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 2009  settembre 23 Mercoledì calendario

«UNA GUERRA CIVILE CONTRO IL FISCO»


«Gli Stati fiscali organizzati reclamano ogni anno la metà dei benefici economici delle proprie classi produttive per poi riversarli al fisco, senza che le persone coinvolte tentino di salvarsi con la sola reazione plausibile, la guerra civile antifiscale». Parole firmate sulla ”Frankfurter Allgemeine Zeitung” dal più vivace filosofo vivente, Peter Sloterdijk.

Sloterdijk non piace a nessuno. Considerato un difensore della ridistribuzione statale e un fiero avversario delle politiche neoliberali, ora, in confronto diretto con la realtà, cambia le sue opinioni e sconvolge le penne benpensanti. In Italia durante lo scorso fine settimana per i festival (Pordenonelegge), è stato snobbato in quanto inclassificabile e libero, come dimostra questo articolo da poco apparso in Germania, perché, a differenza di molti colleghi, non serve sul piatto le cose che gli ascoltatori si aspettano da lui. Ma rilancia verso l’alto.

Sloterdijk, che insegna all’Università di Karlsruhe, non è nuovo a simili uscite. Già nel 1999 aveva turbato il sonno di Jürgen Habermas, uno dei soloni moralizzatori della filosofia tedesca. Il vecchio capofila della Scuola di Francoforte lo aveva accusato di riproporre pratiche eugenetiche perché in un suo saggio aveva parlato di «addomesticamento dell’uomo da parte della tecnica». Come se non bastasse, poi ha stupito anche i filosofi abituati a giocare con le parole con l’ambiziosa opera Sfere (tre volumi di oltre 700 pagine l’uno!), in cui prova a ricostruire filosoficamente la storia del mondo e dell’uomo, dalle origini agli anni a venire. Ora, in questi ultimi giorni, sorprende i tutori del politicamente corretto con le sue prese di posizione sull’economia e le tasse.

«Gli osservatori liberali del meccanismo fiscale, di questo mostro cleptocratico alla base dell’attuale Stato sociale», scrive Sloterdijk, «hanno il merito di aver attirato l’attenzione sui pericoli inerenti al nostro sistema: la iper-regolamentazione frena eccessivamente lo slancio imprenditoriale; la iper-tassazione penalizza i risultati raggiunti; l’iper-indebitamento, a causa del quale il rigore del bilancio - sia nel settore pubblico, sia in quello privato - si trova stritolato dalla frivolezza speculativa». E il filosofo non viaggia nel mondo delle idee, ma snocciola i dati. «Lo Stato si accaparra la metà delle rendite di ogni attività economica della società, il 48% in Germania e il 53% in Francia. E questa azione fiscale non è disinteressata. Lo Stato moderno sostiene milioni di servitori di cui non dimentica mai gli interessi. la ragione per cui un giovane francese non sogna più l’esistenza libera e selvaggia, ma un impiego pubblico...».

In questa cornice politica ed economica, la domanda se «il capitalismo avrà un futuro?» è mal posta. « sotto i nostri occhi», continua il filosofo tedesco, «che non viviamo in un sistema capitalista, ma in un ordine di cose che bisogna definire, con prudenza, come una forma di semi-socialismo animato dai media di massa e che si sviluppa grazie allo Stato fiscale».

L’azione di questo moloch pantagruelico è inarrestabile. «L’imposta progressiva sul reddito non costituisce niente di meno che l’equivalente funzionale dell’espropriazione socialista, con il vantaggio notevole che la procedura può essere ripetuta per anni e anni» e finisce per capovolgere anche il vecchio conflitto tra sfruttati e sfruttatori. «Le attuali condizioni di sfruttamento sono cambiate: una volta si accumulavano le ricchezze a detrimento dei poveri, ora invece sono le forze improduttive che vivono sulle spalle di quelle produttive» tramite il sistema delle tassazioni. per questo che «il lavoro e il capitale non sono più in opposizione. Ora prima del contratto tra imprenditore e operaio, c’è il credito che lega il creditore al debitore. E in questa nuova guerra, operai e padroni si trovano nello stesso campo, quello di coloro che producono e donano».

Un rischio che non grava solo sulle nostre teste. «Ora come ora, il pericolo maggiore per l’avvenire del sistema dipende dall’indebitamento dei nostri Stati intossicati dal keynesismo. La storia dei prelievi fiscali, dall’epoca dei faraoni fino alle riforme monetarie del XX secolo, è qui a dimostrarlo: ciò che è nuovo è che la ”mano che prende” va a servirsi nelle tasche delle generazioni a venire», lasciandole già da ora senza risorse e abbandonandole a se stesse.

Ma Sloterdijk non teme di scendere nell’agone politico. Nell’intervista rilasciata questa settimana al settimanale francese ”Le Point”(rintracciabile anche nelle edicole italiane) il filosofo sottolinea le politiche fallimentari della sinistra. «Oggi essere di sinistra significa immaginare che il tasso del prelievo fiscale possa arrivare fino al 60%, mentre essere di destra equivale a ritenere che la percentuale delle tasse debba fermarsi al 35%. Tutto l’arco politico è contenuto entro questo margine. Siamo chiari: viviamo già in un sistema semi-socialista reale, ma si continua a promettere un socialismo a venire. L’autodistruzione dei socialisti francesi dipende da questo».

Occorre rivoluzionare il modo di vedere le cose. Poiché l’opinione comune «pensa che i ricchi siano colpevoli e i poveri innocenti e questo è frutto di una comunicazione detestabile che è nutrita da gelosia sociale e che a sua volta la alimenta. Esiste un legame profondo tra questa macchina che produce invidia e la desolidarizzazione della società».