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 2008  maggio 13 Martedì calendario

Dopo quello che si configura come il più potente terremoto della storia della Cina moderna, i dirigenti del partito si sono mobilitati con una tempestività senza precedenti

Dopo quello che si configura come il più potente terremoto della storia della Cina moderna, i dirigenti del partito si sono mobilitati con una tempestività senza precedenti. Non solo perché la situazione - gravissima - lo richiedeva, ma anche per sottrarsi all’accusa di essere vittima della «sindrome birmana». In altre parole, Pechino non vuole essere confusa con la pavida inefficienza della giunta di Rangoon, incapace di reagire al disastro provocato dal ciclone Nargis. Meno di due ore dopo la prima scossa di 7,8 gradi sulla scala Richter con epicentro nel distretto di Wenchuan, registrata alle 14,28 ora locale (8,28 di mattina ora italiana), il primo ministro Wen Jiabao annunciava di essere in volo per le zone del disastro e il presidente Hu Jintao intimava alla popolazione e ai funzionari locali di prodigarsi con gli aiuti. E già dopo pochi minuti dalla prima scossa, Internet cinese, la televisione e le agenzie ribollivano di notizie, anche se tutte parziali e frammentarie. Le linee telefoniche erano interrotte, le informazioni incerte ma i dirigenti cinesi, ormai a poche settimane dalle Olimpiadi, non vogliono dare l’impressione di coprire il disastro o di sfuggire alle proprie responsabilità. L’esercito annunciava la sua mobilitazione generale per le zone del sisma, l’invio di soccorsi ed elicotteri nelle zone colpite, sismologi di mezza Cina erano chiamati in televisione per spiegare, illustrare e presentare piani di azione. A differenza di quanto accaduto nella recente crisi tibetana, il governo vuole dimostrare di non avere paura di mostrare la realtà delle cose. Anche perché il flusso aperto di informazioni, favorito e incoraggiato dal governo centrale, inchioda eventuali inefficienze dei funzionari locali. Tra gli altri obiettivi delle autorità cinesi - sempre per sottolineare la differenza con il caso birmano - quello di dimostrare al mondo che il paese non ha non ha bisogno di aiuti dall’estero, perché è capace di far fronte al disastro con le sue sole forze. Tanto attivismo si spiega anche con la volontà di liberarsi da uno spaventoso fantasma del passato: nel 1976 un potente terremoto rase al suolo la città di Tangshan, a circa 200 chilometri da Pechino. Allora i soccorsi arrivarono in ritardo, le notizie filtrarono con il contagocce e soltanto oggi si sa che i morti furono almeno 300 mila. Gli sforzi per apparire più efficienti in questa situazione non elimina tuttavia i dubbi sulle cause del disastro. Diplomatici occidentali sospettano che una delle concause del sisma possa essere anche l’enorme diga delle Tre Gole, costruita contro il parere di molti esperti stranieri anche per motivi sismici. Secondo gli esperti infatti si sono susseguite più scosse ondulatorie, facendo pensare a un grave problema che interesserebbe tutta una faglia della crosta terrestre. Il problema - sottolineano i tecnici - potrebbe essere stato causato o aggravato dal peso enorme di milioni di tonnellate di acqua che gravano nell’incrocio di montagne lungo il Fiume Yangzi. Dietro la gigantesca diga c’è infatti un bacino idrico lungo 520 chilometri, largo almeno due chilometri e profondo oltre 100 metri, che arriva fino alla megalopoli di Chongqing, ovvero alle porte della regione colpita dal terremoto, il Sichuan. Si tratta in sostanza di oltre cento miliardi di tonnellate di acqua che potrebbero avere smosso fragili faglie sottostanti. Al momento sono soltanto ipotesi, ma che comunque dimostrano come la questione della controversa diga continui a perseguitare la dirigenza cinese. Tutta la buona volontà della dirigenza attuale non riesce a scalfire la sua presenza di cemento armato speciale. / Stampa Articolo