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 2009  settembre 25 Venerdì calendario

Nelle urne il vento della Ddr - Si rivede anche Egon Krenz, in questa strana campagna elettorale tedesca, all’ombra dei vent’anni dalla caduta del Muro

Nelle urne il vento della Ddr - Si rivede anche Egon Krenz, in questa strana campagna elettorale tedesca, all’ombra dei vent’anni dalla caduta del Muro. Krenz, di quel crollo precipitoso, fu diretto responsabile, nei cinquanta giorni in cui gli toccò la penosa eredità di Erich Honecker, uno dei più longevi vicerè dell’impero sovietico a capo per diciotto anni della Ddr, la Germania dell’Est assoggettata a Mosca e al comunismo. Aveva poco più di cinquant’anni, il 18 ottobre ”89, quando prese il potere, si può dire che il Muro gli franò sulla testa venti giorni dopo, il 9 novembre, costringendolo alle dimissioni. Travolto dalla riunificazione della Germania, processato per omicidio plurimo e per la durezza delle regole di confine, che erano costate la vita a molti dei fuggiaschi verso Ovest, Krenz è riapparso dopo quattro anni e mezzo di carcere per un goffo tentativo di riabilitazione, sua e del regime che gli toccò seppellire. Ma al di là dell’improbabile revisione storica, che ripropone, sui fatidici giorni dell’Ottantanove («Eravamo pronti a riaprire i collegamenti tra Est e Ovest, tutto sarebbe stato più ordinato, se ci avessero lasciato fare»), Krenz è venuto a dire che «oltre alla fine del capitalismo, che non sarà l’ultima parola della storia», si augura che la Linke, la sinistra radicale tedesca, vinca e vada al governo. Una prospettiva che ha poche possibilità di realizzarsi, al momento. E tuttavia, solletica la metà orientale della Linke. Quella nata direttamente dalla Sed, il partito filosovietico insediato a Berlino Est, e attraverso il Pds, la formazione che ne è stata l’erede dopo la riunificazione, approdato all’alleanza con gli scissionisti socialdemocratici dell’Ovest, dopo la rottura tra Gerhard Schroeder e Oskar Lafontaine del 1999. In un certo senso, è come guardare la storia contro il suo verso. Mentre appunto la Spd, già alla fine degli Anni Cinquanta, in piena Guerra Fredda, riconosceva le regole del mercato nel famoso congresso di Bad Godesberg, e si affrancava definitivamente dall’equivoco del socialismo realizzato e da ogni compromissione con la realtà sovietica, la Sed, dall’altro lato del Muro, non rinunciava a sperare che i «cugini separati», prima o poi, sarebbero stati emarginati dal sistema capitalistico e risospinti verso le origini. Di qui l’incredibile attesa di una sorta di riunificazione capovolta, con una Berlino interamente, e simbolicamente, orientale. Vent’anni dopo che la Storia l’ha archiviato, questo vecchio «sogno» rivive nella campagna della Linke e nelle parole del leader dell’Est, Gregor Gysi, che affianca Lafontaine nei comizi e nei manifesti elettorali. Gysi - che per inciso, sbrigò nel ”90 la pratica dell’espulsione di Krenz dalla Sed - oggi dà per scontato che la Merkel dopo le elezioni romperà la Grande coalizione e sceglierà di allearsi con i liberali di Guido Westerwelle. A quel punto, dopo la sconfitta di Walter Steinmeier e la fine della sua alleanza con la Cancelliera, nella Spd salirebbe al comando la generazione dei giovani leoni, guidata dal sindaco borgomastro di Berlino Klaus Wowereit. E poiché governa la capitale con l’appoggio della Linke, Gysi - ignorando la ruggine che oppone Lafontaine ai suoi vecchi compagni della Spd - ritiene che dovrebbe essere più facile costruire un’alleanza nazionale. Ma dietro le formule, e dietro la scommessa che la Merkel, con l’incalzare della crisi economica, e il venir meno della Grande coalizione con la Spd e della tregua con i sindacati, vada incontro a un inasprimento della tensione sociale, si fa strada anche una spinta sentimentale: l’onda della «Ostalgie», del rimpianto, che riappare nella parte orientale del territorio, e nelle generazioni più anziane di elettori, insieme ai ricordi sbiaditi, e in qualche caso addolciti, della vita all’ Est prima della riunificazione. «Ciò spiega perché il programma elettorale della Linke, e perfino lo slogan centrale, ”I ricchi devono pagare”, sia ricopiato da quello della Sed del 1967», annota il professor Jochin Staadt, storico della Freie Universitat, tra i maggiori studiosi della Germania orientale. E anche perché a sorpresa, proprio ieri, dopo un’ostentata assenza dalla campagna elettorale, Helmut Kohl, il Cancelliere della riunificazione, con un’intervista alla Bild sia venuto a sanzionare le riletture edulcorate e interessate di quell’esperienza: «Le immagini che in questi giorni di anniversario circolano delle condizioni economiche e di vita della Ddr - ha tuonato - dovrebbero ammonirci da sole sul tentativo di recupero di certi modelli». La nuova ondata della «Ostalgie» infatti non ha nulla di razionale. Gioca piuttosto sulla psicologia degli anziani, sul radicalismo delle nuove generazioni e sui numeri che ad Est premiano lo «zoccolo duro» della resistenza ideologica, danno alla Linke il doppio, e alle volte anche di più, dei voti della Spd, e dopo quattro anni di Grande coalizione le assegnano, almeno nei sondaggi, un traguardo superiore al dieci per cento. Con la sua storia «pura» di berlinese orientale, con la sua formazione classica di militante comunista, cresciuto dall’infanzia nella Fdj, l’organizzazione giovanile della Sed, e poi salito passo passo fino al vertice del partito, Gregor Gysi simboleggia insieme la tradizione e l’evoluzione dell’antico mondo sparito: l’anticapitalismo, lo statalismo assistenziale, il pacifismo a oltranza, la parità assoluta tra uomo e donna, lo sport obbligatorio, la sanità mentale e del corpo, come decalogo di una società. Nella lettura capovolta della realtà ricomposta sulle rive della Sprea, nelle sale del museo berlinese della Ddr, questo insieme di valori è rappresentato dai casermoni socialisti con centinaia di appartamenti uguali fin nell’arredamento e nell’essenzialità dei servizi igienici, che simboleggiano un Paese in cui tutti, apparentemente, vivevano allo stesso modo, gli uomini sono fotografati in cucina mentre lavano i piatti, il Primo maggio è la grande Festa nazionale, nel derby tra Germania Est e Ovest la prima vince 1 a 0, la libertà sono i campi di nudisti in cui grandi e piccoli sorridono felici, e i 39 giornali che si stampavano nella Repubblica socialista escono insieme con lo stesso titolo e una sola opinione. Ora, che ci sia stata una parte della popolazione tedesca, passata direttamente dal nazismo al comunismo, e vissuta ininterrottamente dal 1933 all’89 sotto le dittature, è sicuro. Ed è possibile, non solo teoricamente, che al suo interno una fascia marginale possa pensare, come Krenz, «che non serve la libertà se non c’è lavoro». Ma al dunque, spiega Angelo Bolaffi, l’autorevole germanista che dirige l’Istituto di cultura italiana a Berlino, «non c’è nessuno che arrivi a sostenere che si stava meglio quando si stava peggio». Il tentativo, auto consolatorio, è di dire a sé stessi «che cinquant’anni di storia non sono stati gettati via né possono essere cancellati del tutto». Ma la realtà, alla fine, è più forte: «Ad Est - assicura Bolaffi - si vive oggi molto meglio di come si viveva prima della caduta del Muro. E il costo del riequilibrio economico e sociale delle due Germanie è stato in larghissima parte sopportato dall’Ovest. Altro che il nostro Mezzogiorno - conclude -. Se capitasse da queste parti, Bossi verrebbe a fondare un partito a Berlino!».