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 2009  marzo 03 Martedì calendario

IL CALCIATORE CHE NON VOLEVA ESSERE UN VIP

Giovanni Galli era un grande, grandissimo portiere. Ma del tipico portiere non aveva proprio niente, tuffi da circo, uscite spericolate, proclami e cazzate come ci hanno abituato, da sempre, i numero uno perché se uno non è un po’ folle non può stare tra i pali. No, Galli non era eccentrico come Zenga, sfrontato come Tacconi o eccessivo come Seba Rossi. Lui parava – e che parate – con semplicità, senza balzi inutili, senza gesti fuori posto e con poche parole, un po’ un tipo serio e pratico alla Zoff, uno che sapeva guidare la difesa anche solo con uno sguardo, un cenno, un sorriso. Forse, però, è proprio per questo che Galli ha vinto tutto nel calcio, ma ce lo ricordiamo per poco. Anzi, soprattutto per un insuccesso, l’errore clamoroso ai Mondiali di Messico ”86. Impietoso, il mondo del football. Ha conquistato ogni trofeo possibile con i guantoni. Eppure, chiudete gli occhi e pensate ad un fermo-immagine che ritragga Giovanni Galli. Non vedrete un’esultanza o una grande parata, ma una statua immobile, ai Mondiali di Messico ”86, maglia della nazionale, che guarda entrare in rete – accompagnandolo con il solo gesto della mano sinistra - un lento pallone calciato in maniera geniale dal geniale Maradona. Italia-Argentina 1-1. Il momento più basso e difficile di una meravigliosa carriera, polemiche, accuse, sei gol in 4 partite, l’eliminazione contro la Francia e la fine del ciclo di Bearzot. «L’errore fu considerare Diego un giocatore normale, quindi aspettarsi l’unica giocata possibile, il tiro di potenza. Solo lui poteva fregarmi così, con un tocco che sembrava avesse accarezzato il pallone con la mano. Feci la figura del baccalà», ripete da sempre il portiere quando, impietosi, gli chiedono di quella rete.

E dire che Galli, invece, di gol, ne ha sempre salvati tanti. E con classe. Eleganza. Fin quando, bambino, inizia a parare per gioco al primo piano del palazzo della Pubblica Assistenza, dove stazionano le ambulanze. Poi la Marinese di Marina di Pisa e oplà, il salto alla Fiorentina, giovanili e l’esordio in serie A, 23 ottobre ”77, Juventus-Fiorentina 5-1. il boom, per la prima volta un portiere ancora ragazzino diventa titolare, applausi, autografi e dopo nove stagioni di alto livello arriva il salto di qualità: Milan, Mi-lan. Quello di Sacchi. Quello di Berlusconi (ecco il primo incontro). Quello più forte del mondo. «Sacchi è stato l’allenatore più grande, il suo calcio era positività, non pensavamo mai ai nostri avversari. E giocavamo a memoria». Positività e trofei per quattro stagioni. Finché qualcosa si rompe e Giovanni saluta, se ne va al Napoli. E, cosa che rivista ora fa sorridere, lascia la squadra dei miti proprio per colpa di Berlusconi. «Non avevo il posto da titolare, non capivo l’alternanza con Pazzagli. Mi ero fatto l’idea che fosse stato proprio il presidente a chiedere di fare giocare la mia riserva. Oggi ho qualche rimorso per aver lasciato i rossoneri», ricorda Galli. Anche perché Berlusconi, ogni volta che lo incontra, glielo fa pesare: «Cribbio, Giovanni, sei l’unico che ha deciso di lasciare il Milan di propria volontà». Dopo il Milan, però, Galli vince ancora. Giocando col Napoli di Maradona, Torino, Parma e infine Lucchese, ultime presenze prima di cimentarsi nella carriera di dirigente con Fiorentina (dalla C2 alla A) e Verona.

Giovanni Galli era un giocatore simbolo, ma del giocatore idolo non aveva proprio niente. Inteso come look e abitudini. Nessun nastrino, niente gel e capelli tinti, mai un colore vistoso, niente veline, discoteche e vizi. Solo normalità. così che Giovanni conosce la sua futura moglie a 17 anni, ragazza semplice come lui, e con lei mette su famiglia, matrimonio appena dopo i Mondiali di Spagna e tre figli, Niccolò, Camilla e Carolina. Già, la famiglia. Sacra. Fondamentale come è fondamentale, per Giovanni e Anna Galli, vivere una vita tranquilla e il più normale possibile, andare a fare la spesa dal macellaio sotto casa e passeggiare al mercato tra i tifosi del Napoli. Abitudini così poco vip che una volta, la piccola Carolina prende in disparte il papà e chiede: «Babbo, i miei amici dicono che sei famoso. vero?». Un padre bravo e realizzato, una bella casa, tre ragazzi che crescono felicemente, tutto va a meraviglia. Finché l’equilibrio e l’unione della famiglia Galli, improvvisamente, vengono sconvolti da un dramma che solo chi l’ha vissuto può capire e descrivere, nessun altro. La perdita di un figlio. il 10 febbraio 2001 e Niccolò Galli, 17 anni (22 maggio 1983), che è un punto di forza della nazionale Under 18 e che, dopo aver giocato nelle giovanili di Torino, Parma e Fiorentina e aver fatto un’esperienza con l’Arsenal, ora è nella prima squadra del Bologna in A, sta tornando dall’allenamento. Ha fretta, deve prepararsi per l’interrogazione del giorno dopo perché ci tiene a finire il liceo scientifico e abbinare scuola e calcio è dura. Asfalto bagnato, il motorino scivola, Niccolò sbatte contro il guardrail che è difettoso (verranno condannati in tre). Niente da fare. Giovanni è a una riunione parrocchiale, suona il telefono e la vita cambia, devastata dalla morte. «Non sono più stato la stessa persona. Prima ero più irascibile, mi arrabbiavo per cose di poco conto. Oggi sento il bisogno di andare a fondo delle cose, di capire le persone piuttosto che affrontarle». Amore, fede e unione, solo così la famiglia Galli riesce a reagire, a stringersi, ad affrontare con coraggio e forza un dramma simile. E nasce la Fondazione Niccolò Galli Onlus.

Galli è stato un grande portiere e un giocatore simbolo, ma anche un ottimo opinionista tv. Anche se aveva (ha) proprio poco del tipico opinionista da video. Niente urla, mai una polemica futile, sempre toni pacati e riflessioni acute. Equilibrate. così che l’ex portiere ha conquistato il pubblico di Mediaset, che in questi anni l’ha ascoltato in telecronache e salotti. Già, Mediaset. Cioè Berlusconi e un’intesa iniziata al Milan. Continuata in tv. Che ora sfocia in politica. Galli si candida sindaco a Firenze e chissà se potrà diventare un buon amministratore. Sicuramente - pacato, sensibile, diplomatico ed esperto comunicatore - ha molto del politico.