Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 26 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 28 SETTEMBRE 2009

Venerdì è arrivato nelle sale cinematografiche Baarìa, «film-monstre di Giuseppe Tornatore destinato a dividere anche il singolo spettatore (difficile amarlo o detestarlo in blocco)» (Fabio Ferzetti). [1] Lietta Tornabuoni: «’Baarìa” è il nome antico di Bagheria, piccola città in provincia di Palermo, luogo natale del regista Giuseppe Tornatore (e anche del pittore Renato Guttuso), centro protagonista del film italiano storico-autobiografico, estetico-eroico, più ambizioso, impegnativo e costoso del 2009». [2] Pierluigi Magnaschi: «’Baarìa – Storia della repentina trasformazione di un pastorello in un borghese grazie al Pci”: questo dovrebbe essere il titolo rivisitato ma veritiero per tenere conto dell’effettivo contenuto del film di Tornatore». [3]

Da anni il regista nato a Bagheria nel 1956, premio Oscar per Nuovo cinema paradiso, aveva in mente quest’affresco che copre quasi mezzo secolo di storia. «Ma pensavo di farlo più avanti. Forse a 60 anni...». [4] Il manifesto: «Baarìa racconta la storia della famiglia del regista dagli Anni Trenta agli Ottanta. Peppino, l’eroe, è un analfabeta allevatore in disgrazia di mucche che sogna di volare, e, istigato dalle ingiustizie supreme, lotta, fa politica, cresce, ripudia Stalin, diventa saggio e volerà. Imprigionando in casa chi ama, chi sposa in chiesa e chi relega a far (molti) figli educati alla moderazione (non solo nelle minigonne), mitigando Ginger Rogers con Marx. Fa carriera politica nel Pci. Insegna che se sbatti la testa contro il muro è la testa che si rompe, dunque siate riformisti, non testardi». [5]

Lo scorso 2 settembre Baarìa ha inauguato la 66ª Mostra del cinema di Venezia. Il pubblico ha risposto con dieci minuti di applausi, la stampa internazionale in modo molto più tiepido. [6] Magnaschi: «Se non è stato premiato a Venezia, non è stato perché, come è stato ripetutamente scritto su vari media, ”Baarìa” era stato lodato a Venezia dal suo produttore finale, Silvio Berlusconi, al quale, evidentemente, nel suo particolarissimo regime dittatoriale, è consentito solo dare i suoi soldi ai cinematografari italiani (25 milioni al solo ”Baarìa”), per il resto deve astenersi. La giuria del Festival del cinema di Venezia ha invece lasciato a secco di premi Tornatore perché, va bene essere politicamente orientati, ma c’è anche un limite a tutto. I giurati di Venezia infatti non potevano, non potevano proprio, permettersi di premiare una regia caotica, confusa, vuotamente caleidoscopica». [3]

Giovedì il film è stato proiettato in anteprima a Bagheria. Francesco Merlo: «Ha pianto e ha riso Bagheria assistendo al film Baarìa. Come una modella di Guttuso la città voleva vedere com’è stata raccontata: ”talìa, precisa precisa è venuta Tanuzza”. In sala una signora dice: ”Quest’attore è Tornatore spiccicato, anzi è meglio del nostro Peppino”. Piange. E il pianto al cinema è persino più contagioso del sorriso. Anche il regista si commuove: ” solo per voi che l’ho girato”. Ma la signora che mi ha fatto da guida a Bagheria, Nina Campo, sospetta che nessuno scambierebbe la vera Bagheria di oggi per la Baarìa di ieri, la Baarìa del film. E le piacerebbe persino domandarlo a ciascuno di quelli che ora battono le mani: scusi lei è nostalgico? Lei è un baarioto o un bagherese? Appartiene al popolo dei Baa o al popolo dei Baghe?». [7]

Ricordo, immaginazione, racconto: su quest’asse si muove il senso dell’operazione Baarìa. Dario Zonta: «Tornatore racconta Bagheria dagli anni quaranta agli anni ottanta, seguendo idealmente la vicenda di una famiglia, ma sciogliendola continuamente nel mare di aneddoti che ne hanno iscritto la leggenda. il contrario di Nuovo Cinema Paradiso, laddove ”una” storia portava su di sé il suo immaginario. In Baarìa, invece, il punto di vista non è unico, bensì è disseminato in un coro di voci sole che si passano il testimone narrativo, in una sorta di fantasmagorico ”passa parola”. L’estrema scomposizione del racconto ha a che fare proprio con l’impossibilità del ritorno e la conseguente idealizzazione di una storia condivisa, che scambia continuamente il pubblico con il privato, la comunità con l’individuo, la Storia con il destino». [8]

L’ambizione dichiarata di Tornatore era quella di narrare attraverso questo microcosmo pure la Storia siciliana e italiana. Tornabuoni: «Desiderio non realizzato. Tornatore è un regista molto bravo con la macchina da presa e anche un efficacissimo direttore degli attori (che sono infatti tutti ottimi): gli manca una visione generale, la forza evocativa dei simboli. L’affresco sembra in lui soprattutto volontaristico: i dettagli gli riescono meglio, persino quando sono troppi o acquistano nella ridondanza un tocco folcloristico. Ma, nel suo stile un poco convenzionale acceso ogni tanto da alte illuminazioni, anche se non è il capolavoro proclamato dai suoi produttori Silvio e Piersilvio Berlusconi, Baarìa bisogna proprio vederlo». [2]

Abbiamo letto che D’Alema s’è commosso alla scena del papà del protagonista che morente sussurra «la politica è bella!». [5] Pino Corrias: «Quando racconta, Tornatore commuove come una grande orchestra. Usa le luci appropriate, il chiaroscuro, il dolly, la nebbiolina e i baci. pieno di nostalgia per le idee, la giovinezza, l’acqua pura. Piace a Giorgio Napolitano, a Massimo D’Alema, a Walter Veltroni, a Fausto Bertinotti e alla sua consorte Lella, la signora degli anelli. Piace a tre Letta su tre, Gianni, Gianpaolo e Enrico. Piace a tutti i critici, tranne Lietta Tornabuoni, ahinoi, e a pochi altri disfattisti. Piacerà pure agli elettori per la non secondaria destrezza dimostrata nell’estrarre soldi a destra per investirli a sinistra. Peppuccio non grida, non disturba e pure il Cavaliere ne è contento». [9] Michele Anselmi: «Baarìa va giudicato per quello che narra (e come), non perché l’ha prodotto Medusa». [10]

Le lodi in anteprima di Berlusconi non hanno fatto un favore a Tornatore. «Io l’ho saputo a Venezia. Aveva chiesto di vedere il film, alla fine della proiezione organizzata per lui (lo ha visto tutto) sono andato a salutarlo e mi ha detto delle belle cose. Per me era finita lì. Quando ho saputo delle sue dichiarazioni ho capito subito che sarebbero state usate maliziosamente: se ha detto che gli è piaciuto vuol dire che tu e lui siete ”tutta una cosa”. Sebbene io ritenga che abbia parlato in buona fede, mi ha sorpreso che una persona così esperta di comunicazione abbia tanto sbagliato il timing. Meglio sarebbe stato se i suoi generosi complimenti si fosse limitato a farmeli privatamente. Ha condizionato? Non credo. Se così fosse lo riterrei più grave che se Medusa mi avesse censurato». [11]

63 attori professionisti, 147 non professionisti, 35.000 comparse, Baarìa è costato 25 milioni di euro, forse anche qualche cosa di più per ricostruire in Tunisia l’intera cittàdina siciliana. [6] Tornatore: «Durante la lavorazione già cominciavano le polemiche: i soldi del cinema italiano li ha spesi tutti Tornatore. Improvvisamente tenevano tutti tantissimo all’azienda di Berlusconi. Ora coro opposto: ho fatto un patto col diavolo. E il costo è stato malevolmente gonfiato in proporzione all’antipatia verso di me. La coerenza: essere di sinistra e ”prendere soldi da destra”. Impostazione rozza e volgare. Da ragazzo mi scandalizzò che Visconti facesse Gruppo di famiglia in un interno con Rusconi. ”Ma come, il compagno Visconti, con i soldi dei fascisti”. Ma Visconti non ha rinnegato la sua visione». [11]

Tornatore assicura di non aver mai subito condizionamenti ideologici. «Una sola volta scrissi un film per Cecchi Gori e lui mi disse lapidario: troppe bandiere rosse. E non si fece. Medusa fa parte dell’impero Berlusconi, ma io ho fatto il mio film. Berlusconi ci ha trovato una scena, una battuta che gli sono piaciuti. E allora?». [11] Per la cronaca, la scena particolarmente apprezzata dal premier è quella «di un comunista che, dopo un viaggio in Urss, si pente. Detta così, una grandissima bugia. Il film parla di una vita intera vissuta, pur con sofferenza, al servizio di un ideale» (Tornatore). [4] Natalia Aspesi: «Si consiglia al premier-produttore-critico di rivedere Baarìa; si accorgerà che quel comunismo ormai scomparso, che agita tuttora come fonte di ogni male, nel film di Tornatore viene raccontato come una grande forza eroica, commovente, martoriata e generosa». [6]

«Probabilmente Baarìa non è il film più costoso della storia del cinema italiano, ma sicuramente è uno dei più ambiziosi», ha scritto Paolo Mereghetti. L’autore del ”dizionario dei film più venduto e imitato” ha parlato sul Corriere delle Sera di «ambizioni d’affresco epico ma, per fortuna, senza epicità e senza facile nostalgia (nonostante una colonna sonora tonitruante di Morricone) dove una sceneggiatura ”antiretorica” (di Tornatore) e una regia molto spettacolare riescono a equilibrarsi perfettamente». [12] La musica del mitico Ennio Morricone è stata oggetto di molte critiche. Anselmi: «Più che in passato, il difetto principale sta nell’uso debordante, fastidioso e inutilmente molesto della musica di Morricone». Goffredo Fofi: «Baarìa è apprezzabile quando la musica tace e le voci si sentono, quando la macchina da presa racconta e non delira o divaga, quando la matrice culturale si fa più evidente e più calda: l’opera dei pupi, il carretto siciliano, l’epica retorica di Buttitta e quella illustrativa di Guttuso». [10]

Non bastassero i critici, il film è finito anche nel mirino delle associazioni animaliste per la scena dell’uccisione di un bovino che sarebbe stata effettuata, in modo cruento, durante le riprese. Il manifesto: «La Lav (lega antivivisezione degli animali) ha accusato la Medusa di aver girato l’efferata scena di un macello bovino senza effetti speciali (non siamo a Hollywood) in Tunisia perché lì la legge è più permissiva e le comparse non rompono». [5] Il sottosegretario al Welfare Francesca Martini: «Una produzione cinematografica italiana deve rispettare le regole vigenti nel proprio Stato, in Italia come obbligo giuridico e all’estero come obbligo morale. L’uccisione cruenta di animali è regolata e sanzionata da normative nazionali ed europee. Verificheremo come si sono svolti esattamente i fatti e se questi corrispondano a una ipotesi di reato. In tal caso valuterò la possibilità di procedere». [13] Merlo: « perché non compiangere il pollo a cui viene tirato il collo?». [7]