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 2009  settembre 24 Giovedì calendario

LA FILIERA PRODUTTIVA GONFIA I PREZZI?!

Dal campo alla tavola i prezzi degli alimenti aumentano in media cinque volte, con rincari che sono superiori per nove al valore medio dell’inflazione. E questo, nonostante l’anno abbia visto crollare drammaticamente i prezzi alla produzione».
La denuncia è di Coldiretti, che indica anche la causa di tale meccanismo: «la grande distribuzione, che controlla una quota di mercato nei generi alimentari del 71% e rappresenta una vera e propria strozzatura nel passaggio dei prodotti dai campi alla tavola».
Lo scenario, secondo la confederazione dei coltivatori, è quello di «poche grandi piattaforme di acquisto che trattano sul mercato in condizioni di quasi monopolio». Da qui, anche l’appello all’Antitrust perché verifichi «se la grande distribuzione in Italia operi - come la Coldiretti ritiene - in abuso di posizione dominante e con prevaricazione delle migliaia di imprese agricole che non hanno nessun potere contrattuale per opporsi ad un diritto di accesso, pagando dazi per l’ingresso sul mercato».
Un «meccanismo infernale», per i produttori, ma anche per i consumatori. Coldiretti calcola - sulla base di rilevazioni della Camera di Commercio, Ismea e Smsconsumatori - che il 2009 sia «l’anno record dei rincari sugli alimenti». Qualche esempio? Un chilo di pesche ha un prezzo alla fonte di 35 cent e noi lo paghiamo 1,75 euro. Un ricarico, dunque, nel passaggio lungo la filiera che dai campi arriva alla tavola, del 465%. E questo, nonostante lo stesso prezzo del chilo di pesche alla produzione sia crollato, rispetto al 2008, del 53%.
La tabella di Coldiretti riporta altri esempi. L’uva a 47 cent al chilo che viene venduta nel negozio a 2 euro (+326%). La lattuga, da 26 cent a 1,6 euro al chilo (+515%). Le carote, il cui prezzo aumenta addirittura del 1.100%: da 10 cent al chilo a 1,2 euro (mentre il prezzo alla fonte è crollato sul 2008 del 71%). E poi, la pasta di grano duro, la cui forbice è compresa tra 20 cent e 1,4 euro (+400%). Oppure il pane, ricavato dal grano tenero: da 14 cent a 2,7 euro (+1.828%). Infine, il latte, il cui prezzo alla produzione è di 30 cent al litro e noi lo paghiamo 1,35 euro (+350%).
Pasta e pane sono indicati come casi limite. Coldiretti calcola che il prezzo al chilo attuale del grano è più basso di 25 anni fa: è passato infatti dai 23 cent del 1985 ai 14 cent. Eppure, la pasta costa notevolmente di più: dai 52 cent ha raggiunto quota 2,7 euro. Nel contempo, rispetto al 2008, i prezzi di grano duro e tenero alla produzione sono diminuiti rispettivamente del 30 e 33%.
«Pochi centesimi pagati agli agricoltori nei campi diventano euro al consumo», dice Coldiretti. Il risultato è che sia i consumatori (gli italiani spendono 205 miliardi di euro l’anno in alimenti e bevande, dei quali 141 miliardi in famiglia)), sia gli agricoltori s’impoveriscono. «I primi non possono beneficiare della forte riduzione dei prezzi agricoli in atto», mentre i secondi vedono crollare le quota.

Le reazioni alla denuncia della Coldiretti non si sono fatte attendere. La Federdistribuzione, anzitutto, tirata per i capelli con l’accusa di «monopolio».
Il presidente Paolo Barberini contesta la veridicità dei conti della confederazione dei coltivatori, che «continua a nascondere le inefficienze del sistema agroalimentare italiano dietro le accuse alla grande distribuzione». Barberini dice che nel mese di agosto i prezzi di frutta e verdura praticati nella distribuzione «hanno segnato un forte calo». In sintesi, «per la frutta la riduzione è stata dell’11% (sul 2008) e del 9,5% per la verdura. E così era stato anche a luglio, con cali rispettivamente di -13,5% e -7,4%. In flessione sui banchi di supermercati e iper anche i prezzi di latte (-2,8%), formaggi (-4%) e pasta (-6,8%)».
Attacca anche Confesercenti: «Chiudono migliaia di piccole imprese e si registra un calo dei consumi dello 0,5%: come si fa ad aumentare i prezzi in queste condizioni?».
Confcommercio parla di «demagogia e disinformazione». E spiega: «Le modalità di rilevazione dei prezzi all’origine e al consumo adottate da Coldiretti non sono omogenee in termini di prodotto e di prezzo osservato. Per l’origine, ad esempio, non si considerano le imposte, i costi del trasporto normalmente inclusi nel listino finale per il consumatore». E ancora: «Su un euro speso per i consumi, solo 9 centesimi vanno alla distribuzione: questo l’utile al netto degli oneri sostenuti per elettricità, combustibili, trasporto, imposte dirette e tante altre voci di costo vivo per il settore commerciale». Il reddito degli agricoltori, invece, «è già integrato a monte da ingenti sussidi pubblici al settore, ovvero 125 miliardi di euro tra 1996 e 2006, ma questo Coldiretti si guarda bene dal ricordarlo». Coldiretti replica: «Confcommercio nasconde la verità».
Nella bagarre intervengono anche i panificatori. Il presidente della Fippa, Luca Vecchiato, dice a Coldiretti di «non giocare con i numeri» e precisa che l’aumento del pane «nell’ultimo anno è stato dello 0,5%, l’equivalente di 13 cent al mese per una fam
Latte. Ortofrutta. Olio. E da ultimo i cereali. Oltre la metà della produzione agricola è messa a repentaglio dalla continua picchiata delle quotazioni, a cui si abbina una costante tendenza al rialzo dei costi di produzione che dura, peraltro, da diversi anni. Di fronte ad una situazione che è «sull’orlo del fallimento» - la definizione è di Franco Verrascina, presidente di Copagri - il mondo agricolo sceglie la strada della protesta.
Lo fa diviso perché ogni sigla sindacale ha, almeno finora, scelto di portare in piazza le proprie bandiere e i propri allevatori. L’obiettivo è quello di ottenere dal Governo non solo attenzione, ma anche risorse e interventi di semplificazione legislativa. Verrascina la vede così: «Alitalia, Fiat, banche chiedono e ottengono aiuti dallo Stato pagati da tutti i contribuenti. L’agricoltura, invece, resta la Cenerentola. Eppure vale il 16% del pil e garantisce sicurezza, salubrità e qualità dell’alimentazione».
Adesso, in vista dell’esame parlamentare del disegno di legge finanziaria, s’invoca l’intervento del primo ministro, Silvio Berlusconi. Del resto i dati dei prezzi del mese di agosto - meno 16% dei prezzi medi agricoli con punte di molto superiori - non sembrano lasciare dubbi sulla necessità di un intervento di Palazzo Chigi. Il presidente di Confagri, Federico Vecchioni, chiede un colloquio con il premier per discutere le «emergenze del settore agricolo». In Sardegna Confagricoltura ha chiamato a raccolta il ministro Zaia, il commissario Ue Mariann Fischer Boel, e il presidente della Commissione Agricoltura dell’Europarlamento, Paolo De Castro, per provare a trovare insieme le strategie per uscire dalla crisi.
Il punto di partenza è che «gli imprenditori hanno intrapreso tutte le azioni possibili per rafforzare l’impegno produttivo ricercando sinergie all’interno e all’esterno della filiera». Adesso però, conclude Vecchioni il governo deve sciogliere alcuni nodi, da quelli «della burocrazia con la radicale semplificazione degli adempimenti» e adottare «irrinunciabili misure sul costo del lavoro». Martedì Vecchioni spiegherà la sua posizione nel corso di un’audizione davanti alla Commissione Agricoltura della Camera.
Anche Giuseppe Politi, presidente Cia, si rivolge a Berlusconi invitandolo ad intervenire in prima persona. Il premier è invitato ai lavori della terza conferenza economica in programma a Lecce il 2 ottobre. Politi si dice preoccupato perché «uno scenario dalle tinte fosche rischia di aggravarsi ulteriormente in presenza di una Finanziaria per il 2010 che non prevede alcuna misura». Anzi, «almeno dalle dichiarazioni del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non si intravedono interventi a sostegno del settore».
Resta da capire che se il Governo troverà le risorse per dare una risposta a questo grido d’aiuto corale. Un primo segnale potrebbe arrivare stanziando le risorse per finanziare il fondo di solidarietà nazionale per le calamità naturali.