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 2009  settembre 24 Giovedì calendario

L’ASCESA INARRESTABILE DEI PRODOTTI A COSTO ZERO


Intervista / Chris Anderson, direttore di "Wired" analizza nel suo saggio il modello "free" che ha conquistato il mondo
Grazie a Facebook o Twitter non basta più possedere le tv per indottrinare la popolazione
I media dovranno trovare l’equilibrio giusto tra offerte gratuite e nuove fonti di fatturato

NEW YORK
Ci separa la sua laurea in fisica con tesi sulla meccanica quantica. In comune invece abbiamo tante altre cose: un bel pezzo di vita a San Francisco; poi in Cina dove Chris Anderson andò come corrispondente dell´Economist, prima di diventare il direttore della rivista Wired. Adesso abbiamo gli uffici a pochi metri di distanza. Anche se quello di Repubblica occupa poche stanze, mentre la sua casa editrice Condé Nast ha un intero grattacielo che domina Times Square. «Non credo che se lo potranno permettere a lungo», sogghigna Anderson. E con questa battuta sarcastica entriamo nel vivo del suo ultimo saggio, Free, che oggi esce in Italia dopo il grande successo in America (Gratis, Rizzoli, traduzione di Ilaria Katerinov, pagg. 284, euro 19,50). Dove Free ha due significati: libero e gratuito. Un´ambivalenza su cui gioca Anderson, perché è al centro dell´universo Internet in cui viviamo. Un nuovo mondo di grandi libertà, ma dove la gratuità minaccia di fare scomparire industrie, mestieri.
Dai musicisti agli scrittori, dagli autori di software ai giornalisti, molti temono che l´avvento della Free Economy sia la loro rovina.
«Proprio per la sua duplicità, libertà e gratuità, Free suscita attrazione e sospetto al tempo stesso. Per la generazione dei miei genitori, un mondo Free è impossibile. Per quella dei miei figli, è l´unico mondo che concepiscono. A San Francisco il mio libro è stato accolto molto bene, Free è un concetto che capiscono perfettamente nella Silicon Valley. Qui a New York invece, soprattutto nei media e nella grande industria culturale, sembrano incapaci di capirlo. Che assurdità: dimenticano che la tv e la radio sono state quasi sempre gratuite per lo spettatore, e finanziate con la pubblicità».
I timori del mondo della cultura, dell´arte e dell´informazione si possono riassumere così: se entriamo in un nuovo modello di economia fondato sulla esplosione di libertà di accesso e sulla gratuità, sarà impoverita la creatività, la qualità dei contenuti. Chi di mestiere compone musica, scrive libri, produce informazione, come potrà sopravvivere? Non si rischia un appiattimento, una massificazione, se Google "rapina" milioni di autori per mettere online le loro opere?
«Un futuro Free non vuol dire al 100% gratuito. Ogni prodotto dell´ingegno e della creatività può essere offerto in numerose versioni, alcune totalmente gratuite, altre parzialmente o completamente a pagamento. Un esperimento interessante io l´ho fatto proprio con il mio libro: lo abbiamo diffuso in 12 versioni, usando vari formati digitali, vari canali di diffusione da Internet a Kindle (il lettore elettronico di Amazon) fino al tradizionale libro stampato. Quattro di queste versioni erano a pagamento. Le parti gratuite sono state scaricate da Internet o ascoltate su iPod da mezzo milione di persone: così ho allargato a dismisura il mercato, e ho attirato una parte del pubblico verso il prodotto a pagamento».
 un modello che lei propone a tutti gli editori di libri e giornali, all´industria del cinema e a quella discografica?
«Ogni settore dei media dovrà fare i suoi esperimenti, ripensare la propria vocazione nell´era Free, trovare la miscela e l´equilibrio giusto tra le offerte gratuite e l´esigenza di reperire nuove fonti di fatturato. Non sono ingenuamente ottimista. So che le fasi di rapido cambiamento fanno paura. Ma bisogna rassegnarsi al fatto che Internet cambia tutte le regole del gioco: è una grande piattaforma aperta, consente un´esplosione illimitata di nuovi contenuti, la fine di vecchi oligopoli, il crollo di molti prezzi e di molte barriere all´entrata».
Veniamo all´obiezione più specifica che riguarda il futuro della stampa. Lei prefigura con serenità l´avvento di un giornalismo gratuito fatto di blogger che disseminano informazione gratis o vengono pagati pochissimo. In alcune zone d´America questo sembra già funzionare per i notiziari che riguardano piccole comunità locali. Ma se la gratuità mette in crisi il New York Times, chi avrà in futuro i mezzi economici per mandare inviati in Afghanistan e informare l´opinione pubblica su guerre lontane? Chi avrà i mezzi per sostenere un giornalismo investigativo come quello che fece cadere Nixon sullo scandalo Watergate?
«Io non teorizzo affatto l´estinzione dei grandi quotidiani. In particolare non penso proprio che il New York Times scomparirà. Anzi, la grande stampa si specializzerà sulle cose che sa fare meglio, lasciando a tanti nuovi media delle nicchie di attività a cui questi ultimi sono più adatti. A noi giornalisti non si chiede di morire, ma di condividere il palcoscenico con altri attori, talvolta non-professionisti. E di selezionare tra le nostre offerte: alcune sono valide e hanno un mercato, altre no. Credo che gli inviati in Afghanistan svolgano un compito insostituibile e ci sarà sempre un pubblico disposto a pagare per leggerli. Invece gli annunci di ricerca del personale sono trasmigrati dalle pagine dei giornali a Internet perché online sono più efficaci. Chi non ha un reale valore aggiunto da offrire ai lettori, scomparirà. La decisione ultima la prenderanno i lettori, il nostro mercato».
I suoi studi di fisica quantica forse le danno una prospettiva particolare. Il senso comune tende a estrapolare all´infinito le tendenze attuali, e quindi vede un futuro in cui interi settori della produzione culturale saranno dissanguati dalla gratuità di Internet.
« una reductio ad absurdum. Nella realtà, il mondo si evolve in modo incrementale. Nulla muore, tutto cambia. Succederà anche all´industria della cultura e dell´informazione. L´irruzione di un esercito amatoriale, di cittadini-giornalisti, di reporter-dilettanti, potrebbe trasformare il giornalista professionista in un organizzatore di talenti, in un animatore della comunità dei blogger».
Lei prevede la fine degli oligopoli. E se invece la selezione operasse nel senso di rafforzare pochi monopolisti, da Murdoch a Google?
«Quello è già accaduto. una fase che appartiene al passato. E proprio voi italiani ne avete vissuto la versione più oscura con il fenomeno Berlusconi. Se fosse continuato nel mondo intero un processo di consolidamento-fusione nei mass media, saremmo tutti finiti come l´Italia di Berlusconi. Invece nell´era Free i grandi monopolisti vengono aggirati dalla comparsa di un illimitato numero di piccoli concorrenti, che sfruttano la libertà-gratuità di Internet e di tutti i nuovi media. una rivoluzione dal basso, di cui sono protagonisti i giovani. Che si tratti di Berlusconi o del regime autoritario di Pechino, i vecchi monopolisti dell´informazione non possono catturare le nuove generazioni, perché i giovani usano media troppo frammentati e disseminati. Questo è un trend universale, dall´esplosione dei blog in Cina all´uso di Facebook o Twitter o YouTube in tutto il mondo, nell´era Free non basta più possedere le grandi tv di Stato per indottrinare tutta la popolazione».