Mario Biagioli, Corriere della sera 23/09/2009, 23 settembre 2009
GALILEO STRATEGIA DI UN MONOPOLIO
Teneva segrete fino all’ultimo le sue scoperte Così impediva che altri le replicassero
Gli scienziati moderni difendono in maniera sempre più aggressiva la proprietà intellettuale, brevettando le loro scoperte e, a volte, tenendole segrete. Galileo Galilei anticipò questa tendenza. Fin dall’inizio della carriera Galileo rivendicò la paternità delle sue invenzioni, e ovviamente adottò il medesimo atteggiamento protettivo anche nei confronti del telescopio e delle scoperte astronomiche del 1610.
Temendo che altri astronomi si attribuissero il merito delle sue scoperte, si affrettò a pubblicarle, ma diede pochissime informazioni su come costruire il telescopio. Diversamente da quel che si crede, gran parte dell’opposizione alle scoperte che fece con il telescopio non derivava da considerazioni filosofiche, ma dal segreto con cui le circondava. La rischiosa strategia alla fine si dimostrò efficace: la magistrale descrizione, in testo e in immagini, delle sue scoperte fatta nel Sidereus nuncius , assieme alla reticenza sui suoi strumenti, gli permise di avere il monopolio quasi totale delle prime scoperte fatte con il telescopio, facendolo diventare quella «star» che oggi ammiriamo e festeggiamo.
La maggior parte degli storici ha sostenuto che le scoperte di Galileo non erano ovvie e che poté farle, e avvalorarle, grazie alle sue particolari attitudini percettive (forse legate alla sua formazione nelle arti visive), all’adesione alle teorie copernicane, o a una speciale abilità nel costruire telescopi. Anche se sono spesso interessanti e acute, queste teorie non tengono conto che, nonostante tutte le implicazioni percettive e cosmologiche associate a quelle scoperte, e nonostante l’ambiguo status epistemologico dello strumento che le rese possibili, le scoperte di Galileo furono ampiamente accettate già nove mesi dopo la loro pubblicazione nel Sidereus nuncius , avvenuta nel marzo 1610. La cosa è particolarmente notevole, visto che i satelliti di Giove quell’estate non furono visibili per circa due mesi, che i canali di circolazione delle teorie filosofiche non erano allora né diffusi né veloci, e che per sostenere queste scoperte bisognava saper costruire e usare uno strumento del tutto nuovo.
Un diverso quadro emerge se si osserva il personale protocollo di lavoro adottato da Galileo e quanto lo scienziato abbia aiutato (o piuttosto non aiutato) gli altri a replicare le sue scoperte. Galileo si comportava come se la verifica delle sue osservazioni non presentasse difficoltà. La sua principale preoccupazione non era tanto che le sue scoperte potessero essere confutate, quanto che diventasse troppo facile farne di nuove per chi era in grado di replicarle, privandolo così dei riconoscimenti futuri. Cercò quindi di frenare i potenziali emulatori per impedire che si trasformassero in concorrenti, e lo fece negando loro l’accesso ai telescopi più potenti e celando i dettagli della loro costruzione.
A queste tattiche aggiunse il segreto sulle sue scoperte, che mantenne fino alla pubblicazione del Nuncius . Prima della pubblicazione Galileo tenne all’oscuro dell’esatta posizione dei pianeti Medicei anche i suoi mecenati, per impedire che facessero inavvertitamente trapelare informazioni che permettessero ai suoi concorrenti di batterlo sul tempo, e chiese al segretario dei Medici di trattare la sua corrispondenza su questi argomenti con la stessa discrezione riservata alle questioni diplomatiche importanti. Per evitare qualsiasi fuga di notizie da parte dello stampatore del libro, Galileo gli diede la sezione sui pianeti Medicei solo all’ultimo momento, e probabilmente gli fece giurare di mantenere il segreto sull’intero contenuto dell’opera.
Il Nuncius fu costruito abilmente, per ottenere il massimo dei riconoscimenti da parte dei lettori fornendo allo stesso tempo il minimo di informazioni ai possibili concorrenti. Benché il lavoro di ricerca, stesura e stampa avesse richiesto meno di tre mesi, il libro offriva la descrizione precisa delle osservazioni di Galileo, con abbondanti illustrazioni a sostegno delle scoperte. Diceva però ben poco sulla costruzione di un telescopio con cui poterle replicare.
Galileo spiegò sinteticamente (con abbondanza di date e nomi, ma con pochi particolari tecnici) come avesse costruito il suo strumento. Non disse ai lettori come molava le lenti – la particolare abilità che gli diede un vantaggio rispetto ai primi costruttori di telescopi – né parlò delle dimensioni del suo telescopio, del tipo di vetro, del diametro o della lunghezza focale delle lenti che usava, e non fece menzione del diaframma che aveva posto sull’obiettivo per migliorarne la risoluzione. Fornì solo un semplice diagramma dello strumento, dicendo ai suoi lettori che senza un telescopio da almeno 20 ingrandimenti avrebbero cercato «invano di vedere tutte le cose osservate da noi nei cieli». Promise di scrivere un libro sul funzionamento del telescopio, ma non lo diede mai alle stampe, e non abbiamo alcun manoscritto che documenti una simile intenzione.
Quel che sto dicendo sembrerebbe contraddetto dal fatto che Galileo, poco dopo la pubblicazione del Nuncius , distribuì parecchi telescopi in tutta Europa. Li inviò, però, a principi e cardinali, non a matematici. Principi e cardinali non erano colleghi, e non potevano quindi essere rivali. Il loro appoggio serviva a rafforzare la sua credibilità agli occhi del granduca, ma la loro posizione sociale impediva che concorressero con lui nella caccia alle novità astronomiche. Inoltre la maggior parte dei principi e dei cardinali aveva già avuto per le mani dei telescopi di scarsa potenza, che fin dal 1609 i vetrai facevano avere a loro, ma non agli astronomi o ai filosofi.
Verso la fine di quello stesso anno questi telescopi avevano perduto l’aura di mirabili marchingegni ed erano diventati, per gli standard dei nobili, oggetti di poco prezzo, prodotti in parecchie città italiane da artigiani stranieri e da occhialai locali. I principi usavano i telescopi – puntandoli più su oggetti terrestri che celesti – assai prima che cominciassero a circolare le voci sulle scoperte di Galileo, e prima che la maggior parte degli astronomi avesse cominciato a mostrare un serio interesse per essi. Agli occhi di Galileo principi e cardinali costituivano un pubblico poco temibile e molto utile. Avendo con il telescopio maggiore dimestichezza dei filosofi o degli astronomi, avrebbero probabilmente apprezzato la qualità superiore dei suoi strumenti e saputo dare il giusto peso alle sue scoperte. Al contempo, non sarebbero entrati in competizione con lui e, non avendo un particolare interesse professionale o filosofico verso le sue scoperte, avrebbero avuto meno ragioni per contrastarle.
L’atteggiamento differenziato che Galileo adottò nei confronti dei suoi diversi interlocutori si dimostrò efficace: alla fine del 1610 aveva ottenuto, sull’astronomia telescopica, un monopolio che conservò grazie alle risorse che aveva a disposizione come matematico e filosofo del granduca di Toscana.