Fareed Zakaria, Corriere della sera 23/06/2009, 23 giugno 2009
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IL REGIME FORSE SOPRAVVIVERA’ MA LA TEOCRAZIA ISLAMICA E’ FINITA
Stiamo assistendo alla caduta della teocrazia islamica in Iran. Non intendo dire che il regime iraniano stia per crollare. Potrebbe anche succedere (e spero proprio che alla fine sarà così), ma i regimi repressivi possono durare a lungo. Stiamo assistendo al fallimento dell’ideologia sulla quale si basa il governo iraniano.
Nel 1970 il fondatore del regime, l’ayatollah Ruhollah Khomeini, espose la sua personale interpretazione dell’Islam politico in una serie di conferenze. In questa interpretazione dell’Islam sciita, sosteneva che i giuristi islamici ricevono direttamente da Dio il potere di governare e custodire la società, di essere gli arbitri supremi non solo delle questioni morali, ma anche di quelle politiche. Quando Khomeini istituì la Repubblica Islamica dell’Iran, pose al suo centro questa idea, velayat-e faqih, il governo della Guida Suprema. La scorsa settimana questa ideologia ha subito un colpo fatale.
L’attuale Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, dichiarando che l’elezione di Mahmoud Ahmadinejad è «voluta da Dio», ha usato l’arma del velayat-e faqih, della ratifica divina. Milioni di iraniani non ci hanno creduto, convinti che il loro voto – uno dei diritti laici fondamentali consentiti dal sistema religioso iraniano’ fosse stato tradito. Khamenei è stato così costretto ad accettare che vi fosse una verifica dei risultati. Il Consiglio dei Guardiani della Costituzione, l’organo costituzionale supremo iraniano, ha promesso di indagare, di incontrare i candidati e di contare nuovamente i voti. Khamenei ha capito che l’esistenza del regime è a rischio, e ha ora irrigidito la sua posizione, ma questo non basta a rimettere le cose a posto.
ormai chiaro che oggi in Iran la legittimità non discende dall’autorità divina, ma dalla volontà popolare. Per trent’anni il regime iraniano ha esercitato il potere grazie al suo primato religioso, riuscendo a scomunicare chi osava sfidarlo.
Ora non funziona più, e i mullah lo sanno. Per milioni di iraniani, forse per la maggioranza della popolazione, il regime ha perso la sua legittimità.
Se gli alti ranghi del clero mettessero in dubbio il giudizio divino di Khamenei e affermassero che il Consiglio dei Guardiani è in errore, infliggerebbero un colpo mortale alle premesse fondamentali su cui si regge la Repubblica Islamica dell’Iran. Sarebbe come se un importante leader sovietico avesse affermato nel 1980 che le teorie di Marx sull’economia erano sbagliate.
La Repubblica Islamica potrebbe sopravvivere, ma verrebbe meno la sua legittimità. Il regime ha sicuramente le armi per vincere questa battaglia; anzi, sarà questo l’esito più probabile, ma dovrà ricorrere a misure drastiche: vietare le manifestazioni, arrestare gli studenti, punire i leader e imbavagliare la società civile. Comunque vada è ormai chiaro che in Iran milioni di persone non credono più all’ideologia del regime. Se questo vorrà mantenere il potere, dovrà farlo con i mezzi usati in Unione Sovietica negli ultimi anni dell’era Brèžnev, con la minaccia delle armi. «L’Iran assomiglierà all’Egitto», dice Reza Aslan, intellettuale di origini iraniane, alludendo a un regime che, dietro una facciata politica, si regge sui fucili e non sulle idee. (...) Nel suo sermone del venerdì Khamenei ha detto che dietro alle proteste di piazza che hanno sconvolto Teheran c’erano gli Stati Uniti, Israele e soprattutto la Gran Bretagna, un’accusa che sicuramente apparirà ridicola a molti iraniani. Ma non a tutti: il sospetto di maneggi da parte di potenze straniere è profondamente radicato anche tra gli iraniani più occidentalizzati. Il fatto che Obama sia stato cauto nel replicare rende ancor più difficile per Khamenei e ad Ahmadinejad ammantarsi della bandiera nazionalista.
I neoconservatori stanno criticando Obama per la sua cautela. Paul Wolfowitz, vice del segretario della difesa Donald Rumsfeld, ha paragonato la reazione della Casa Bianca alle esitazioni di Ronald Reagan durante le manifestazioni di protesta contro il regime di Ferdinand Marcos nelle Filippine. Ma l’analogia non regge. Marcos era una pedina americana, era al potere grazie agli Stati Uniti. I contestatori chiedevano a Reagan di ritirare il suo appoggio e di lasciare che gli eventi seguissero il loro corso.
L’Iran è invece un Paese indipendente, fortemente nazionalista, che nella sua storia ha subito interferenze politiche ed economiche da parte della Gran Bretagna e degli Stati Uniti.
Nel 1901 la Gran Bretagna si è praticamente appropriata dell’industria petrolifera iraniana; nel 1953 gli Stati Uniti hanno orchestrato un colpo di stato. Lo Scià fu soprattutto accusato di essere un fantoccio nelle mani degli americani. Come in molti altri Paesi con analoghi trascorsi (un altro esempio è l’India), anche in Iran il sentimento anti-imperialista è molto forte.
Gli iraniani sanno che questa è la loro lotta, e vogliono che lo sia.
(...) La crisi della Repubblica Islamica avrà ripercussioni in tutto il mondo musulmano.
Anche se l’Iran è sciita, mentre la maggior parte del mondo islamico è sunnita, l’ascesa al potere di Khomeini era stato uno shock per tutti i Paesi musulmani, un segno che il fondamentalismo islamico era una forza con cui fare i conti.
Alcuni Paesi, come l’Arabia Saudita, hanno cercato di neutralizzare quella forza. Altri, come l’Egitto, l’hanno repressa brutalmente. Ma l’Iran è diventato ovunque il simbolo dell’ascesa dell’Islam politico. Se ora cadrà, una fase storica trentennale cambierà corso.