Micaela Cappellini, Il Sole-24 Ore 22/9/2009;, 22 settembre 2009
ORA IL SUD DEL MONDO ASSUME
Ti va bene se sei una commessa di New Delhi o un’insegnante di Bangalore, nel sud dell’India.Ti va bene se sei un impiegato nei servizi che vive a San Paolo, o a Rio de Janeiro. Ti va bene se sei un operaio specializzato e lavori in Cina, meglio se per un’azienda locale e non,una volta tanto, per una multinazionale. E bene ti va anche se abiti in Polonia, dove un’impresa deve saperti tenere, altrimenti ne trovi presto un’altra disposta a pagarti di più.
L’Ocse prevede 57 milioni di disoccupati nei paesi ricchi? Per il numero uno del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, «stiamo cominciando a emergere dalla recessione, ma la disoccupazione crescerà ancora per un po’»? Chiedetelo agli emergenti, vi diranno che sono dati vecchi. E che la ripresa dell’occupazione abita già qui. Un bel biglietto da visita da mettere sul tavolo del G-20 che si apre dopodomani a Pittsburgh e che cercherà di disegnare l’uscita dalla crisi.
Il ministero del Lavoro brasiliano segnala che ad agosto sono stati creati oltre 242mila nuovi posti. Nello stesso mese, in Russia, la disoccupazione è scesa dall’ 8,3 all’8,1 per cento. Ma il vero segnale arriva dal mondo della ricerca e selezione del personale, migliaia di antenne sul territorio pronte a captare i primi segnali di una domanda che si rimette in moto. E le antenne concordano: sono tutte puntate sulla Cina. «Tra maggio e settembre – racconta Stefano Colli-Lanzi, amministratore delegato dell’agenzia di lavoro interinale italiana Gi Group ”la richiesta di lavoratori alle nostre sedi cinesi è aumentata del 35%. Se nel mondo il mese di maggio ha rappresentato il punto più basso raggiunto dal tasso di occupazione, in Cina già a marzo si registrava l’inversione di tendenza ». Gli fanno eco i datidell’ultimo Manpower Employment Outlook: a Pechino le aspettative di assunzione da qui alla fine dell’anno sono cresciute dell’11 per cento. Mentre, secondo la società di recruiting Antal International, dopo un sensibile calo della fiducia a inizio 2009, tre aziendecinesi su quattro sarebbero intenzionate ad assumere professionisti e manager nel corso dei prossimi tre mesi.
Se la Cina è la locomotiva dell’occupazione in Asia, l’India è una degna carrozza di prima classe: inferiore per numeri asso-luti, ma non per trend di crescita. Secondo Manpower, qui nei prossimi tre mesi la propensione ad assumere crescerà del 34% e riguarderà in particolar modo il commercio al dettaglio, la pubblica amministrazione e il mondo dell’istruzione. Per trovare percentuali così alte, bisogna saltare di continente e guardare al Brasile, dove «la crisi è stata sentita meno in assoluto», secondo Colli- Lanzi, e le aspettative di assunzione aumenteranno del 21% secondo Manpower.
Il panorama europeo, quasi tutto desolante, ospita invece il miracolo Polonia: un paese dove, secondo Manpower, le prospettive di assunzione salgono del 5%, e dove secondo Gi Group si è tornati a un livello di mobilità pre-crisi, con retribuzioni che salgono e aziende che si contendono i lavoratori.
Corrono infine nel Continente nero il Sudafrica e l’Egitto, con propensioni all’assunzione di manager, secondo Antal International, rispettivamente del 45 e del 61 per cento.
Ma come cambia il mondo del lavoro nei paesi emergenti che già si affacciano al post-crisi? Per l’americano Jeffrey Joerres,amministratore delegato di Manpower, possiamo attenderci l’accelerazione di due trend: «Il primo è un aumento nelle assunzioni di chi ha studiato all’estero, ha iniziato a lavorare lì e ora ritorna in patria, in Cina e in India soprattutto». Sulla preferenza per il personale locale concorda anche Vincenzo Trabacca, managing director di Antal Italia: «Alle multinazionali queste figure costano meno dei professionisti occidentali in trasferta». Il secondo trend è una maggior attenzione delle aziende emergenti all’arte di trattenere i lavoratori, che in primo luogo si esercita attraverso la formazione. «Proprio il training – aggiunge Joerres – sarà tra le chiavi più importanti su cui si gioca la competitività futura di questi paesi».
Dal caso cinese si ricavano ulteriori riflessioni. La prima è che a Pechino il lavoro temporaneo non è semplicemente in ripresa, è addirittura in crescita: «Segno che le imprese sono rimaste scottate da una crisi che non ritenevano possibile – sostiene Colli-Lanzi – e ora vanno più caute nell’assumere nuove persone, scelgono la flessibilità». La seconda è che la ripresa dell’occupazione non viene dalle multinazionali sbarcate al di là della Grande Muraglia, ma dalle aziende made in China, manifatturiere incluse. «Le uniche – sottolinea Colli Lanzi ”destinatarie degli incentivi statali all’economia ». Di qui il tributo che l’occupazione deve ai piani di rilancio pubblici. Che infatti in India sono circoscritti alle sole infrastrutture: per questo è Pechino, e non New Delhi, il faro dell’Asia.