che imponeva il pernottamento in piccolemedie città; tutta la tappa si svolgeva invece in un paesaggio in cui la campagna prevaleva, solcata da vie e segnata da villaggi e casolari. Fuori porta, lasciatasi alle spalle l’urbe, cominciava la vera escursione. Per renderla possibile occorreva bere, e le guide del TCCI sono una mappa idrica preziosissima. Sorgenti, fontane, fontanili, pozzi sono indicati con precisione, così come le acque infette e quelle a rischio. Vengono quindi le osterie. Esse hanno molteplici funzioni. Servono da indicatori di percorso, situate nei vecchi tragitti per carri e diligenze, vicino ai ponti, presso i bivi e i crocicchi; sono punti di ristoro che garantiscono acqua e vino ; sono un tetto per ripararsi quando il maltempo o il sole cocente rendono difficile la prosecuzione della scampagnata. Affrontate di giorno, scendendo dalla bicicletta, in numerosa brigata fanno meno paura. Nel giro di pochi anni, alcune di loro diverranno soste attrezzate per 1’ emergenza grazie alla dotazione "di cassette di riparazione ad uso esclusivo dei soci". Studiate sotto il particolare profilo della locomozione, le guide ciclistiche si rivelano insufficienti agli occhi di quei cicloamatori che prediligevano le brevi soste, per bere una bibita e per visitare un monumento, e non valutavano il tragitto in termini di sola pendenza. Ofndo Guerrini che era salito in sella per emulazione nei confronti del figlio, se la prende con i compilatori laconici. Autore di un’ Arte di utilizzare gli avanzi, restata manoscritta sino alla morte, ha concesso il suo vernacolare talento ad osti ed ostesse, in particolare a tal Rosa Betti, in arte Zabariona del Borgo di porta Adriana di Ravenna. Ricordiamone la silhouette: Lì la puretta l’era una grassona Con un cul ch’è’ pareva una capana E la faza più tonda ch’n’è la lona. Avendone le ostesse con la faccia di luna cullato l’estro, più di una insegna egli è in grado di riconoscere sollevando il capo dal manubrio, e non le disdegna perchè lo sport gli ha irrobustito l’appetito ("Andate in bicicletta coi figli e dopo un mese digerirete le cipolle crude.”). Colazione al sacco, durante il giorno, soste alla ventura, raramente nelle piccole città di cui alcune sono chiuse, per ordinanza municipale, al traffico cicloturistico, e pranzo in albergo la sera: questo è il regime dei soci, con una variante, non indicata nelle guide ma messa in pratica tacitamente, il rifornimento di cordiali e di bevande energetiche. Olindo Guerrini, prima di partir di casa, la mattina dell’escursione prendeva "un caffè forte con qualche goccia di cognac"; notizie indirette su tali consumi, li abbiamo nel periodico mensile del TCCI che affronta con prudenza lo spinoso problema della sete degli sportivi. Sono menzionati i vermut d’incoraggiamento alla partenza, gli aperitivi all’arrivo preludio di cene con almeno quattro portate, copiosamente annaffiate. Dopo di che il bagno e il sonno, nella stanza di un grand hotel, con un bicchiere d’acqua zuccherata sul comodino: il prezzo del ciclo nel 1897 può variare fra le quattrocento e le cinquecento lire, è un segno di agiatezza il quale si riflette in tutti i consumi. Meno chiaro invece è il vitto del ciclista in sella, e soprattutto il contenuto della sua borraccia. La questione viene affrontata per così dire indirettamente, traducendo nel 1901 un articolo della Deutsche Warte dal titolo Ciclismo e bevande alcooliche. Teoria e pratica. Un passo in particolare merita attenzione: ’Sono rarissimi però i casi di ciclisti i quali per amore della bicicletta, abbiano completamente abbandonato l’uso delle bevande spiritose. Molti notano anche, nella risposta all’inchiesta, che nelle osterie non si può sempre avere senza difficoltà latte o limonata, e ciò si capisce! L’inchiesta è interessante e sarebbe utile il farla anche in Italia..” L’inchiesta non si fece e nessuno si pronunciò nel merito, benchè non mancassero le fonti per ipotizzare le risposte e persino le raccomandazioni concluse da un invito a moderare il consumo degli alcolici e a diffidare dei vinacci. In margine alla rivista mensile dei soci del TCCI fiorisce una letteratura spregiudicata, moderna, piccante di cui Alfredo Oriani, pioniere del pedale nel 1894, produttore di vino, il Cardello, e gran frequentatore di osterie faentine, era stato con La bicicletta un promotore. Esistono persino dei diari cicloturistici e fra quelli più singolari, vi sono i cinquantun sonetti romagnoli di Olindo Guerrini che commentano, tappa a tappa, il gran tour di una comitiva organizzata dal TCCI. Era un percorso irto di difficoltà, con escursioni montane, lacustri e marittime, da Ravenna a Gressoney con ritorno per Milano e Venezia, trasbordo in nave sino a Trieste e rientro a casa, passando per la scuola enologica di Conegliano. Secondo il figlio Guido, sarebbe stato compiuto nell’anno 1901 ; probabilmente il poeta che è "capo del consolato emiliano" dell’associazione, riunisce nella sua lirica ghirlanda più itinerari di epoche diverse, facendoli iniziare e concludere nella sua terra natale. Si esprime in vernacolo ma cita con precisione alberghi (Gressoney), ristoranti (Modena), rifugi alpini (Monte Rosa), birrerie (Trieste), confermando i predetti indirizzi organizzativi che privilegiano l’ospitalità qualificata. Ci mette del proprio recensendo piatti e prodotti tipici (zampone di Modena, agoni del lago Maggiore, biscotti di Novara, salsiccia di Treviso, salama da sugo) e qualche vino tra cui il gattinara, il lambrusco e il valpolicella. Visita le osterie del Lago Maggiore e di Verona senza mai reprimere, per tutto il viaggio, la nostalgia di quelle romagnole. Le prime tagliatelle al ragù con molto formaggio, dopo una lunga astinenza, le mangia a Ferrara, e gli strappano un grido di gioiosa rimpatriata: "Oh al parpadell cun ’e ragù ch’e’gronda E infurmaiedi come queli d’Frera!". E’ a un tiro, ad una forchettata dall’arrivo. Lasciata alle spalle Frera (Ferrara) e passato Portmagior (Portomaggiore), fa l’ultima sosta in una bettola d’Arzenta (Argenta), davanti ad un mezzo litro forte, vigliacco e traditore: e’ mezz ven fort arabì... In sella di nuovo sino agli Infulsen (Alfonsine), quindi l’effetto acido del vino comincia a ruttargli a fior di labbra: le ultime pedalate si avvicendano stracche sopra i cicli barcollanti, con il bruciore allo stomaco e il corpo sudato "E andemia adesi da la gran stracona Cvirt de la porbia e cun e’ sol in t’i’occ”. Guerrini e il figlio Guido non demordono, hanno un sussulto di insperata determinazione ed, assetati, entrano in Ravenna al grido di "Forza da la Zabariona !". Con questo ruolo di dispensatrice di spiriti agli audaci, l’osteria è riammessa nei circuiti turistici e nelle vacanze borghesi, e se ne vedranno le conseguenze dopo la prima guerra mondiale. Grande merito delle guide del TCCI è una segnalazione che permette di valutarne la densità relativa (da calcolarsi combinando i due indici della ”ospitalità” e del "tracciato"), alta vicino a Roma poi sempre più bassa a mano a mano che ci si allontana: sette osterie sul tratto RomaAlbano (21 Km.) una sola fra Albano e Velletri, nessuna fra Velletri e Cisterna di Roma. Comparando la guida della Lombardia (1895) e quelle del Piemonte e del Lazio (1898) notiamo come, in pochi anni, il loro numero aumenti, in virtù non solo del tipo di habitat ma dell’esperienza stessa dei soci desiderosi di pianificare meglio le proprie soste. Dalla Lombardia al Piemonte, ciò è spiegabile più che con rilevazioni statistiche, con una crescente sensibilità ai ritmi del viaggio e ad un percorso meno agonistico, più di diporto. Per il Lazio, le ragioni sono altre: la sua conformazione geografica, la sua storia segnata dai pellegrinaggi, l’importanza sociale dello spaccio di cibo e di vino, ne fanno la regione italiana con maggior densità d’osterie. Sarà questa una costante della loro promozione nel primo novecento. Per modificare spazio e distribuzione, ci vogliono delle strade e dei turisti in movimento. Nel 1907 il Baedecker non risparmia elogi al TCI (con le prime automobili la sigla è stata modificata) e consiglia l’itinerario cicloturistico ben collaudato Firenze-Roma, di sei giorni con pernottamenti ad Arezzo, Perugia, Foligno, Terni, cittadine con una organizzazione alberghiera soddisfacente, collegate anche dalla strada ferrata. L’esistenza di quest’ultima, in alternativa alla strada carreggiabile, mostra quale impulso la ristorazione possa ricevere dai nuovi sistemi di trasporto: i buffet delle stazioni (e i prospicienti alberghi) sostituiscono ormai le locande della posta, offrendo al viaggiatore un cibo più "italiano" che locale. La bicicletta e l’automobile obbligano a ricalcolare le distanze in chilometri/ora tra le città e impongono una riorganizzazione extraubana dei punti di rifornimento. Combinando le necessità della dieta sportiva e di una costante reidratazione, l’esigenza delle colazioni al sacco e di apporti energetici occasionali, favoriscono la trasformazione delle soste. Decadono quelle al di fuori delle rotte raccomandate, in aperta campagna, o meglio sopravvivono solo grazie al transito dei giorni di mercato, ne spuntano altre sulle nuove strade e in margine alle città, con funzione di ristoro, in grado di richiamare una clientela diversificata. La mancanza di comfort condanna le une ad una clientela modestissima, la velocità ne fa aprire altre, in città facilmente raggiungibili. All’incrocio di diverse esigenze, rinnovare le comunicazioni e garantire 1’ igiene, moltiplicare 1’ offerta di cibo abbreviando le tappe, sta la crisi, il tramonto e la risurrezione delle osterie. Alberto Capatti