Stefano Rodotà, Corriere della Sera, 24/09/09, 24 settembre 2009
Le istituzioni contano più dei politici - 

Stefano Rodotà – Trent’anni fa, esattamente nell’ottobre del 1979, Carlo Azeglio Ciampi diveniva governatore della Banca d’Italia
Le istituzioni contano più dei politici - 

Stefano Rodotà – Trent’anni fa, esattamente nell’ottobre del 1979, Carlo Azeglio Ciampi diveniva governatore della Banca d’Italia. Aveva così inizio una straordinaria vicenda istituzionale e personale che lo porterà a essere ministro, presidente del Consiglio, presidente della Repubblica. Sono anni difficili per la politica e per l’economia. Io non dimentico che Carlo Azeglio Ciampi diventa presidente del Consiglio in un momento in cui il Parlamento era chiamato «Il Parlamento degli inquisiti», uno dei momenti più difficili della storia della Repubblica. Ma sarà poi lui, tra le tante cose, ad avviare la stagione della privatizzazione e a portare a compimento quella che sembrava una missione impossibile, cioè l’entrata dell’Italia nell’euro. Dunque, un protagonista e anche un osservatore privilegiato. Questa sua testimonianza credo possa proprio partire dal modo in cui lui ha guardato e governato le dinamiche dei poteri pubblici e dei poteri privati. 

 Carlo Azeglio Ciampi – Caro Stefano, tu mi richiami un lungo periodo della mia vita, che d’altra parte è corso velocissimo. In momenti difficili mi sono trovato ad assumere incarichi improvvisamente. Non posso dimenticare, ad esempio, come lasciai la Banca d’Italia. Io ero dimissionario da tempo, perché ormai avevo fatto quasi per quattordici anni il governatore, dopo averne fatti complessivamente quarantasette in Banca d’Italia.

 Stefano Rodotà – Ma dove avevi cominciato? 

Carlo Azeglio Ciampi – A Livorno. Oggi si parla tanto dei precari, io entrai in banca e, nonostante avessi già due lauree, in Lettere e in Legge, vi entrai con l’elevato grado di «avventizio provvisorio». Poi ho percorso tutto l’iter della banca: volontario, segretario, capo ufficio, capo servizio, segretario generale, membro del direttorio, vice direttore generale, direttore generale, governatore.

 Quell’ottobre del ”93 avevo presentato da alcuni mesi le dimissioni, perché pensavo che quattordici anni da governatore fossero già troppi. La mia nomina a presidente del Consiglio avvenne in questo modo: una mattina ricevetti, prima di andare in banca, una telefonata dal presidente della Repubblica, da poco eletto, Oscar Luigi Scalfaro, che mi disse: «Caro governatore debbo vederla. Alle undici una macchina del Quirinale con il Prefetto Iannell verrà a prelevarla per portarla a casa mia» – dove non ero mai stato. Andai in ufficio, stavo lavorando già alle considerazioni finali per il 31 maggio, alla parte internazionale mi ricordo, e ne stavo discutendo con alcuni miei collaboratori. Quindi ero in riunione, la mattina alle undici dissi ai miei collaboratori: «Vi debbo lasciare, ho un impegno, ci vediamo nel pomeriggio». Non mi hanno più visto, perché entrai in casa del presidente Scalfaro e lui mi disse, molto rapidamente, con gran gentilezza ma anche con estrema rapidità e determinazione: «Stasera l’attendo al Quirinale per darle l’incarico di formare un nuovo governo».

 Io lo guardai sbalordito, credo che fra il mio sguardo e le poche rispettose parole che gli rivolsi, in fondo dicevo questo: ma si rende conto di che cosa fa? Ma chi mi ha indicato? Nessuno. E allora? Rispose: «Non ho altra scelta, siamo in una situazione di emergenza». Così ci lasciammo per ritrovarci la sera al Quirinale. Mi ricordo che stilai a casa una breve dichiarazione, che è quella che resi alla stampa quando uscii dallo studio del presidente per fare le dichiarazioni di rito, nella quale prospettai la situazione e quello che avrei fatto. La situazione era questa: si era in condizioni di sciogliere, di chiudere la legislatura, però il presidente della Repubblica si trovava in difficoltà, in quanto – non ricordo per quale aggroviglio di cose – non si poteva andare alle elezioni, perché le leggi elettorali di Camera e Senato erano talmente diverse che non avrebbero portato ad alcuna soluzione. Quindi quel governo nasceva come governo ponte, in attesa che il Parlamento approvasse delle nuove leggi elettorali, per poi lasciare il campo ad altri.

In questa seconda parte della videointervista, Ciampi riflette con Rodotà su istituzioni, responsabilità, senso dello Stato.

 Carlo Azeglio Ciampi – Io ho pochi punti fissi. Il primo, per me il più importante, è il valore delle istituzioni, l’importanza che ha e deve avere per tutti i cittadini, governanti e governati, il rispetto delle istituzioni. Ho citato più volte quella frase finale del libro di Vincenzo Cuoco sulla Rivoluzione napoletana nel 1799. Dice che nella vita pubblica certamente contano gli uomini ma più degli uomini contano le istituzioni. Per me il rispetto delle istituzioni, l’ispirarsi ad esse è fondamentale.

 Stefano Rodotà – Questo, detto oggi, in un momento difficile, credo sia non solo una memoria ma anche un monito molto forte. 

 Carlo Azeglio Ciampi – Condivido questa tua opinione. Il rispetto delle istituzioni è essenziale, lo è ispirarsi ad esse da parte di chi governa: il fatto, appunto, di richiamarsi alle istituzioni anche nei confronti dei cittadini. Insomma, le istituzioni sono la base, occorrono istituzioni ispirate ai più alti valori della dignità della persona umana e del rispetto del singolo. Se manca questo non c’è governo. 

Stefano Rodotà – Posso farti una domanda, saltando di palo in frasca? Qual è la tua reazione a quello che è avvenuto nell’ultimo anno, le crisi, l’improvvisa scoperta che proprio le istituzioni non avevano avuto la funzione che avrebbero dovuto avere, lasciando campo libero a forze che ci hanno portato poi alla situazione che conosciamo?

 Carlo Azeglio Ciampi – La Banca l’ho vissuta sia attraverso la mia partecipazione, in posizioni diverse, all’opera di governatori quali Menichella, Carli, Baffi, sia quando mi sono trovato ad avere la responsabilità della gestione. A quell’epoca, il governatore era, a differenza di oggi con il nuovo statuto, in una posizione direi di monarchia assoluta. Però (e questo io l’ho sempre sentito e l’ho visto anche attuato dai miei predecessori), tanta più autonomia hai, tanto più devi prenderti delle responsabilità e devi rendere conto. Io ho sempre predicato l’autonomia della Banca dal potere politico, collaborazione ma autonomia, però quanta più autonomia hai tanto più devi rendere conto, come dicono gli inglesi, accountability . Questo era uno dei punti più importanti, perché l’istituzione vive di questo. Se l’istituzione abusa del potere che ha, è finita.