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 2009  settembre 23 Mercoledì calendario

SULLE BANCHE ARRIVA UNA BOMBA DA 11 MILIARDI


 una bomba ad orologeria di 11 miliardi di euro. Pronta ad esplodere nel 2010 e a trasformarsi nella vera crisi del sistema bancario italiano. A tanto ammontano, infatti, quelli che tecnicamente si chiamano ”finanziamenti bullet” in scadenza per l’anno prossimo. Si tratta di prestiti normalmente della durata di 4-6 anni che durante quel periodo prevedono solo il rimborso degli interessi maturati: il capitale viene restituito integralmente al momento della scadenza. Undici miliardi di euro sono una cifra assai alta per un anno solo, dovuta al fatto che il 2005 è stato un anno boom di progetti da finanziare, di speranze di crescita economica e di tassi comunque mediamente bassi. Il problema è che gran parte dei progetti a cui erano legati quei finanziamenti non solo non hanno avuto particolare sviluppo, ma nemmeno sono stati cantierati. Tutto fermo a Roma dove il piano regolatore pensato da Walter Veltroni prima di candidarsi a palazzo Chigi è stato fermato in extremis nel 2008 bloccando progetti e cantieri già finanziati dei vari Toti, Parnasi & c. Quei bullet, imbullonati appunto alla scadenza del 2010, sono legati a Firenze al gruppo Fusi (quasi un miliardo), a Milano al progetto City life di riqualificazione della vecchia Fiera che arranca e anzi recentemente ha segnalato la necessità di nuova finanza (1 miliardo anche qui). I cantieri non ci sono, e il rischio che quei finanziamenti alla scadenza non possano essere restituiti è assai alto. un tema all’attenzione della Banca di Italia che non nasconde le sue preoccupazioni. Già 29 maggio scorso il governatore Mario Draghi nelle sue considerazioni annuali aveva spiegato: «Stanno aumentando rapidamente le sofferenze e gli impieghi classificati come ”incagliati”, cioè con temporanee difficoltà di rimborso. L’esperienza precedente mostra che la recessione continuerà a pesare sulla qualità del credito anche per due o tre anni dopo l’inversione ciclica». I suoi tecnici nella relazione di accompagnamento avevano fornito i dati del primo trimestre 2009, con un aumento di oltre 5 miliardi di euro delle sofferenze nette nel sistema bancario italiano e una previsione per fine anno di raggiungimento dell’1,6% dei prestiti in essere. L’anno precedente questa percentuale era dell’uno per cento.

Solo che nonostante i timori della vigilanza e questa mina pronta ad esplodere sono assai pochi gli istituti di credito che si sono attrezzati al peggio. Poche e non significative le svalutazioni, accompagnate dall’ostinazione con cui ancora oggi i principali istituti di credito e le fondazioni che ne sono azioniste rifiutano l’utilizzo dei salvagenti messi a disposizione dal governo, come i cosiddetti Tremonti bonds. Qui la partita è tutta politica, e lo dimostra anche l’ipotesi di aumento di capitale Unicredit che Alessandro Profumo ha discusso la scorsa settimana con le fondazioni emiliane: si cerca di dare fondo alle ultime risorse a disposizione per evitare di consegnarsi teste e mani a Tremonti e comunque temendo il contrappasso di una direzione politica del credito.

Questa battaglia si è riflessa anche nei conti dei principali istituti. Ci sono ancora buoni utili in quasi tutte le semestrali, anche se in calo rispetto al 2008: 322 milioni per Mps (522 l’anno prima), 937 milioni per Unicredit (erano 2,96 l’anno precedente), un miliardo e 580 milioni per il gruppo Intesa- Sanpaolo (contro i 3,1 del 2008). L’impressione- e bisogna dire pure il timore- è che le banche italiane non abbiano tirato fuori come è accaduto già nel secondo semestre 2008 negli Usa e nel resto del mondo- la spazzatura. Non abbiano fatto quella pulizia che - il caso Risanamento (rischioso per Intesa anche grazie all’ultimo bridge concesso da 179 milioni di euro in assenza di garanzie che non erano più possibili) esploso ora insegna- se rimandata non farà che acuire il problema. Così, anche grazie a quegli 11 miliardi di finanziamenti a rischio restituzione, la vera crisi del sistema bancarioo italiano potrebbe esplodere l’anno prossimo, quando tutti gli altri si saranno messi alle spalle i guai.

C’è naturalmente qualcuno che pulizia ha fatto, come il Banco popolare e soprattutto la sua controllata specializzata nel leasing che finì al centro di uno scandalo finanziario e giudiziario. Grazie a una bad bank varata con la consulenza di Mediobanca i circa 3,7 miliardi di contratti di leasing in sofferenza in carico a Banca Italease verranno comunque ”ripuliti”. Risalgono tutti all’epoca in cui il dominus della banca era Massimo Faenza e sono stati firmati prima che partisse l’inchiesta giudiziaria che due anni fa decapitò il vertice della banca specializzata in leasing. Alla vigilia del consolidamento di Banca Italease nel Banco popolare che la controlla si è deciso di portare a sofferenza oltre 5 miliardi di euro di leasing immobiliari. Di questi il 20 per cento è stato oggetto di specifiche svalutazioni, dei restanti 3,7 miliardi la gran parte (2,7 circa) riguarda solo 7 clienti: il gruppo Statuto- che con 1,2 miliardi di leasing concessi a più società fa la parte del leone- e poi ancora con 400 milioni di contratti, Danilo Coppola uno dei celebri furbetti del quartierino, Luigi Zunino con la sua Risanamento finita in guai ben più grossi dei 200 milioni di leasing, l’Aedes (300 milioni), il gruppo guidato dal presidente del Siena Giovanni Lombardi Stronati, il commercialista Signori e con 150 milioni di euro il gruppo guidato da Luigi Carraro e Fabrizio Bevilacqua e da cui per tempo era uscita Benedetta Geronzi. Tutti questi contratti, portati a sofferenza perché le rate del leasing non sono state più rimborsate verranno trasferiti in una società veicolo proprio per evitare al Banco popolare il consolidamento anche di questa partita difficile da digerire. La mancata restituzione delle rate in qualche caso è dovuta a difficoltà finanziarie del cliente di Banca Italease, ma spesso (per i 7 big come per altri clienti minori) alle cause che le controparti hanno intentato alla stessa banca che Faenza guidava per i derivati sottoscritti che dopo un primo periodo (in crescita di tassi) in cui avevano ampiamente ricompensato gli interessi del leasing, hanno per la platea dei clienti rappresentato un costo aggiuntivo rilevante che ha fatto lievitare le rate dovute spingendo non pochi ad interrompere i pagamenti.