Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 23 Mercoledì calendario

MILLE INDIRIZZI PER GLI ALIENI SI AVVICINA L’ORA DEL CONTATTO


Il mistero degli extraterrestri (c’è qualcuno nel cielo là fuori?) vola su due livelli ben distinti: al primo ci sono le migliaia di osservazioni oculari di dischi volanti, le foto e i film con le immagini sgranate, e le presunte vittime di rapimenti; mentre al secondo livello si posizionano gli astronomi, che provano a captare le emissioni radio di civiltà sconosciute (programma Seti) o che cercano nello spazio profondo le condizioni adatte a ospitare la vita (missioni Corot e Kepler). Volendo fare il punto, il minimo che si possa dire è che a questi due livelli non si viaggia alla stessa velocità.
Quella che potremmo definire l’ufologia popolare sembra finita in un cul-de-sac, nonostante i risultati più che rispettabili che ha messo insieme negli anni. Fatta la tara di tante vere e proprie bufale e dei non-misteri facilmente spiegabili con un po’ di analisi seria dei fatti, si è cumulato su dischi volanti e affini un notevole numero di osservazioni empiriche meritevoli di approfondimento da parte delle autorità militari. Per fare un solo esempio, uno dei casi più interessanti e studiati a livello internazionale è l’oggetto luminoso bianco-azzurro che comparve sull’aeroporto di Torino Caselle il 30 novembre 1973 (ne riferì ampiamente «La Stampa», per chi ha l’età per ricordare). Fu un episodio notevole, perché non solo la «cosa» fu vista a lungo, e persino inseguita, da diversi piloti in volo, ma anche perché lasciò una traccia radar del suo percorso (a zig-zag), della sua velocità (almeno 400 chilometri all’ora) e delle sue dimensioni (l’oggetto fu paragonato a un Dc-8 o un Caravelle, aerei di linea di allora).
Altri casi del genere compaiono in letteratura, e testimoniano che un mistero serio e vero su cui indagare effettivamente c’è. Ma a parte il fatto che si possono azzardare delle spiegazioni naturali, sia pure forzate e un po’ sbilenche (fulmini globulari di lunga durata, cumuli di energia elettrostatica condensata in plasma o altri fenomeni atmosferici ancora sconosciuti, che in ogni caso è un grosso azzardo presumere) anche il più appassionato studioso degli Ufo probabilmente dovrà ammettere che la «pistola fumante» ancora non c’è: non abbiamo una prova diretta e inconfutabile di presenze extraterrestri che ci abbiano mai sfiorato e con il passare degli anni non sembra che ci siamo avvicinati a mettere le mani su questa benedetta prova definitiva. Si accumulano le osservazioni, eppure rimaniamo in stand-by.
Diverso il caso dell’altro livello di studio della vita extraterrestre, quello delle ricerche astronomiche. Negli ultimi anni, e persino negli ultimi mesi, gli scienziati hanno raccolto sempre più dati empirici che ci aiutano a raffigurarci un Universo via via più idoneo a ospitare organismi viventi. Per dirne una: fino agli Anni 90 tutti davano per certo che fuori dal Sistema solare esistessero dei pianeti (a loro volta piattaforme indispensabili per concepire la vita), ma all’atto pratico non ne era stato individuato nemmeno uno. La loro esistenza era questione di fede. Adesso non più: nella Via Lattea ne abbiamo già scoperti 374 e oltretutto all’inizio erano tutti dei giganti gassosi tipo Giove, ben poco ospitali, mentre pian piano abbiamo scovato alcuni pianeti più piccoli e probabilmente rocciosi e più simili alla nostra Terra. Il requisito minimo per la vita. Un concreto passo avanti.
Da sporadiche com’erano all’inizio, le ricerche di questo tipo si sono fatte sistematiche. Dal 2007 la sonda spaziale europea Corot tiene stabilmente sotto osservazione 60 mila stelle per misurarne le oscillazioni e scoprire così le prove indirette di eventuali pianeti in orbita. Più di recente, la Nasa americana ha lanciato la Kepler, che fa la stessa cosa con un altro lotto di 100 mila stelle. L’obiettivo non è solo accrescere il numero dei pianeti noti, presi ognuno per conto suo, ma anche fare statistica per proiettare i dati su tutto l’Universo e capire quanti pianeti è verosimile aspettarsi di trovare nel cosmo.
Però individuare i pianeti non basta; poi bisogna indagare le condizioni che si trovano sulla loro superficie. Alla vita serve acqua liquida, perciò almeno in certe zone la temperatura deve essere fra zero e 100 gradi (altrimenti l’acqua giaccia tutta o evapora) e ci vuole pure la presenza di altri elementi utili (carbonio, ossigeno eccetera). Come facciamo, a tanta distanza, a fare delle analisi così fini? Sia gli americani sia gli europei stanno preparando delle missioni spaziali in cui più sonde, operando insieme a grande distanza fra loro, e coordinando le loro osservazioni tramite computer, opereranno come fossero singoli telescopi di enormi dimensioni, in grado di «vedere» le atmosfere dei piccoli pianeti remoti per poi farne la spettroscopia.
Queste sono prospettive futuribili, ma già un anno fa l’astrofisica italiana Giovanna Tinetti ha pubblicato su «Nature» (la rivista che consacra il successo scientifico mondiale) una scoperta riguardante l’oggetto cosmico «HD 189733b», che ruota attorno a una stella della costellazione Volpecula a 63 anni luce dalla Terra: ebbene, dall’analisi spettroscopica la Tinetti ha individuato la presenza di acqua (in forma di vapore) e di metano, indispensabili al brodo primordiale da cui è nata la vita sul nostro pianeta. la prima volta che su un pianeta esterno al Sistema solare si intercetta del vapore acqueo. Certo, fra scoprire un soffio di umidità e fare quattro chiacchiere con ET c’è ancora un bel salto, ma la scienza va avanti così.
Invece la fantascienza corre di più. Nel film «District 9», in arrivo nei cinema italiani, gli extraterrestri atterrano sul nostro pianeta in cerca di fortuna, ma incontrano a un destino gramo: scoprono di essere sbarcati dalla loro astronave nel Sud Africa degli Anni 80, ancora epoca di apartheid, e vengono maltrattati come una minoranza etnica delle più schifose. In un’altra pellicola imminente sui nostri schermi, «Aliens in the Attic», alcuni invasori spaziali vorrebbero conquistare la Terra ma non riescono neanche a sfrattare di casa una famigliola americana. Dalla terrificante «Invasione degli ultracorpi» degli Anni 50 le relazioni galattiche si sono un po’ rilassate.