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 2008  luglio 26 Sabato calendario

Alla base dei diritti e dei doveri dei giornalisti non stanno la grazia del principe, le leggi del mercato o un´arbitraria presa di potere da parte della corporazione, bensì una delega della società civile

Alla base dei diritti e dei doveri dei giornalisti non stanno la grazia del principe, le leggi del mercato o un´arbitraria presa di potere da parte della corporazione, bensì una delega della società civile. (da "L´onore della cronaca" di Enrico Morresi Edizioni Casagrande, 2008 – pag. 23) C´è una scuola o una corrente di pensiero, che si potrebbe definire benpensante o perbenista, impegnata a dimostrare che esisteva un "teorema" sul caso Telecom e che adesso è stato smontato dalla Procura di Milano, con le richieste di rinvio a giudizio per lo scandalo delle intercettazioni telefoniche e informatiche. A costruire proditoriamente questo teorema, sarebbero stati i mezzi d´informazione per insinuare il sospetto "che le indagini – come ha scritto Sergio Romano sul Corriere della Sera – avrebbero inevitabilmente trascinato sul banco degli accusati il presidente e l´amministratore delegato dell´azienda, rappresentati come registi dell´intera operazione". E invece, mettendo sotto accusa il capo degli spioni, Giuliano Tavaroli, insieme a un´altra trentina di persone, la magistratura milanese "avrebbe implicitamente scagionato Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora". Ora si dà il caso che la stessa Procura di Milano ha chiesto di rinviare a giudizio anche le due società direttamente coinvolte nella vicenda, Telecom e Pirelli, in forza della legge 231 che contempla la responsabilità oggettiva delle aziende in quanto persone giuridiche. In buona sostanza, i rispettivi vertici non avrebbero vigilato o non avrebbero vigilato abbastanza per impedire ai propri dipendenti di commettere reati così gravi. Ma evidentemente, per "top manager" di tale livello, questa è già un´accusa pesante: come dire che non hanno fatto o non hanno saputo fare il loro lavoro, adottando modelli di organizzazione e di gestione adeguati. Sarà il processo a stabilire se questa responsabilità oggettiva effettivamente c´è stata o meno. E semmai, se vi sono state anche responsabilità soggettive, individuali, ed eventualmente di chi. Ma, come nessuno è autorizzato ad accusare o condannare nessuno, così al momento nessuno può scagionare o assolvere nessuno. A ben vedere, questo è il vero teorema del caso Telecom: e cioè che esiste o esisteva un teorema. troppo facile e troppo comodo puntare il dito contro la stampa, nel senso più largo della parola, quasi che si fosse inventato lo scandalo o l´avesse montato ad arte. Qui siamo di fronte a una vicenda talmente torbida e inquietante che chiunque, benpensante o malpensante, dovrebbe preoccuparsi piuttosto di capire i fatti, prima di trinciare giudizi ed emettere sentenze in una direzione o nell´altra. Quello che però non è accettabile, allo stato degli atti, è il tentativo di derubricare tutta la vicenda a una marachella, una goliardata o al più una mascalzonata compiuta da una banda di spioni "deviati". Basterebbe considerare il genere e la funzionalità di alcune delle informazioni raccolte illecitamente, per rendersi conto che potevano interessare soltanto all´azienda: come, per esempio, quelle ottenute intercettando i telefoni o i computer dell´Antitrust, per conoscere in anticipo decisioni sulle tariffe o sui diretti concorrenti. Se non sono state commissionate da qualcuno, a qualcuno pure saranno state riferite e allora sarebbe dovuto scattare un campanello d´allarme. A parte l´ipotesi di responsabilità oggettiva, dunque, restano da chiarire alcuni punti fondamentali di questo intricatissimo affaire, nell´interesse generale dei cittadini, degli utenti e degli azionisti di Telecom. A cominciare dall´episodio della falsa microspia, la prima pietra di tutto lo scandalo, che sarebbe stata trovata sull´auto dell´altro amministratore delegato, Enrico Bondi. questa, come nel gioco del Monopoli, la casella iniziale da cui occorre partire per ripercorrere l´intero itinerario. Fu proprio quella "cimice" fasulla, infatti, installata dalla stessa banda degli spioni, a provocare le dimissioni forzate di due dirigenti, l´ex segretario generale Vittorio Nola e il capo della Security interna Piero Maria Gallina, estromessi in forza di un "accordo consensuale" e risultati poi estranei alla vicenda. Un complotto ordito ai loro danni, per allontanarli dall´azienda e sgomberare il campo a Tavaroli e ai suoi uomini. Ma perché Bondi, appena passato dalla Pirelli a Telecom, non smascherò tempestivamente quella macchinazione? Perché l´Ufficio di presidenza della società, come hanno poi riferito i giornalisti di Borsa & Finanza condannati per diffamazione, diffusero la notizia che i due dirigenti erano stati allontanati a causa della microspia? E perché i vertici del gruppo non hanno mai voluto chiarire finora la faccenda, riabilitandoli e risarcendoli? Sarà pure una responsabilità oggettiva, secondo l´ipotesi dei magistrati milanesi, ma come mai il Centro di costo del top management, soprannominato "il fondo del Presidente", passò improvvisamente da circa 500 mila euro all´anno agli 85 milioni del periodo 2002-2006? A quali scopi vennero utilizzati quei fondi? E soprattutto, da chi o con l´autorizzazione di chi? Toccò poi a Guido Rossi, subentrato a Tronchetti Provera alla presidenza, denunciare l´esistenza di una riserva di denaro tanto ingente quanto misteriosa. Tutto ciò è sfuggito al Comitato di controllo interno, presieduto fino al 2007 da Guido Ferrarini, a cui è succeduto Paolo Baratta. Forse i movimenti di personale, le spese speciali e gli acquisti di apparecchiature altamente sofisticate, avrebbero potuto e dovuto insospettire gli amministratori indipendenti chiamati a vigilare sul vertice operativo. Eppure, fu lo stesso professor Ferrarini a escludere in una relazione al Consiglio di amministrazione qualsiasi ipotesi di responsabilità oggettiva dell´azienda. Lasciamo stare, allora, i presunti teoremi della stampa. I giornalisti fanno il loro mestiere, raccogliendo notizie e offrendole alla valutazione dei lettori, in attesa di un responso definitivo della magistratura. E se un imputato, in un´aula di tribunale o in un´intervista, cerca di buttare fango nel ventilatore, non commettiamo noi l´errore di confondere l´uno con l´altro. * * * In merito all´articolo della scorsa settimana, intitolato "L´abbraccio mortale che soffoca la Rai", il sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani, precisa di aver venduto l´emittente Lombardia 7 nel ´95 a un gruppo che poi è fallito nel ´99. Al termine dell´inchiesta, dopo aver indagato anche Romani come ex amministratore, è stato poi lo stesso magistrato a chiederne nel 2003 l´assoluzione. (sabatorepubblica.it)