Matteo Persivale, Corriere della sera 25/092009, 25 settembre 2009
CECILIA BARTOLI: RENDO ONORE AI CASTRATI DEL BEL CANTO VERE «VITTIME» DELL’ARTE
«Riscopro tante arie perdute. E spero di tornare alla Scala»
MILANO – L’inglese David McVicar, uno dei registi d’opera di maggior talento, ama ripetere che «l’opera è morta nel Novecento, ma viene rappresentata nei teatri soltanto una minima parte di tutte le opere scritte attraverso i secoli. Abbiamo di che sbizzarrirci, sondando le biblioteche, per proporre sempre delle novità...». Per questo Riccardo Muti porta da qualche anno al Festival salisburghese di Pentecoste opere perdute di Cimarosa e Paisiello (e nel 2004 per la riapertura del teatro dopo il restauro, riportò in scena L’Europa Riconosciuta di Salieri con la quale era stata inaugurata la Scala nel 1778 e poi non era stata più rappresentata).
E per questo Cecilia Bartoli, romana, 42 anni, molto probabilmente il mezzosoprano in attività più famoso del mondo, da oltre un decennio riporta in vita gemme musicali dimenticate. Prima con Vivaldi, Gluck, Salieri, poi nel cd Opera Proibita ha cantato la musica bandita dai papi a Roma all’inizio del diciottesimo secolo. Due anni fa ecco Maria , il suo omaggio a Maria Malibran, grande mezzosoprano spagnolo dell’inizio dell’Ottocento.
L’anno scorso eccola mietere un successo straordinario in teatro con la Clari di Halévy, da lei riportata d’imperio in scena dopo secoli d’oblio. E adesso con il cd Sacrificium (il 2 ottobre nei negozi) Bartoli canta arie scritte per i castrati, alcune delle quali rarissime. Musica di compositori come Antonio Caldara, Nicola Porpora. E Francesco Arai, Leonardo Leo, Carl Heinrich Graun, Geminiano Giacomelli, Riccardo Broschi (il fratello di Farinelli). Molte arie mai sentite prima insieme con una di quelle più celebri, «Ombra mai fu» dal Serse di Händel: «Così famosa, cantata da tutti: ma fu scritta per un castrato – spiega al Corriere Cecilia Bartoli – Perché accanto a grandi come Caldara e Porpora, anche tanti compositori meno conosciuti ci hanno lasciato un segno importante, da riscoprire. E il cd si chiama Sacrificium perché questo avvenne: generazioni di adolescenti – fino a quattromila all’anno – venivano castrati. La loro virilità sacrificata per la musica. Una tragedia spaventosa, di quelle decine di migliaia di ragazzi ricordiamo oggi solo pochi grandissimi cantanti: Caffarelli, Farinelli...».
Gli altri? «Dimenticati. Vite distrutte. Le famiglie povere e numerose permettevano la mutilazione di un figlio nella speranza del successo, spinti da impresari senza scrupoli. Chi diventava famoso? Soldi ma anche l’adorazione totale del pubblico – e le grida, insieme con gli applausi, di ’Evviva il coltellino!’... Chi non ce la faceva? Non poteva ovviamente sposarsi, diventava un paria. Finiva relegato in un coro. Qualcosa di simile capita anche oggi». Davvero? E come? «Penso alla chirurgia plastica: soprattutto donne ma anche uomini si mutilano, a volte restano sfigurati come Michael Jackson. Il Botox. La liposuzione. Sacrificium, anche lì».
Non per l’arte, però. «Per la bellezza: o meglio, per un ideale vuoto: quello che porta tante giovani all’anoressia. Poi però quell’attrice famosa (Keira Knightley, ndr ) si riduce a essere tanto esile che nelle pubblicità, digitalmente, i fotografi le aggiungono il seno che ha perso con le diete. Perché ora assomiglia a un ragazzo. Vede? Un altro Sacrificium » .
Bartoli, che domina le scene a Parigi, Londra, New York, Zurigo, in Italia appare di rado: per i soliti problemi organizzativi, i teatri dai budget traballanti e dai programmi un po’ improvvisati. Ma qualcosa si muove: «Sarebbe bello cantare di nuovo alla Scala. Stiamo lavorando in questa direzione: un accordo definitivo non c’è ancora ma sono molto ottimista, potrebbe succedere presto. Un’opera? Magari! No, sarà un recital. Ma pur sempre alla Scala » .
La cantante, che è molto potente nel mondo discografico grazie alle vendite sempre consistenti, si dice però perplessa dal marketing di figure che con la lirica non c’entrano nulla. «Vengono presentati al grande pubblico come ’star dell’opera’ per aggiungere credibilità artistica a chi non ce l’ha. Un fenomeno più che altro britannico: sono un po’ confusi, evidentemente. Katherine Jenkins, Paul Potts e altri non sono cantanti lirici ma fenomeni pop che tra una canzone e l’altra eseguono qualche aria celebre, con il microfono. Non si sono mai esibiti in un teatro senza amplificazione, non hanno mai cantato un’opera intera. Sono cantanti d’opera solo per il marketing. C’è chi fa entrambe le cose, come Bocelli, che peraltro viene attaccato ingiustamente: lui sì ha anche una dimensione lirica. Ma Potts e Jenkins? L’opera è studio continuo, disciplina, lavoro. E lì si torna: sacrificio».
Quindi, viene spontaneo scherzare, non vedremo mai una Katherine Jenkins alla Scala, magari in Carmen , visto che nei concerti già canta la habanera? «Be’ Carmen è in programma per la prima del 7 dicembre, no? Mi lasci fare un po’ i conti – sorride Cecilia – Siamo in settembre... Ottobre, novembre, poi c’è subito il 7 dicembre... Difficile studiare canto e imparare la parte in due mesi! No, non sentiremo la Jenkins o altri cantanti pop alla Scala...».