Il Sole 24 Ore 9 maggio 2008, Riccardo Sorrentino, 9 maggio 2008
Per il dollaro è cominciata una nuova fase. Il Sole 24 Ore 9 maggio 2008 Qualcosa sta cambiando, forse
Per il dollaro è cominciata una nuova fase. Il Sole 24 Ore 9 maggio 2008 Qualcosa sta cambiando, forse. presto per dirlo, ma l’andamento del dollaro degli ultimi tempi potrebbe segnalare il lento, faticoso passaggio da una fase di flessione senza freni a un’altra di maggiore stabilità, più attenta a quanto avviene nell’economia reale. Le sedute di questa settimana sono forse emblematiche di questo momento di transizione. L’euro, che si è confermata anche negli ultimi tempi la valuta più reattiva, era salito il 22 aprile al record di 1,6018 dollari ed è calato ieri fino a quota 1,5287, ai minimi da due mesi: è una flessione del 4,5% in due settimane o poco più. tanto, sul valutario, e il successivo rimbalzo fino a 1,54 dollari non ha certo modificato il senso della giornata. Non è mancato, ieri, qualche effimero pretesto. Gli operatori hanno citato molto un articolo del Financial Times - forse frutto di un’interpretazione un po’ forzata di una fonte anonima americana - secondo cui Stati Uniti ed Eurolandia condividono ora l’idea che il dollaro debba salire. L’esistenza di un interesse comune a rafforzare il dollaro non è una circostanza nuova, né sconosciuta. Basta leggere il comunicato del G-7 e le dichiarazioni ufficiali del segretario del Tesoro Usa Henry Paulson e del presidente della Banca centrale europea Jean Claude Trichet per rendersene conto. Agli occhi degli operatori, però, l’articolo sembrava suggerire l’esistenza di un vero e proprio accordo per rafforzare il dollaro. La smentita dell’Eurogruppo, proveniente anch’essa da una fonte anonima e affidata all’agenzia Reuters, è stata quindi scontata e inevitabile, ma - e questo è la cosa più significativa - non ha fatto invertire il senso di marcia delle valute, che hanno piuttosto reagito alle (solite) parole di Trichet sulla lotta all’inflazione, in quello che è apparso - più che altro - come un classico rimbalzo. Qualcosa quindi sta cambiando davvero. Non è da ieri che gli investitori, dopo aver incorporato nelle loro strategie le difficoltà Usa, si stanno concentrando sulle ricadute della crisi negli altri Paesi. Nei mesi scorsi si è molto discusso del decoupling, il distacco rispetto agli Usa di alcune economie, quelle asiatiche e quelle europee innanzitutto. Nell’incertezza, si è affermata l’idea che gli effetti del rallentamento Usa si diffonderanno nel resto del mondo più lentamente rispetto al passato. Semplificando (molto): Uem e Asia, e di conseguenza le rispettive valute, potrebbero indebolirsi davvero quando gli Stati Uniti, e quindi il dollaro, saranno già fuori dalla crisi. Le indicazioni provenienti dalla Fed, che potrebbe aver già interrotto il suo ciclo di tagli dei tassi, avrebbero in qualche modo segnalato l’avvio della nuova fase del valutario. «Noi pensiamo che il mercato sia in fase di transizione verso un nuovo regime e che le condizioni saranno incostanti nel breve termine», spiega quindi Sophia Drossos di Morgan Stanley. un’idea che si basa soprattutto sul fatto che «i recenti dati indicano soprattutto un peggioramento al di fuori degli Stati Uniti». Molte cattive notizie americane «sono già nei prezzi» e quindi le sorprese verranno soprattutto dal di fuori degli Usa. «Ci aspettiamo - è la conclusione - che questo continui a sostenere il dollaro». Anche John Normand di JPMorgan propone idee simili. «Dopo sei mesi di attenzione esclusiva - spiega - sulla debolezza americana e sui tagli alla Federal reserve, il mercato si rivolge ora al rallentamento che sta colpendo Eurolandia e si sta intensificando in Gran Bretagna». Riccardo Sorrentino