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 2009  gennaio 02 Venerdì calendario

la Repubblica, venerdì 2 gennaio 2009 È un giorno di festa, è un giorno di presentimenti. Più che un´incoronazione, un battesimo, con la famiglia americana raccolta attorno al fonte civile, il Campidoglio, che osserva la nuova creatura chiedendosi che cosa diventerà da grande, nel tempo che la Costituzione, o il destino, gli concederà

la Repubblica, venerdì 2 gennaio 2009 È un giorno di festa, è un giorno di presentimenti. Più che un´incoronazione, un battesimo, con la famiglia americana raccolta attorno al fonte civile, il Campidoglio, che osserva la nuova creatura chiedendosi che cosa diventerà da grande, nel tempo che la Costituzione, o il destino, gli concederà. Gli aruspici guardano il cielo e il termometro: se fa molto freddo in quel giorno di gennaio, saranno anni fausti. Se la temperatura sarà mite, il primo bambino d´America crescerà male. Superstizione, ma funziona. Presidente raffreddato, presidente fortunato. Faceva ancora molto freddo, nel mese di aprile 1789 quando il primo figlio e insieme il padre della democrazia americana, George Washington intraprese il viaggio di 500 chilometri in carrozza dalla sua piantagione di Mount Vernon, in Virginia, verso New York, dove avrebbe prestato giuramento, non avendo ancora l´America una capitale. Ci arrivò esausto, costretto a fermarsi dozzine di volte nei paesi della costa, dove cittadinanze festose erigevano archi di rami e ghirlande e implacabili sindaci volevano pronunciare il proprio pistolotto retorico. Ma ci arrivò, portando in tasca una lettera del padre del federalismo, James Madison, che chiedeva scusa al governatore di New York per il ritardo del ragazzo, come la giustificazione di un genitore al preside. La formula che finalmente pronunciò: «Solennemente giuro di eseguire fedelmente l´incarico di Presidente degli Stati Uniti e di preservare, proteggere e difendere la Costituzione degli Stati Uniti» sarebbe rimasta invariata per 219 anni e 43 presidenti, fino al 44esimo, Obama. Ma non proprio. Da quella prima assunzione al tempio di George Washington, il filo di qualche mistero e di qualche controversia percorre la storia di questi battesimi o unzioni laici. George Washington volle una Bibbia, ma la sua Bibbia non fu fornita da un devoto pastore luterano, ma dalla loggia massonica numero 1 di New York, ennesima prova delle radici profondamente massoniche dei cosiddetti «padri fondatori» della democrazia americana. E se la storia edificante poi scritta per i fanciulli vuole che alla fine Washington abbia esclamato un´altra frase divenuta da allora quasi inevitabile, «and so help me God», e che Dio mi assista, nella puntigliosa cronaca della cerimonia inviata a Parigi dall´ambasciatore francese Monsieur de Moustier, quell´invocazione a Dio, curiosamente, manca. Forse a questa assenza, o distrazione del diplomatico, si aggrappò Teddy Roosevelt, assumendo la presidenza sul cadavere ancora caldo dell´assassinato McKinley nel 1901, a Buffalo, respingendo - unico nella storia - la Bibbia ed evitando l´invocazione all´aiuto di Dio, dimostrandosi quel «maledetto, fottuto cowboy» che i repubblicani conservatori aborrivano. Ma la Bibbia dei Massoni utilizzata da Washington ebbe comunque notevole fortuna e sulle sue pagine aperte posarono la mano Harding, Eisenhower, Carter il pio e George il Vecchio. E dopo lo scatto laico del "colonnello" Roosevelt all´alba del XX secolo, nessuno dei suoi successori avrebbe più osato saltare la preghierina al Signore, sotto pena di apparire empio e negatore. Meno di tutti Barack Obama, che la destra più catarrosa accusò, in campagna elettorale, di essere un infedele islamico deciso a giurare sul Corano. L´avrebbe voluta utilizzare anche Giorgino Bush, «W», nel 2001, ma l´acqua che scendeva a secchiate su Washington quel mattino sconsigliò l´uso di un tomo così antico e fragile. Ma almeno - brutto auspicio - non faceva molto freddo quando «W» giurò, certamente non come i meno dieci gradi centigradi che accolsero Ronald Reagan sul palco di legno eretto davanti al palazzo del Congresso, al Campidoglio, e che dissuasero il settuagenario presidente dalla passeggiata a piedi lungo la "via triumphalis", la Pennsylvania Avenue che unisce, per un chilometro e mezzo, il Parlamento, cioè il legislativo, dalla Casa Bianca, il potere esecutivo. Reagan saggiamente in soprabito e la sua Nancy si tennero i piedi al caldo con la stufetta elettrica nascosta dietro la balaustra del giuramento e restarono dentro la "Lincoln Continental" blindata del presidente. Quello che quattro anni prima Jimmy Carter, mano nella mano della sua amata parrucchiera per signora, Rosalynn Carter, non volle fare, percorrendo a piedi tutto il chilometro, approfittando di una inusuale mitezza del clima per gennaio. E infatti quattro anni dopo venne sonoramente trombato.  soltanto dal 1937 con Roosevelt, Franklyn Delano, lontano cugino del «fottuto cowboy» Theodore, che un emendamento costituzionale fissa al 20 gennaio il giorno della "inauguration", lasciando invece alla scelta e alla semplice tradizione il luogo dove svolgere la cerimonia. Di fatto, tutti si sono dovuto rassegnare alla gradinata del Parlamento, in omaggio simbolico alla Costituzione che indica nelle Camere, e non nel governo, il fonte battesimale, non sempre limpidissimo, della legittimità democratica. La sola eccezione volontaria fu dello stesso FDR che alla sua quarta e ultima incoronazione nel 1945 dovette arrendersi alle gambe ormai incapaci di sorreggerlo e giurò dal proprio studio alla Casa Bianca. Almeno non fu costretto dalla crudeltà dell´ora, come Lyndon Johnson, nella sera del 22 novembre 1963, quando mormorò la sacra formula liturgica, con il braccio destro alzato ma un po´ rattrappito dallo shock, davanti alla bara di John F. Kennedy, accanto a una vedova con l´abito ancora intriso di sangue e di materia cerebrale, nella carlinga del Boeing 707 Air Force. Eppure aveva fatto molto freddo anche la mattina del 20 gennaio 1961, quando l´uomo che sarebbe tornato a casa dentro una bara bianca aveva lanciato quelle parole ancora oggi magiche, «la torcia passa a una nuova generazione....» che sicuramente Barack Obama evocherà fra 18 giorni. Il vento, che su Washington soffia sempre da nord ovest, quindi gelido dal Canada e dai Grandi Laghi, gli muoveva il ciuffo, ma non indossava cappotto, perché la liturgia vagamente medievalista vuole che il «re santo» sfidi natura e intemperie e si presenti in giacchetta. Sicuramente, anche il giovane, robusto, muscoloso Obama cercherà di evitare cappottini e sciarpette, giurando sulla Bibbia di Lincon, non su quella della Grande Loggia di New York, confidando nella cabala del freddo che fece di Kennedy un grande rimpianto, in un storia umana troppo breve. «Sì, ma fra quattro anni, se fa ancora così freddo, il cappotto io me lo metto» batté i denti JFK con il fratello poche ore dopo alla Casa Bianca. Non sapremo mai se l´avrebbe fatto davvero. Vittorio Zucconi