Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  luglio 07 Lunedì calendario

Panorama, 10 luglio 2008 Nell’Italia di Valori, ben diversa dall’Italia dei valori sbandierati per raccattare voti, il potere seguiva itinerari imperscrutabili ed era prassi che lui, il professor Giancarlo Elia Valori, andasse in vacanza con la madre Emilia nella Corea del Nord due volte l’anno

Panorama, 10 luglio 2008 Nell’Italia di Valori, ben diversa dall’Italia dei valori sbandierati per raccattare voti, il potere seguiva itinerari imperscrutabili ed era prassi che lui, il professor Giancarlo Elia Valori, andasse in vacanza con la madre Emilia nella Corea del Nord due volte l’anno. A Pyongyang il dittatore comunista Kim Il Sung, in segno di deferenza, aveva addirittura intitolato Villa Emilia la residenza messa a disposizione dell’economista italiano. «Conservo ancora i sandali bianchi che la mamma calzava quel giorno del settembre 1987 quando a cena osai chiedere al presidente coreano d’intervenire sull’imam Ruhollah Khomeini perché facesse liberare gli ostaggi ebrei francesi in Libano. Da sotto il tavolo mi arrivò una di quelle pedate...». Invece Kim Il Sung replicò amabile: «Posso forse rifiutare un favore al mio amico Valori?». E i tre prigionieri furono rilasciati.  lì, a Pyongyang, che Valori ha conosciuto il re cambogiano Norodom Sihanouk, il leader dei palestinesi Yasser Arafat, il futuro presidente egiziano Hosni Mubarak, ma soprattutto l’attuale presidente cinese Hu Jintao e i suoi predecessori Deng Xiaoping e Jiang Zemin, che gli hanno spalancato le porte della Cina, premessa indispensabile per farci passare il corridoio ferroviario Lisbona-Pechino che sta progettando da presidente della società Sviluppo del Mediterraneo, fondata con Giuseppe Garofano, ex presidente della Montedison, e investitori del calibro di Allianz e Generali. E se non era la Corea del Nord, era la Romania, a Neptun, sul Mar Nero, nella spiaggia privata di Nicolae Ceausescu e sua moglie Elena, «dovrebbe vedere le loro tombe oggi, sempre piene di fiori», per preparare col comunista Santiago Carrillo, che viveva in esilio a Bucarest, il trapasso indolore della Spagna dall’ottusa tirannia di Francisco Franco all’illuminata monarchia di re Juan Carlos, altro grande amico di Valori, o per far espatriare con visti turistici gli ebrei perseguitati fin dai tempi del Conducator, «chiedevo a Francesco Cossiga: Presidente, devo informarne i servizi?, e lui mi rispondeva: ”Quali bassi servizi?”». Ora si capisce perché l’ammiraglio Fulvio Martini, direttore del Sismi, incontrando Fulvio Roiter sul treno che da Venezia saliva a Cortina d’Ampezzo, saputo che il grande fotografo era originario di Meolo come Valori, proruppe in un «quello non lo può incastrare nessuno!». Che coincide col giudizio dato dallo stesso Cossiga durante la cerimonia per il quarantennale dell’Aiscat: «La forza del professor Valori è tutta nella sua rettitudine morale, nelle sue mani pulite, di cui tutti gli danno atto». E persino con l’annotazione, all’apparenza ignominiosa, in realtà encomiastica, apposta da Licio Gelli accanto al nome di Valori sulla lista della P2: «Espulso». L’unico. Si capisce anche perché il nuovo libro di Valori, Mediterraneo tra pace e terrorismo (Rizzoli), si apra con la prefazione del presidente israeliano Shimon Peres, altro grande amico che spostò al pomeriggio il giuramento alla Knesset per non mancare al mattino all’inaugurazione della cattedra Giancarlo Elia Valori per gli studi e la cooperazione regionale presso la Hebrew University di Gerusalemme. Al tavolo più defilato nell’angolo più nascosto del ristorante che si affaccia sul parco dell’hotel Delle Rose di Monticelli Terme (Parma), Valori divora l’antipasto da Protezione civile - teste di aglio e gambi di cipollotto - servito da un manipolo di camerieri cerimoniosi e spiega che fu l’inseparabile mamma, in memoria della quale ogni 23 marzo fa celebrare a Roma una toccante messa di suffragio, a insegnargli il segreto del potere: «Tutto sta nel capire il fattore umano». Lo ha capito. Ha frequentato Giovanni XXIII, prima da patriarca («La curia romana lo aveva esiliato a Venezia») e poi da pontefice; Paolo VI («La storia lo rivaluterà in pieno»); Giovanni Paolo II («Mi ha lasciato ricordi indelebili»); i presidenti argentini Juan Domingo Perón e Arturo Frondizi e quello francese François Mitterrand, che lo insignì della Legion d’onore per meriti umanitari; il premier spagnolo Adolfo Suarez, che lo invitava regolarmente a colazione alla Moncloa. Valori s’è fatto adottare dal potere a 25 anni: assunto alla Snia Viscosa da Mario Schimberni e Cesare Romiti («L’unico dei miei ex capi al quale riesco a dare del tu, io che mi sono sempre rivolto col voi persino ai miei genitori»); chiamato alla Rai da Ettore Bernabei («Gli ho chiesto consiglio prima d’accettare questa intervista: ha detto che posso fidarmi»); poi le presidenze della Sirti, della Sme, delle Autostrade e la stagione delle privatizzazioni; 6 anni alla guida della Confindustria laziale; da un mese anche presidente della Fondazione Abertis. A 68 anni resta un figlio modello. Quando e perché hanno cominciato a descriverla come uno degli uomini più potenti d’Italia? Ma davvero? Il potere è l’esecuzione di una grande idea. Al pari della sapienza, è fatto di relazioni, di rapporti, di fiducia. E di stabile credibilità. D’altra parte, diceva Charles De Gaulle, niente rafforza l’autorità quanto il silenzio. Che è l’inizio della saggezza. Finisce raramente sui giornali. questo il segreto di chi è veramente potente? I giornali, lo dice la parola stessa, si occupano delle cose di giornata. Le grandi scelte coprono, spesso, l’arco di una o più generazioni. Si lavora sempre per il domani, e questo i mass media non possono vederlo. Che cos’è per lei il potere? Serve a realizzare progetti. Da solo, non feconda la realtà. Il potere logora chi non ce l’ha, come sostiene Giulio Andreotti? Logora chi non lo sa applicare bene. Un uomo di potere che ha conosciuto? Bernabei. Ha rifiutato di diventare cavaliere del lavoro, senatore, ministro. Uomo di grandi vedute. Da direttore generale della Rai, nel 1975 mi spedì in Cina ad aprire il primo ufficio di corrispondenza, affidato a Ilario Fiore. Bernabei era il confidente di Amintore Fanfani, Giorgio La Pira, Aldo Moro. Lei? Confidente è chi apprende da A i segreti di B che gli erano stati confidati da C. In questo senso non sono mai stato confidente di nessuno. Ma amico sincero di molti, sì. Mi racconti della sua famiglia. Nasco nell’entroterra veneziano da genitori toscani. Mio padre Marco, compagno di scuola di Fanfani, morì troppo presto. Mio fratello Leo, ingegnere, che aveva 15 anni più di me, era stato partigiano bianco. Il presidente dell’Eni, Enrico Mattei, lo mandò in Argentina ad aprire la filiale della Snam. Fu lui a presentarmi Perón e Frondizi. Un tumore se lo portò via ad appena 38 anni. Io ho studiato economia e commercio e mi sono trasferito a Roma. Ho sempre vissuto con mia madre Emilia. Di solidissima fede cattolica, durante il fascismo salvò dalla deportazione molte famiglie di ebrei. Nel 1998 a Gerusalemme ebbe l’onore di piantare un ulivo nel Giardino dei giusti dello Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto. Mi ha insegnato tutto quello che conta nella vita.  ebreo o cattolico? Sono cattolico, apostolico, romano. Chissà perché tutti credono che lei sia israelita. Nutro grande ammirazione per gli ebrei da quando, nel 1963, andai a soggiornare in uno dei loro kibbutz. M’impressionarono l’organizzazione sociale, lo spirito di concordia e la cura che dedicavano a scuola, sanità e difesa.  considerato il mago delle privatizzazioni. Sme e Autostrade le ho fatte nell’interesse dello Stato, tanto che il presidente Carlo Azeglio Ciampi mi scrisse una lettera per elogiarmi d’aver raggiunto «l’obiettivo di una massima trasparenza sull’origine dei capitali». Si poteva avviarne altre che non fossero speculative e favorissero sia i consumatori sia gli azionisti. Quali? L’elenco sarebbe lungo. Lo cominci. Le Ferrovie. L’Alitalia. E la Rai, che prima si privatizza, meglio è. Ai Benetton ha venduto gli Autogrill e le Autostrade. Le erigeranno un monumento a Ponzano Veneto... Là ci sono già la villa Corner affrescata dal Tiepolo e le teste marmoree di Gesù e Maria attribuite al Torretti, maestro di Antonio Canova. Sarei davvero di troppo. Che idea s’è fatto di come Romano Prodi gestì la privatizzazione della Sme quand’era al vertice dell’Iri? Alcune cose giuste, altre inesatte ma probabilmente non del tutto prevedibili. Diplomatico. Prodi la definì «il mio Vietnam». Sulle trattative e sulla loro forma non mi pronuncio. Certo, intorno al caso Sme ci fu una coalizione di interessi che poi divennero opposti. Càpita. Dicono che sia stato lei a ispirare l’inchiesta giudiziaria del procuratore Luciano Infelisi sulla Nomisma, la società di consulenza fondata da Prodi a Bologna. Io non ispiro niente. Non svolgo mai la mia attività in questo modo. Con Berlusconi che rapporti ha? Cordiali e continui, da molto tempo. Come fa a parlare col Cavaliere, che detesta l’aglio più di Dracula? L’aglio è un potente antitumorale e una farmacia naturale. Quando devo incontrare qualcuno, uso un spray cinese. Ma ormai ho rinunciato a convincere Berlusconi su questo punto. Pensa che l’attuale premier possa diventare capo dello Stato? Berlusconi ama il potere che realizza. Non so se la presidenza della Repubblica lo soddisferebbe. Consigli da dare al nuovo governo? Fare e fare presto. Per il resto, ha già detto tutto il cardinale Mazzarino: «Non ti prendere a danneggiar più insieme, ma macchinando contro di taluno, confederati in amicizia con quell’altro». Consigli da dare all’opposizione? All’opposizione consiglio una vasta rivoluzione culturale. E un’altra frase di Mazzarino: «Non ti sia comando, che t’induca a intraprendere affari inutili, che ricercano gran tempo». Proviamo a indovinare il futuro di alcuni politici, le va? Massimo D’Alema. Riceverà un importante incarico internazionale. Se lo merita. Walter Veltroni. Per parafrasare Nietzsche, potrebbe diventare ciò che è: il capo dell’opposizione. Gianfranco Fini. Il leader del Popolo della libertà dopo Berlusconi. Giulio Tremonti. Capo del governo di centrodestra. Anche lui può diventare ciò che è. Pier Ferdinando Casini. Un ottimo sindaco di Bologna. Ha sbirciato i redditi finiti online? Non faccio voyeurismo finanziario. Ma ha senso pagare i manager 10 milioni di euro l’anno? Purché valgano quello che sono pagati. E sia verificabile, alla lunga, il loro operato nell’interesse del paese. Mi scusi: Matteo Arpe, all’epoca amministratore delegato della Capitalia, nel 2005 dichiarava 37 milioni di euro. Sono circa 6 miliardi di vecchie lire al mese, quasi 200 milioni di lire al giorno. Non sono d’accordo su queste cifre. I miei amici americani o francesi non le ricevono. Lei espresse un giudizio positivo sul finanziere Stefano Ricucci: « interessante che si affaccino sul mercato figure che immettono liquidità». Continuo a ritenere giusto il principio. Ma su Ricucci mi sbagliavo. Mi risulta che sia parente di Pietro Fiordelli, il vescovo di Prato che nel 1956 provocò una crisi nei rapporti Italia-Vaticano per aver definito «pubblici concubini» due giovani sposatisi in municipio. Era cugino di mia madre. mancato nel 2004, a 88 anni. Un uomo con eroici slanci di carità, che non andrebbe ricordato per quell’unico episodio. Certo la dottrina della Chiesa era chiara, su quel punto. Ma occorre sempre applicare la norma generale al caso particolare. Intervistai monsignor Fiordelli ormai ultraottantenne. Mi spiegò che parlò in quel modo perché il suo vescovo, ordinandolo prete, gli aveva comandato: «Non chiamerai male il bene, né bene il male». A lei è mai capitato di confonderli in ossequio alla realpolitik? Il bene è il bene, il male è il male. Non è un’ovvietà, ma un concetto profondo. Quando credevo di piegarmi alla realpolitik, poi invece ho scoperto che avevo interpretato male il bene. Mia madre diceva: «Si può parlare con i disonesti senza perdere l’onestà e passeggiare con i re restando umili». Mi racconti dell’amicizia con Perón. Era un rapporto franco e corretto. Niente di più, niente di meno. Non è che fu lei a far seppellire la moglie Maria Eva Duarte nel cimitero di Milano sotto mentite spoglie? No. La povera Evita non meritava quel trattamento post mortem. «Diario» scrisse: «Quando Perón nel 1973 torna in Argentina da trionfatore, sull’aereo che lo porta da Madrid a Buenos Aires, insieme ai notabili peronisti, alla moglie Isabelita e al cadavere di Evita trafugato dal cimitero di Milano, ci sono due italiani: Licio Gelli e Giancarlo Elia Valori». Una menzogna. Non è che se conosci qualcuno devi fare tutto insieme con lui. Gelli la cacciò dalla loggia segreta. Avevo rapporti con molti uomini della P2. Quello che Gelli ha scritto e fatto a mia insaputa non m’interessa. Però il teorema della P2 come rete universale e suprema del potere italiano s’è oggettivamente dimostrato falso. Che rapporti ha con la massoneria? Ho grande rispetto per la massoneria, ma non vi appartengo. Nel pc sequestrato alla brigatista rossa Nadia Desdemona Lioce il suo nome era rubricato fra i «portatori del dialogo». Ne va fiero o la preoccupa? Tutt’e due. Sono davvero un uomo del dialogo. Mi meraviglia che una terrorista delle «nuove» Br potesse avere i miei numeri telefonici. In ogni caso, io non ho paura di nessuno. Israeliani e palestinesi un giorno faranno pace? Certamente. Ma occorre che quel giorno arrivi il prima possibile. Moshe Dayan nel febbraio 1981 mi disse: «Nella vita bisogna vincere, stravincere significa perdere». I suoi amici più cari chi sono? Francesco Cossiga, Shimon Peres, Tarak Ben Ammar, Cesare Geronzi, Massimo D’Alema e Liliane Schueller Bettencourt (figlia unica del fondatore della multinazionale dei cosmetici L’Oréal, figura nella classifica della rivista Forbes come la donna più ricca del mondo, ndr). C’è qualcosa che non sopporta? L’ingratitudine. Ha un difetto che non si perdona? Il presidente Cossiga mi ripete spesso che sono implacabile con i nemici. Ha mai chiesto scusa a qualcuno? Sì, ma in privato. Stefano Lorenzetto LORENZETTO Stefano. 51 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ”75. stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café su Raitre. Scrive per Il Giornale, Panorama, Monsieur e Quattroruote. Sei libri: Fatti in casa, Dimenticati, Italiani per bene, Tipi italiani, Dizionario del buon senso e Vita morte miracoli. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. LORENZETTO Stefano. 51 anni, veronese. Assunto a L’Arena nel ”75. stato vicedirettore del Giornale e autore Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama, Monsieur e Quattroruote. Sei libri: Fatti in casa, Dimenticati, Italiani per bene, Tipi italiani, Dizionario del buon senso e Vita morte miracoli. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo.