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 2009  settembre 25 Venerdì calendario

CORALLO DOC COSI’ SALVEREMO L’ORO ROSSO"


Una certificazione contro la raccolta selvaggia

Gli americani per l´inserimento nella lista delle specie a rischio Ma l´Italia frena

ROMA - Quando i pescatori scendevano in apnea fino a una ventina di metri, sul fondo, ad attenderli, c´erano rami di corallo rosso lunghi fino a mezzo metro. Poi quei tesori si sono esauriti e allora hanno cominciato a usare le bombole per arrivare a 80 - 90 metri. Adesso anche a quella profondità si trova poco o niente e quindi con i robot sottomarini i sub individuano i coralli sopravvissuti e s´immergono a colpo sicuro utilizzando miscele particolari di gas per spingersi a oltre 100 metri di profondità, ma nonostante tutta la tecnologia dispiegata riescono solo a strappare rametti di pochi centimetri. Così la tradizionale raccolta del corallo si è trasformata nella caccia sempre più affannosa a un oggetto che sta diventando introvabile. Tanto introvabile e prezioso da far nascere, al workshop in corso a Napoli, un braccio di ferro tra gli Stati Uniti, che vogliono difendere il corallo, e l´Italia, che vuole difendere la sua copiosa produzione di braccialetti e orecchini di corallo.
A marzo la Cites, la convenzione di Washington per la difesa delle specie a rischio, si riunirà a Doha, in Qatar, per decidere se il corallo rosso è una specie in via di estinzione. La proposta sul tappeto è inserire l´oro rosso nell´annesso 2, cioè nell´elenco delle specie che si possono comprare e vendere ma solo con una certificazione che attesti la legalità del processo di produzione. «Noi siamo favorevoli alla gestione locale e nazionale delle risorse», spiega David Cottingham, il capo della delegazione Usa al workshop di Napoli. «Purché però questa gestione sia sostenibile. Nel caso del corallo rosso i numeri mostrano un declino che suscita preoccupazione. Per questo, con ogni probabilità, chiederemo l´inserimento nell´annesso 2 della Cites».
Al gruppo che spinge per misure di tutela più rigorose si contrappone il fronte del no, il gruppo degli Stati guidato dall´Italia e dai paesi della sponda Sud del Mediterraneo. «Nel nostro mare è andato già perso il 90 per cento delle colonie riproduttive», protesta il presidente onorario del Wwf Fulco Pratesi. «Se a Torre del Greco c´è una grande tradizione artigianale di lavorazione del corallo è perché in Campania, come in Sicilia e in Calabria, si pescava la materia prima. Oggi è il deserto. Solo in Sardegna si riesce a trovare ancora qualcosa, e bisogna scendere oltre i cento metri di profondità. Per questo è irresponsabile la posizione del governo italiano che si oppone alle misure di tutela: proprio perché da noi c´è un mercato importante abbiamo interesse a difendere il corallo per poter continuare a lavorarlo a lungo».
Dal ministero dell´Ambiente ribattono sostenendo che l´Italia non ha ancora preso ufficialmente posizione: il seminario di Napoli è un momento tecnico di approfondimento che servirà a chiarire gli aspetti scientifici della questione; solo quando i numeri del declino delle popolazioni di corallo rosso saranno chiariti l´Europa deciderà in modo formale come schierarsi.
Ma alla pesca, compresa la micidiale tecnica degli «ingegni» con cui negli anni Ottanta si rastrellava il fondo del Mediterraneo per risucchiare ogni frammento di corallo vendibile, si aggiunge ora una nuova minaccia. Il riscaldamento climatico sta minando le barriere coralline che ospitano circa 100 mila specie note (le stime reali potrebbero andare da 1 a 3 milioni): il 20 per cento è distrutto, il 24 per cento è a rischio imminente di collasso, per un altro 26 per cento la minaccia è a lungo termine.