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 2008  settembre 07 Domenica calendario

Crotone. Tra i calanchi e il mare. Due piani di speranza, ma, forse, soprattutto negli occhi di chi guarda

Crotone. Tra i calanchi e il mare. Due piani di speranza, ma, forse, soprattutto negli occhi di chi guarda. Almeno per il momento. Se si vive o si vegeta all’istituto Sant’Anna di Crotone, nello speciale reparto, tra i primi a essere istituiti in Italia (nel ’98), dedicato agli stati vegetativi «definitivi» (Sv), a volte solo il cuore può dirlo. Diego, 25 anni, ha un cuscino giallo a pois, il comodino affollato di santini, la testiera piena di foto e pupazzetti. Lavorava all’Anas, prima che un’auto lo investisse in autostrada. Dal 2005 muove lo sguardo senza direzione, manda giù pappe attraverso un sondino, sussulta con le gambe. Invisibile a se stesso e al mondo. Inconsapevole di essere ancora figlio, fratello, zio, per chi gli vuole bene. «Un giorno potrebbe risvegliarsi»: il ritornello, speranza- illusione, dei suoi familiari. Un’espressione comune soprattutto al primo piano, quello delle coscienze distrutte, del «punto del non ritorno». Perché sanno, ma non smettono di credere: la mamma di Giovanni, 45 anni, ex tossicodipendente, due figlie; quella di Sabatino, di 23, travolto nel 2001 da un motorino, e la madre di Gianluca, 32, che vuole addirittura portarlo a casa. Mamme che non mollano di fronte all’evidenza, a differenza di fidanzate e mogli. Spesso, però, in bilico tra realtà e troppo amore. «Vedono quello che non c’è, sentono risposte che non avranno mai»: le duole ammetterlo, ma lo dice Maria Raso, specialista in medicina generale, dal 2005 assistente nel reparto Sv. Attente sui tic come se fossero nuovi movimenti, le madri non perdono un respiro cercando di percepire una parola. E capita anche che una smorfia venga scambiata per sorriso. «Ma le capisco – spiega il medico ”, perché è duro accettare un familiare in queste condizioni, sapere che non torneranno mai più come prima». Tanto difficile, che spesso le famiglie li abbandonano. Come è successo a Sergio, 43 anni: preparato per tornare a casa, i fratelli non sono mai venuti a prenderlo. Ma non è l’unico: su 36 stati vegetativi «definitivi» al Sant’Anna, solo sei famiglie sono presenti tutti i giorni. Ma è dura anche per chi ci lavora: «Siamo a contatto con pazienti che non guariranno mai, diciamo che per un medico non ci può essere soddisfazione ”, sottolinea la dottoressa ”, sopperisce però la passione, che io ho come tutti i miei colleghi. Il nostro scopo è farli stare bene nella loro condizione». E, al di là alla routine quotidiana, al Sant’Anna si lavora anche in questa direzione: capire se e quando i pazienti in stato vegetativo provano sensazioni, positive o negative, imparando a leggere attraverso la loro coscienza «sommersa». Ci ha provato Giuliano Dolce, 80 anni, neurologo, anima dell’Istituto Sant’Anna, da quando oltre dieci anni fa la proprietà della struttura, la famiglia Pugliese, decise di cambiare target: dai bambini disabili agli adulti con gravi lesioni cerebrali. Ci ha provato con la musica, migliaia di note e ritmi diversi, per indagare il cuore di chi non può più esprimersi. «Abbiamo selezionato sei pazienti in stato vegetativo tra sei mesi e un anno – spiega il neurologo ”, poi li abbiamo sottoposti all’ascolto di quattro brani di musica classica, "Una notte sul Monte Calvo" di Musorgskij, "Allegro non troppo" dalla "Patetica" di Tchaikovsky, il minuetto di Boccherini, il "Mattino" di Grieg». Cuffie alle orecchie, silenzio intorno. Un elettrocardiogramma registra la frequenza cardiaca. I dati, elaborati da un calcolatore, vengono confrontati con i risultati del medesimo test su parsone sane. Per almeno due brani, Musorgskij e Boccherini, gli esiti «sono sovrapponibili»: «Sensazione di disagio all’ascolto del primo, benessere per il secondo». Ecco la chiave, forse, per comprendere che cosa succede nel buio della coscienza. Ma l’esperimento è solo l’inizio: si andrà avanti per conoscere tutte le condizioni che possono interferire con le terapie di riabilitazione, come rumore, luce e temperatura. Per non arrendersi al buio. E per chi non ha più speranza di tornare indietro, Dolce non ha dubbi: «Quelli non sono corpi abbandonati, io difendo le loro coscienze. Compresa Eluana Englaro: non deve morire di fame e di sete. Non può». Grazia Maria Mottola