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 2009  settembre 23 Mercoledì calendario

DE MICHELIS CONSULENTE DI BRUNETTA «IO, UN PADRE CHE TORNA AI FIGLI»


«Renato? Non è mai stato povero come dice. Chi vendeva gondolette faceva i soldi»

ROMA – «Mi sono ricongiunto con i miei figli. Berlusconi mi aveva scippato la mia vecchia corrente del Psi... Ora ci siamo ritrovati».
Venticinque anni fa, Gianni De Mi­chelis era il ministro e Renato Brunet­ta il consigliere. Ora la situazione si è rovesciata. Brunetta, dopo aver defi­nito il maestro «la migliore intelligen­za politica degli ultimi cinquant’an­ni », l’ha assunto come consulente. A prezzo adeguato?
«Macché. Quarantamila euro lordi l’anno: praticamente volontariato – sorride De Michelis, capello corto e pancia ridimensionata ”. Però sono felice di dare un contributo di idee». E Brunetta a che punto è nella classifi­ca delle intelligenze? «Fascia alta. In­ventore, e faticatore. Ero ministro del Lavoro durante la trattativa sulla sca­la mobile, lo chiamai e gli dissi: ’Re­nato, stanotte non si dorme. Per do­mattina voglio un dossier con tutte le nostre proposte ai sindacati’. All’alba aveva scritto il ’libretto rosso’: forse il miglior testo di politica del lavoro degli Anni 80 in Europa. Certo, a vol­te l’intelligenza gli scappa». Come nel­la sparata sul golpe delle élite? «Tut­t’altro. Brunetta ha lanciato un allar­me, e ha fatto benissimo. Lasciarci travolgere per la seconda volta, come nel ”92, sarebbe imperdonabile. An­che Craxi aveva fatto come Brunetta, quando alla Camera chiamò tutti i partiti a corresponsabili di Tangento­poli; dopo però non fu conseguente. Si accucciò, e uso questo verbo non a caso». Che c’entra Cuccia? «Era l’uo­mo più potente d’Italia, e certo non amava il sistema politico del tempo. Eppure Mani Pulite si poteva chiude­re in due mesi: noi socialisti avevamo Palazzo Chigi, la Giustizia, la Difesa, vale a dire i servizi e i carabinieri. Do­vevamo fare subito il decreto per de­penalizzare il finanziamento illecito. Invece ci dividemmo: Martelli tentò di fregare me e Bettino, Amato badò a salvare la ghirba. Con un cane da guardia come Brunetta, Berlusconi non finirà così».

Anche adesso voi socialisti non sie­te messi male. «In effetti. Agli Esteri c’è Frattini, cresciuto alla corte del no­stro ’grand-commis’ Nino Freni e portato da Martelli. Poi c’è la Boni­ver, che capisce la politica estera. A Palazzo Chigi c’è Bonaiuti, un amico: lui era proprio demichelisiano. Capo dei deputati è Cicchitto, che ha una finissima cultura marxista; certo più di Bersani, che qualunque cosa dica dà sempre l’impressione di averla ap­presa dal bignamino. Alla Cgil c’è Epi­fani, che nel Psi è sempre stato alla mia destra, prima demartiniano poi craxiano. All’Economia c’è Tremonti, cresciuto con Reviglio e Formica. Fu Sacconi a farmelo conoscere, nell’85: mi parlò della ’lex mercatorum’, e io che ho studiato chimica rimasi im­pressionato. Ma i miei figli sono ap­punto Sacconi e Brunetta».

Com’era Brunetta da giovane? «Non così povero come dice». Non vendeva gondoete di plastica? «Sì. Pe­rò le bancarelle di Lista di Spagna, di fronte alla stazione, erano le più am­bite di Venezia: chi le aveva faceva i soldi. Comunque non c’è dubbio che Renato si sia fatto da solo. Comin­ciammo a lavorare insieme nel ”77. Avevamo appena conquistato la mag­gioranza al Petrolchimico, la Mirafio­ri del Nord-Est, e facemmo un gran­de convegno, invitando anche Cefis. Gli dissi: ’Renato, stanotte non si dor­me. Per domattina voglio la relazio­ne’. All’alba era già ciclostilata in 200 copie. Cefis rimase colpito dal livel­lo ». Aveva il complesso dell’altezza? «Un pochino. Ma gli servì per emerge­re » .

«Sacconi invece lo conosco dal ”72. Faceva il maestro di tennis. Giocava da fondocampo, come Barazzutti: se­conda categoria; una promessa. Pre­valse la politica. Nel ”79 ci presentam­mo in cop­pia, io numero 1 e lui 13, e lo fe­ci entrare alla Camera. Brunetta inve­ce era candidato sempre a Venezia centro, dov’eravamo schiacciati tra i commercianti democristiani e i por­tuali comunisti, e non veniva mai eletto. Si arrabbiava: ’Gianni, non hai capito che il migliore sono io?’. Il tempo gli ha reso giustizia». Sacconi racconta di una vostra fuga per timo­re di un golpe, uno vero. ’Il Pci stava all’erta, e noi discutevamo su dove espatriare. Maurizio proponeva la Ju­goslavia. Gli risposi che ci avrebbero rimandati indietro; meglio la Svizze­ra, come Lenin».

«Già allora i miei due figli erano molto diversi. Sacconi è metodico tanto quanto Brunetta è esplosivo. Maurizio ha un metodo di lavoro più tradizionale, strutturato, simile al mio: uno più uno fa due. Renato è l’opposto. Ho già partecipato a una decina dei suoi staff-meeting: ci sono 35-40 persone, giovani e veterani co­me Davide Giacalone, lui ascolta e nel giro di un’ora decide. Il fatto che si sia messo in casa una personalità ingombrante come la mia significa che non ha paura di nulla. Altri prefe­riscono essere circondati da persone che non li valgono». Si riferisce a Ber­lusconi? «Berlusconi nel 2001 mi dis­se che non poteva candidarmi perché ero ’impresentabile’. Ma non gliene ho mai voluto, e l’ho appoggiato fino al 2007. Ho cercato di salvare una pre­senza autonoma dei socialisti, non ci sono riuscito. Silvio fa bene a reagire così agli attacchi: muoia Sansone con tutti i filistei, se necessario». Finirà la legislatura? «Non vedo motivi per cui non debba finirla. Però non sarà giu­dicato dalla durata, ma da come l’Ita­lia uscirà dalla crisi. Resto convinto che, in questa fase, questo paese si go­verna solo con una grande coalizio­ne. Magari l’avesse fatta Prodi nel 2006. A proposito, il ministro delle Partecipazioni Statali che portò a Pa­lazzo Chigi la nomina di Prodi alla presidenza dell’Iri ero io...».