Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 13 Martedì calendario

Marco Lucchinelli Non avesse fatto il pilota sarebbe stato una rockstar e, comunque, quando correva gli piaceva suonare e cantare

Marco Lucchinelli Non avesse fatto il pilota sarebbe stato una rockstar e, comunque, quando correva gli piaceva suonare e cantare. E oggi canta e suona fa anche di più. Talento ne ha tanto, moto e musica, e tutti sanno che sarebbe potuto diventare una grande star almeno del motociclismo, proprio grande, alla Valentino; però era irrequieto, troppo. Non ha studiato, non ha ragionato, tutto istinto e sentimento. Ma poi, forse, gli sono troppo amico per essere obiettivo. «Puoi definirmi il musicista più veloce del mondo, oppure il pilota più intonato. Fai te». E dice te alla spezzina, perché anche se vive da anni vicino a Imola, continua a parlare quel ligure particolare senza il tu e senza le doppie che si usa dove è cresciuto, a Ceparana, classe 1954, segno del cancro. Gli stava stretto, il paese; a 16 anni e mezzo scappa di casa per imbarcarsi su una nave da crociera, sei mesi da barista alle piscine, obiettivo Haiti, una bellezza. Poi una seconda fuga lo porta in Francia, a Rouen a lavorare nei campi e la mamma, Teresa, dovrà andare a recuperarlo all’ospedale con una pesante intossicazione alimentare. Un ragazzo vivace e ribelle, poca o niente voglia di studiare, tanta di guidare qualsiasi mezzo a motore, chissenefrega se non ha la patente. Poi viaggiare e sognare. A 19 anni finalmente ha una specie di lavoro: va in tournée al seguito di Marcella Bella, Italia e Svizzera, guida (finalmente in regola) il furgone, il cugino suona la Hammond, la tastiera nella band. Sei mesi con la colonna sonora di Montagne verdi. «La musica», precisa Lucchinelli, «mi è sempre piaciuta, tutta; a dirti la verità ho provato anche ad andare a scuola di chitarra, ma imparare i solfeggi è una cosa troppo lenta per me e così so suonare solo l’armonica a bocca, perché basta avere orecchio. Con la moto è stato più facile: capace di andar bene subito, senza sforzi e sacrifici». Il pilota con la cravatta. Ma non per essere elegante, dissacrante piuttosto. Nell’80 portava la cravatta e la camicia sotto la tuta di pelle e nella mentoniera del casco integrale aveva fatto un buco, un lavoro accurato, per fumare la sigaretta. Portava l’orecchino e a certi giornalisti parrucconi non piaceva. In quegli anni c’era il bravo ragazzo Virginio Ferrari, bel visino e sguardo diretto; poi c’era il bravissimo ragazzo Franco Uncini, fine ed educato; e infine Marco Lucchinelli, che era magari il più talentoso, quasi tutti lo dicevano, ma era anche quello cattivo. Incazzato e maleducato. La gente lo amò e lo odiò: appena le cose andarono male, 1977 a Imola con il team Life, una parte del pubblico gli voltò le spalle e gli tirò addosso le lattine vuote cantando «son finiti i tempi belli per il nostro Lucchinelli!». Rancore della gente che non sopporta la caduta dei propri eroi, normale, ma lui ne soffrì e si rifugiò nella musica: cominciò proprio allora a suonare e cantare con un altro spezzino, Riccardo Borghetti, musicista vero, uno del giro della Mannoia e di Celentano. E canta e canta, sarebbe finito anche al Festival di Sanremo dell’82, Marco Lucchinelli, con il pezzo autobiografico Stella fortuna, dalla stella che portava sul frontale del casco integrale. Non rimpiange niente. Voleva diventare un campione della moto e ce l’ha fatta, stagione 1981. Una forza della natura, le Suzuki RG 500 bianche e blu, il team Nava Olio Fiat, cinque vittorie bellissime, campione mondiale davanti agli americani Randy Mamola e King Kenny Roberts. Sempre a suo modo: con il sorriso sulle labbra, tirando tardi la notte con gli amiconi Barry Sheene e Angel Nieto, sfrontato, irriverente e anche vizioso agli occhi dei giornalisti più anziani e potenti. «Guarda», dice lui, «che i titoli potevano essere anche tre, perché andavo fortissimo già alla prima stagione in 500 nel 76, e nell’80 andavo più forte che mai. Le gomme mi hanno fregato, quell’anno. Qualcuno pensa il contrario, ma non ho fatto scelte azzardate: ho lasciato due volte Roberto Gallina ma non potevo fare diversamente, perché la prima volta arrivò Virginio Ferrari e per me non c’era posto, la seconda volta era la Honda a chiamare a fine 81. Non so se mi spiego: la Honda che tornava alle corse, che mi offriva un contratto biennale e un ingaggio cinque volte più grande di quello che prometteva la Suzuki. O forse anche sei volte». Pilota veloce, fortissimo anche sul bagnato, aggressivo senza mai diventare scorretto. E a quei tempi ne abbiamo visti di furbetti, ma non c’era la televisione a pizzicarli sul fatto. Marco imparava subito le nuove piste, era rapido fin dal primo turno di prove, non perdeva troppo tempo a ragionare sul set up della moto. Del resto negli anni Settanta non si faceva, al massimo si interveniva sul rapporto finale o si spostava di una tacca il precarico degli ammortizzatori. Lo conobbi da molto vicino nel 75, quando eravamo compagni nella squadra Laverda sulle 1.000 tre cilindri ufficiali, 24 Ore e dintorni. E poi ancora l’anno dopo, quando entrambi guidammo le prime Suzuki RG 500 quattro cilindri in quadrato, private ma molto simili a quella ufficiale di Sheene. Che tempi! Un giornalista tester come me poteva girare a un secondo dal campione del mondo; e se a me bastava e avanzava, a Lucchinelli no: lui voleva subito vincere e ci andò molto vicino fin dall’esordio a Le Mans, dove per tre turni su quattro prese e migliorò la pole position. Fu in quell’occasione che Barry Sheene, campione in carica e finalmente più veloce di lui al quarto turno, volle conoscere quel ragazzo italiano che non aveva mai sentito nominare. E ai giornalisti disse poi che Marco Lucchinelli aveva la faccia da zingaro, la faccia di chi entra senza pagare il biglietto, però il talento era grande, parola di Barry. E in seguito sarebbero diventati amici veri. Roberto Gallina, quella volta in Francia, provò a fissare due alettoni sulla pancia della carenatura della Suzuki: al dosso che chiudeva il curvone sotto il ponte Dunlop, quinta piena, la moto di Marco rischiava il decollo a ogni giro. La domenica partì male, rimontò fino al secondo posto, finì la benzina all’ultima curva e arrivò terzo, tanto per dire. «Ma lo sai che potevo finire in Formula Uno? Il mitico Enzo Ferrari mi propose di guidare una delle sue macchine sulla pista di Fiorano, ma io andai a fare una gara internazionale in Inghilterra, appena conquistato il titolo mondiale dell’81, e caddi rompendomi tutto: le due gambe e anche le due braccia. Che sfiga, il test saltò, magari avrebbe dato dei buoni risultati». Un po’ spaccone, spesso sopra le righe e di conseguenza piuttosto rischioso per ogni conduttore nelle dirette Tv, il cattivo ragazzo Lucchinelli si è fatto amare da molti. Lino Dainese, i fratelli Claudio e Gianfranco Castiglioni della Cagiva, Gino Amisano dell’AGV: sono i primi nomi che mi vengono in mente, ma sono tanti di più quelli che si sono fatti avanti per aiutarlo nei momenti difficili della carriera e della vita. Perché Marco ha avuto alti e bassi, ma sotto la maschera ruvida è capace di veri sentimenti e qualcuno che sa riconoscerli c’è. Lui preferisce nascondersi un po’ perché ha capito che è più prudente così, ma non è cinico, non è rozzo e non è nemmeno così sicuro di sé. Per i suoi amici, per le donne della sua vita, perfino per i suoi animali di casa, Marco è stato ed è affettuoso, tenero, riconoscente. Non lo direste, sembra un duro se lo vedete cantare con i suoi, i Sarabamba e gli Ex, o quando suona con il gruppo di Vasco, la Vascombriccola, con Il Gallo al basso. Suona tutto quello che gli va, Pink Floyd e Dire Straits e naturalmente anche i suoi pezzi: quello bellissimo su Gilles, Gilles Villeneuve, e quello su Valentino. «Io mi ricordo tanto tempo fa…».Marco Lucchinelli, il cattivo ragazzo pieno di nostalgia.