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 2008  maggio 13 Martedì calendario

Senegal, i baby mendicanti del Corano. Corriere della Sera 13 maggio 2008 GHEDIAWAYE (Senegal) – Quando una macchina si ferma a un incrocio o si impantana in un ingorgo davanti a un mercato, arrivano a nugoli davanti ai finestrini: scalzi, armati solo di secchielli di plastica pieni di zollette di zucchero che regalano in cambio di qualche spicciolo

Senegal, i baby mendicanti del Corano. Corriere della Sera 13 maggio 2008 GHEDIAWAYE (Senegal) – Quando una macchina si ferma a un incrocio o si impantana in un ingorgo davanti a un mercato, arrivano a nugoli davanti ai finestrini: scalzi, armati solo di secchielli di plastica pieni di zollette di zucchero che regalano in cambio di qualche spicciolo. Sono i «Talibés de la rue», gli ottomila mendicanti tra i 5 e i 12 anni che al mattino tra le 6 e le 11 chiedono l’elemosina per le strade del distretto di Dakar e dei sobborghi vicini: Pikine, Rufisque, Guèdiawaye. Vengono dalle campagne, non vivono più con i loro genitori che lavorano la terra. Sono organizzati in comunità da 50-60 bambini sotto la guida dei Marabut, maestri di piccole scuole religiose musulmane, le Daara, che insegnano ai bambini il Corano in arabo e soprattutto controllano il loro «lavoro» per le strade. Da anni un’organizzazione che ha sede in Italia (l’Ucw, Understanding Children’s Work, animata e guidata con entusiasmo dal professor Furio Camillo Rosati) segue il problema in diretto contatto con l’Unicef, molte organizzazioni non governative senegalesi e il programma governativo Parrer, voluto dal presidente Abdoulaye Wade per combattere la piaga. Basta conquistare la fiducia di un Marabout, per esempio il pittoresco Babacar Niang che guida la Daara «Cheikh Al Islam» nella polvere della campagna di Ghediawaye, un sobborgo di Dakar, per capire il ritmo della giornata. Lo ammette lo stesso Marabut: «Si svegliano alle 6 e fino alle 11 sono per strada. Poi pregano fino alle 2, mangiano, ancora preghiera fino alle 6. Due ore di gioco, cena e a letto». Intorno al Marabut libri molto malmessi e tavole di legno per insegnare il Corano ai bambini. Solo Corano, niente altro, figuriamoci l’indispensabile francese per introdursi nel Senegal contemporaneo. Babacar Niang guarda i suoi piccoli e se gli chiedi se non si senta in colpa per un’attività che di fatto è un racket organizzato sul territorio, sorride: «Ma sono i loro genitori a mandarli qui, e sono felicissimi ». Molti ragazzini tossiscono (lo smog del traffico qui a Dakar è micidiale), altri hanno escoriazioni sulle gambe. Ma sorridono tutti e il Marabut non fa un passo senza essere seguito dai suoi 63 bambini. Spiegano Cheikh Tediane Niang e Abdourahmane Kane dell’organizzazione non governativa senegalese «Intermondes », da anni impegnata a Ghèdiawaye: «Il nostro è un Paese di cultura islamica. Non possiamo combattere il fenomeno ma solo contenerlo trattando continuamente con i Marabut, magari ricoverando in ospedale i piccoli più ammalati. L’approccio culturale delle famiglie in campagna è lo stesso da secoli: vogliono che i loro figli imparino il Corano e magari diventino Marabut. La legge sull’istruzione obbligatoria del 1967, voluta da Leopold Sengor, viene vissuta nelle zone rurali come un’imposizione di una cultura europea, diversa». Un’azione ostile, dicono i due operatori, otterrebbe un effetto diametralmente opposto: compatterebbe ancora di più le famiglie ai Marabut. «Sappiamo che si tratta di un’atrocità. Ma la mentalità radicata resiste a ogni regola, a ogni legge. Meglio un costante e assiduo lavoro sul cambiamento di mentalità », dicono a «Intermondes». Il fenomeno sarà duro da sradicare. La regione di Dakar occupa appena lo 0,3% del territorio nazionale ma ospita il 22% della popolazione che è giovanissima, i bambini al di sotto dei 15 anni sono addirittura il 42% dei senegalesi che per il 60% hanno meno di 25 anni. Bastano queste cifre per capire perché le famiglie delle poverissime campagne preferiscono sapere i loro bambini «al sicuro» nelle Daara: chiederanno l’elemosina ma sicuramente mangeranno tre volte al giorno e avranno un Marabut che non li abbandona di notte sulla strada. Il rapporto di Understanding Children’s Work parla della mendicità di questi bambini come di «un lavoro a tempo pieno » anche perché la divisione oraria di cui parlano i Marabut si traduce in realtà in poche ore di studio del Corano e di almeno 6-7 ore di elemosina nel traffico. Ma perché nel centro di Dakar si vedono pochi bambini? Abdourahmane Kane di «Intermondes» allarga le braccia: «La città è più ricca. Ma la sua gente è diventata più arida e più insensibile». Come in tutto il resto del mondo. Paolo Conti