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 2009  settembre 24 Giovedì calendario

Ma quale movida. Per i 60 di Pedro neanche Penelope - Questa volta non c’è fiesta per Pedro. Nemmeno nel giorno del suo compleanno che cade oggi

Ma quale movida. Per i 60 di Pedro neanche Penelope - Questa volta non c’è fiesta per Pedro. Nemmeno nel giorno del suo compleanno che cade oggi. Lui, il massimo rappresentante vivente del cinema espanol, il regista di Donne sull’orlo di una crisi di nervi e di altre pellicole dove sensibilità e mondo cane si fondono, proprio non ce la potrebbe fare a mantenere accese, e a nervi saldi, 60 candeline nel mezzo di un acquazzone di fango, misto a critiche e guai che gli cade sulla rigogliosa chioma, non più biondo platino, ma grigio cenere. Da un po’ di tempo a Pedro Almodovar va tutto storto, tanto che ha festeggiato il suo genetliaco in sordina, quasi in segreto, senza le sue famose e rumorose goliardate, nascondendosi nell’anonimo ristorante madrileno Thai Gardens con pochi amici. E questo, per uno che ha cavalcato a gambe strette per un ventennio la movida, è quasi una vergogna. Se poi ci aggiungiamo che alla sue fiestita, ha dato buca anche la sua musa, Penélope Cruz, allora quasi viene voglia di dargli un "besazo" noi al "pobre" Pedro. Eppure, fino a gennaio, tutto sembrava girare discretamente. Los abrazos rotos, la sua ultima pellicola annunciata un anno fa come L’effetto notte spagnolo, idolatrata da tutti ancora prima di uscire, aveva creato un’attesa spasmodica nel Paese, schiacciato da guai ben più seri. Merito di un’abilissima operazione di marketing, della sua finta, goliardica, conferenza stampa madrilena del maggio 2008 quando aveva distribuito baci sulla bocca a tutti i presenti, giornalisti compresi e , ovviamente, senza distinzione di sesso. Con un sorriso abbagliante, Almodovar aveva annunciato l’inizio delle riprese «…del suo ennesimo capolavoro» in un autoproclama che aveva fatto sorridere persino qualche «desempleado» tra gli attuali 4,1 milioni di senza lavoro. Poi, è arrivato una persona che lui ben conosce e cui era molto amico che ha dato il via alla sua fucilazione mediatica, applicando un vero e proprio «cine-killeraggio» per tradurre lo slang spagnolo. stato Carlos Boyero, firma del El Pais. E anche compagno militante talmente rotto a sparare nel mucchio, per farsi notare, da essersi attratto le ire di un centinaio di cineasti spagnoli firmatari di un appello contro di lui e le sue sparate. Colpi spalleggiati, in quelle prodi esecuzioni, dal caporedattore delle pagine culturali Borjs Hermoso. Una specie di tandem della morte (altrui). E pensare che Pedro e El Paìs erano nati, entrambi, dalle ceneri del postfranchismo, nei Settanta. «La critica es libre», si difendono i guasconi de El Paìs, avvalendosi addirittura d’una «difensora del lector», tal Milagro Pèrez Oliva, che, per difendere il lettore-tipo di El Paìs da ogni sopruso, si erge a baluardo delle linee editoriali di casa, intortandolo con «il diritto alla critica include il diritto a criticare la critica...». Ci sarebbe di che perdere la trebisonda e l’ha persa, difatti, il bravo Almodovar, che, per vendicarsi di tanta ottusa pedanteria izquierda sta mettendo tutto nel suo cliccatissimo blog: http://www.pedroalmodovar.es. Diritto alla critica? «Quién ha dicho lo contrario?» - scrive - «Non sarà che stanno utilizzando la tribuna di cui dispongono "en su proprio beneficio"»? Il sospetto è legittimo, mentre in Spagna Los abrazos rotos non è piaciuto. Ha fatto discutere, ha diviso il pubblico già diviso. Almodovar, icona gbltq (gay, lesbica, bisex, transgender, queer), dunque politicamente corretto, è talmente nero che medita di dare mandato ai suoi legali di querelare El Pais. Inoltre, guaio tira guaio, L’Accademia del cinema spagnolo, non ha ammesso «Gli abbracci spezzati» alla terzina di film da cui poi l’Academy americana selezionerà il probabile film spagnolo in lizza per l’Oscar al miglior film straniero. I film preselezionati per la candidatura all’Oscar erano altri: El baile de la victoria di Fernando Trueba (non ancora uscito), Mapa de los sonidos de Tokio di Isabel Coixet e Gordos di Daniel Sanchez Arevalo.¿ Ma perché non piace l’ultimo Almodovar? La sceneggiatura ha seri problemi di ritmo, soprattutto all’inizio, e uno sviluppo che, nonostante la sua volontà di rottura, cade nei tic più ricorrenti del cineasta. Non riveleremo niente, però l’incidente d’auto come fatalità catalizzatrice della storia è un po’ ripetitivo. Per quanto pesi al regista, domina molto meglio il tono neo-realista che il cinema noir. Basta solo vedere le scene in cui partecipa Ángela Molina, che con due piani riempiono lo schermo di intensità, durezza e, per utilizzare un termine caro a Boyero, verità. Almodóvar è la definizione di regista-autore spagnolo per il controllo artistico e commerciale che ha della sua opera. Aspirazione a cui tutti i cineasti anelano ma che nel caso del manchego è diventata il suo peggior nemico. Da un lato l’assenza di un produttore che lo spinga a darsi da fare su certi aspetti dello sviluppo della sceneggiatura fa sì che, semplicemente si ripeta senza rimedio, cadendo nell’indulgenza, come nel caso dell’auto-omaggio a Donne sull’orlo di una crisi di nervi. Il personaggio divora l’artista.