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 2009  settembre 23 Mercoledì calendario

DALL’ACCIAIO ALLA TECNOLOGIA COSI’ E’ RINATA PITTSBURGH


Pittsburgh? Ma davvero? Così ha reagito mezza America quando la casa Bianca ha annunciato la sede del G20 del 23 settembre. Appena Robert Gibbs, portavoce di Obama, ne dette l’annuncio in sala stampa si sollevò un mormorio istantaneo, costellato da risolini. «Pittsburgh suscita l’ilarità della sala stampa» annunciò - per niente offesa - la televisione della città. In effetti i primi ad essere sorpresi sono stati forse proprio i pittsburghesi. Una città semplice, umile, che ha ancora radici operaie, perché è da lì che è nata. A fine Ottocento Pittsburgh registrò una crescita senza precedenti: nel 1860 contava 43 mila abitanti, 50 anni dopo la popolazione era più che decuplicata, arrivando a 533 mila. Nel 1911 Pittsburgh produceva metà di tutto l’acciaio americano. Con le guerre mondiali la produzione di acciaio aumentò e negli Anni Cinquanta Pittsburgh arrivò quasi a 700 mila abitanti.
Una città prospera, ma anche varia e multietnica perché le fabbriche avevano attratto lavoratori da tutto il mondo: tedeschi, polacchi, e anche tantissimi italiani. Nel quartiere di Bloomfield si trovano ancora botteghe piene di statuette di San Gennaro o negozi come Donatelli’s o Pennsylvania Macaroni, dove si trovano pasta, mozzarelle, prosciutti e panettoni, tutto rigorosamente di marca italiana.
La semplicità e l’umiltà di Pittsburgh nascono da queste radici operaie e popolari, ma anche dall’aver assaporato il declino e la sconfitta. Perché quando negli anni Settanta si cominciò a sentire la concorrenza internazionale, che produceva acciaio a prezzi più bassi, Pittsburgh entrò in una depressione senza precedenti. Nei primi Anni Ottanta perse 153 mila posti di lavoro, la popolazione cominciò a calare inesorabilmente fino a quota 300 mila. Le enormi e splendide case vittoriane furono abbandonate, interi quartieri si spopolarono. L’unica cosa che rimase di quell’epoca tanto operosa furono fabbriche vuote e tanto, tanto inquinamento. Pittsburgh era una delle città più sporche e inquinate d’America. Lo scrittore James Parton la descrisse come «un inferno senza coperchio».
Oggi che è tornata alla ribalta giornalisti e media di tutto il mondo all’improvviso si sono accorti di lei, e la sua rinascita viene presentata fulminante e istantanea. Si racconta dei progetti edilizi da milioni di dollari che imperversano in downtown, o dell’avanzatissimo ospedale per bambini inaugurato un paio di anni fa. Ma questo è solo l’ultimo pezzo della storia.
La rinascita di Pittsburgh e’ stata lenta e caparbia, come la gente che ci abita. E non è nata dal nulla. Le tanto osannate aziende high tech o le super cliniche mediche hanno radici lontane. Perché Pittsburgh non è stata solo acciaierie e carbone. Al contrario, è sempre stata un luogo ricco di scienza e tecnologia. Fu qui che l’imprenditore George Westinghouse fondò la Westinghouse Electric Company, i cui «laboratori delle meraviglie», agli inizi del secolo scorso stupivano gli americani con le prime radio, televisioni, frigoriferi, e altre cose all’epoca incredibili. Ed è qui che Jonas Salk fece le sue sperimentazioni che portarono alla scoperta del vaccino antipolio: un vaccino nato anche grazie alla disponibilità di migliaia di pittsburghesi che per anni si sottoposero volontariamente ai suoi esperimenti o ne finanziarono la ricerca.
Tutto è cominciato a fine anni Ottanta, quando si cominciarono ad intravedere i segnali di una nuova rivoluzione tecnologica. Quella poteva essere la via d’uscita per una città che aveva perso le sue fabbriche, ma aveva ancora uno dei centri tecnologici più all’avanguardia del paese, con l’università di Carnegie Mellon, e una ricerca medica avanzatissima all’Università di Pittsburgh. Così tutte le risorse della città e dei suoi magnati sono andati a supportare centri di ricerca, progetti di trasferimento tecnologico, nuove aziende che commercializzassero le tecnologie. Da questi sforzi sono nate aziende all’avanguardia, come il motore di ricerca Lycos, nato dal progetto di un professore di Carnegie Mellon, o la Fore Systems, una delle prime aziende di internet switching equipment fondata da tre ricercatori della stessa università.
Bill Gates viene ad scegliere i suoi direttori di ricerca in questi laboratori e ha investito 20 milioni di dollari per costruire proprio qui il nuovissimo Gates Center for Computer Science. Lo stesso vale per innumerevoli aziende di biotecnologie nate da progetti dell’Università di Pittsburgh. Grazie a questa massiccia iniezione di risorse e fiducia nella ricerca più avanzata le università pittsburghesi si sono affermate a livello internazionale ed hanno attratto migliaia di studenti, ricercatori e professori da tutto il mondo, che si sono insediati nei quartieri circostanti l’università, come i quartieri di Shadyside e Squirrel Hill, ingrigiti e spopolati negli anni piu’ bui. Con gli studenti sono arrivati i caffè, i localini, i negozi di dischi. E con i facoltosi docenti sono arrivati anche i negozi di lusso, le piccole boutique, i ristoranti di qualità, e tante villette abbandonate hanno ritrovato splendore. A metà anni Novanta i segnali erano già visibili.
Ecco, è questa la rinascita di Pittsburgh, nata da un misto di investimenti e lungimiranza dei ricchi pittsburghesi che in modo caparbio e sistematico hanno investito nella città, ma anche da un insieme di fattori assolutamente spontanei. Perche’ alla fine la vera forza di Pittsburgh è proprio questa: forse non colpisce il turista o il businessman frettoloso, ma sa farsi voler bene da chi ci abita.
Anche per questo che chi ci ha vissuto per qualche anno continua a considerarla «casa» a lungo. Basta pensare a Michael Chabon, rivelazione letteraria degli ultimi anni, che dopo gli anni all’Università di Pittsburgh ha continuato per anni ad ambientare i suoi romanzi nella vecchia città pensilvena. Oppure a Burton Morris, uno dei maggiori esponenti della nuova pop-art americana. Morris si è trasferito a Los Angeles, vicino ai suoi clienti più ricchi. Ma lo si vede ancora spesso passeggiare nel quartiere di Shadyside, seduto ai bar di Walnut Street o a chiacchierare con i proprietari della Moser Gallery, che ancora conserva alcuni dei suoi primissimi pezzi.
Come ha dichiarato uno studente a un giornale locale «it’s a city that grows on you», «una città che ti cresce addosso», che apprezzi piano piano. assai probabile che le migliaia di giornalisti che si stanno precipitando a Pittsburgh resteranno delusi, e si chiederanno «ma perché Pittsburgh?». Ma in fondo è giusto che sia così. Altrimenti Pittsburgh non sarebbe più Pittsburgh, con la sua anima e i suoi misteri.