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 2009  settembre 24 Giovedì calendario

MICHELE DI BRANCO PER L’ESPRESSO 24 SETTEMBRE 2009

Oggi precario domani pure Una ricerca indipendente rivela che per i lavoratori flessibili ottenere un contratto stabile è un miraggio sempre più lontano

Sottopagati, sfruttati, insicuri e con pochissime speranze di strappare, dopo anni di precariato, un contratto stabile. Se le riforme del mercato del lavoro - con l’introduzione di forme contrattuali atipiche - promettevano di creare occupazione cancellando un po’ di ingiustizie, si può dire che la promessa non è stata mantenuta. Anzi, le cose sono peggiorate.
Federico Lucidi della Fondazione Brodolini e Michele Raitano dell’Università La Sapienza hanno scritto una ricerca (’Molto flessibili, poco sicuri: lavoro atipico e disuguaglianze nel mercato del lavoro italiano’) che mette il dito nella piaga del precariato. "Le riforme", scrivono, "hanno progressivamente ridotto i vincoli per i datori di lavoro ad assumere lavoratori con contratti a termine, senza tuttavia modificare la legislazione relativa all’occupazione dipendente a tempo indeterminato. Questo", osservano, "ha accentuato le caratteristiche di dualità del mercato del lavoro, dove nel corso degli anni a un segmento maggiormente protetto si è venuta a contrapporre una componente (numericamente non irrilevante) di lavoratori le cui prospettive in termini di stabilità lavorativa, retribuzione, trattamento pensionistico, accesso al credito e alla formazione appaiono notevolmente peggiori".
Un prezzo pagato soprattutto da giovani e donne. Lucidi e Raitano mostrano che l’indice Ocse sulla rigidità della legislazione a protezione dell’impiego è rimasto inalterato negli ultimi vent’anni, mentre per i lavoratori atipici si è dimezzato. E nella stessa fase temporale il processo di riforme ha tradito l’impegno di rinnovare il sistema degli ammortizzatori sociali. Con il risultato di accentuare le ingiustizie. "Negli ultimi anni", si legge nel lavoro dei due economisti, "in Italia è cresciuta la segmentazione fra lavoratori a tempo indeterminato e temporanei, i quali appaiono relativamente svantaggiati lungo molteplici dimensioni: flessibilità della relazione contrattuale, tutele del welfare, salari, rischi di disoccupazione e capacità di accesso al credito". Precarizzare il lavoro, d’altronde, sembra la nuova parola d’ordine: "Nel periodo 1992-2007 la quota di lavoratori dipendenti con contratto a termine sul totale dei dipendenti si è più che raddoppiata, passando dal 6,2 per cento al 13,2 e, guardando ai flussi, si osserva che dal 2001 al 2007 la quota annua di nuove assunzioni con contratti a tempo indeterminato si è ridotta dal 60 al 45 per cento". E non si può neppure dire che il precario trovi nel salario una qualche compensazione. "Considerando due lavoratori con medesime caratteristiche individuali e produttività, occupati nella stessa impresa, ma con contratti di durata differente (uno permanente, uno a termine), la teoria economica prescrive che il lavoratore temporaneo richieda una retribuzione oraria superiore, come premio al rischio di mancato rinnovo del contratto flessibile. Peccato che non accada". In media, c’è una differenza salariale che oscilla tra il 7 e il 20 per cento a svantaggio dei lavoratori flessibili. Un divario amplificato dalla frequenza delle interruzioni dei rapporti di lavoro. I lavoratori temporanei sono soggetti a una maggiore probabilità di disoccupazione. La ricerca mostra che, in media, a un anno di distanza risulta disoccupato solo l’1,3 per cento di chi l’anno precedente era occupato con un contratto a tempo indeterminato, mentre questa percentuale sale al 5,8, al 6,1 e al 7,7, rispettivamente, nel caso di dipendenti a termine, collaboratori a progetto e collaboratori occasionali.
Lo studio punta l’indice su molti altri elementi di discriminazione come l’esclusione dei lavoratori atipici dalle attività di formazione professionale e la penalizzazione rispetto alle prospettive previdenziali. E affronta il problema dell’ingresso nel mondo del posto fisso. Una vera corsa a ostacoli. A un anno di distanza dalla prima rilevazione come temporaneo, solo il 16,5 per cento dei dipendenti a termine spunta un contratto a tempo indeterminato, mentre il 60 per cento è ancora temporaneo.