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 2008  maggio 09 Venerdì calendario

L’ambientalista scettico Capitolo XIX: Acqua L’esploratore Thor Heyerdahl nel 1947 attraversò il Pacifico senza avvistare anima viva, navi o rifiuti per intere settimane

L’ambientalista scettico Capitolo XIX: Acqua L’esploratore Thor Heyerdahl nel 1947 attraversò il Pacifico senza avvistare anima viva, navi o rifiuti per intere settimane. Quando nel 1970 attraversò l’Atlantico invece vide «molte più chiazze di petrolio che pesci» e concluse: «Era chiaro che l’umanità stava inquinando la sua sorgente più vitale, l’impianto di filtraggio indispensabile al nostro pianeta, l’oceano». L’estensione degli oceani è tale che l’impatto dell’uomo su di essi è stato irrilevante: gli oceani contengono più di mille miliardi di miliardi di litri di acqua. Le Nazioni Unite nel 1990 dissero che «il mare aperto è ancora relativamente pulito […]. Le macchie di petrolio e i rifiuti sono frequenti lungo le rotte marine ma al momento comportano un impatto trascurabile sulle comunità di organismi che vivono in mare aperto».  stato stimato che nel 1985 circa il 60% dell’inquinamento da petrolio nelle acque marine fosse provocato da operazioni di routine delle petroliere durante il trasporto, mentre il 20% proveniva dalle frequenti fuoriuscite accidentali; un altro 15% circa era causato dalle infiltrazioni naturali provenienti dai fondali marini e dall’erosione dei sedimenti. L’inquinamento da operazioni di routine delle petroliere è dovuto al fatto che quando queste viaggiano vuote utilizzano come zavorra l’acqua di mare. Nelle cisterne i residui di petrolio si mescolano all’acqua di zavorra che all’arrivo viene scaricata nel porto. Grazie all’obbligo di utilizzare nuovi sistemi di zavorra, l’inquinamento di questo tipo è in diminuzione. Nel corso degli anni è diminuito il numero di incidenti che ha provocato fuoriuscite di petrolio: mentre prima del 1980 si registravano circa 24 incidenti di grandi dimensioni all’anno, negli anni Ottanta la cifra si è assestata intorno ai 9 all’anno per scendere a 8 negli anni Novanta. In modo simile la quantità di petrolio disperso è diminuita da circa 318 mila tonnellate all’anno negli anni Settanta a 110 mila tonnellate nei Novanta. In un rapporto realizzato per il Congresso degli Stati Uniti sono stati analizzati due incidenti avvenuti su piattaforme petrolifere e quattro occorsi a navi cisterna. Il risultato è stato che, sebbene le specie marine coinvolte fossero state colpite in modo grave, il "ripopolamento è stato rapido in quasi tutti i casi presi in esame". Le conseguenze ecologiche ed economiche sono state "piuttosto contenute e, per quanto è possibile stabilire al momento, di durata relativamente breve". Il rapporto ha evidenziato che il petrolio è una sostanza presente in natura e, trascorso un certo tempo, la maggior parte di quello disperso risulta evaporata, degradata o aggregata in grumi di catrame. A simili conclusioni si arrivati anche nella valutazione dell’incidente della petroliera Braer (che ha interessato le coste britanniche nel 1993): nel 1994 si osservò che i livelli di contaminazione "erano diminuiti fino a raggiungere quelli osservati in siti molto lontani dal luogo dell’incidente". Durante la ritirata delle sue truppe nella Guerra del Golfo nel 1991 Saddam Hussein ordinò a una raffineria del Kuwait di disperdere in mare tra i 6e gli 8 milioni di tonnellate di petrolio, provocando il più grave caso di inquinamento da petrolio mai avvenuto in acque marine. Nel rapporto sul Golfo pubblicato nel 1992 Greenpeace descrisse l’avvenimento come un "disastro senza precedenti". Altri rapporti simili avanzavano ipotesi di estinzione di massa di specie marine e fornivano pessimistiche prognosi per il recupero del Golfo. Il ministro della Sanità del Bahrein affermò che le chiazze di petrolio rappresentavano "la più grave crisi ambientale dell’età moderna", che avrebbe potuto segnare la "fine delle risorse ambientali dell’intera regione". Allora un’unità composta da settanta esperti di scienze marine per condurre una serie di studi approfonditi per valutare i danni. Il rapporto fu pubblicato nel 1994 e le conclusioni di fondo erano tutte positive. Le specie marine erano "in condizioni assai migliori di quanto il più ottimista degli esperti avrebbe potuto prevedere". Le zone costiere erano state colpite più duramente, ma si erano "in gran parte riprese". Alle stesse conclusioni era giunto nel 1992 il laboratorio di biologia marina dell’Aiea, che aveva scoperto che in soli quattro mesi "il petrolio disperso si era in gran parte dissolto". Quattro minuti dopo la mezzanotte del 24 marzo 1989 la petroliera Exxon Valdez, che trasportava più di un milione di barili di petrolio, s’incagliò nella baia Prince William Sound in Alaska. Dallo scafo fuoriuscirono 266 mila barili di petrolio, il che collocò l’incidente al ventesimo posto nella graduatoria della gravità. L’incidente è costato alla Exxon circa 3,5 miliardi di dollari: 2,1 miliardi sono stati spesi per l’opera di bonifica, quasi un miliardo per il risanamento del territorio, mentre ai pescatori locali sono andati circa 250 milioni di dollari. La fuoriuscita di petrolio ha ricoperto di uno spesso manto nero circa 320 chilometri di spiagge e ha interessato anche altri 1800 chilometri circostanti. stato stimato che l’incidente abbia provocato la morte di 300 esemplari di foca comune, 2800 lontre marine, 250 mila uccelli marini, 250 aquile americane e forse 22 orche assassine. Naturalmente è un prezzo elevato, però i 250 mila uccelli morti per la Exxon sono sempre meno di quelli che muoiono ogni giorno negli Stati Uniti andando a sbattere contro lastre di vetro, o del numero di quelli uccisi in due giorni dai gatti domestici in Gran Bretagna. Commissioni scientifiche hanno osservato negli anni successivi una sostanziale ripresa dell’habitat e delle specie animali colpite. Il National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) ha pubblicato una valutazione a dieci anni di distanza dall’incidente, chiedendosi se l’area abbia registrato una reale ripresa: "La risposta precisa è ”Sì e no”. Da una parte il nostro lavoro sul campo, in laboratorio e sul fronte della teoria statistica indica che sì, in base a molti criteri la ripresa di un certo numero di specie che vivono nel tratto di escursione di marea è completa. Ma questo significa forse che tutte le tracce della più grande fuoriuscita di petrolio nella storia degli Stati Uniti siano sparite e che il Prince William Sound si è ripreso? No, non necessariamente". Ciononostante gli esperti del Noaa concludono che "la baia sembra aver imboccato con sicurezza la strada della ripresa, anche se questa non è stata ancora raggiunta". Quello che sorprende di più è che, sempre a detta del Noaa, le operazioni di bonifica hanno provocato più danni che altro. Il lavaggio a pressione della costa ha causato la gran parte dei decessi fra le specie marine. Infatti nei tratti di spiaggia esclusi dalla bonifica la vita è ripresa dopo solo 18 mesi, mentre nelle spiagge bonificate ci sono voluti dai tre ai quattro anni. Uno degli indicatori più importanti della qualità dell’acqua marina è il livello di rischio per la salute. L’acqua contaminata da batteri, virus, protozoi, funghi e parassiti può causare infezioni a pelle e orecchie, mentre l’inalazione provoca disturbi respiratori. In passato, la contaminazione era spesso provocata dalla mancanza di una regolamentazione dei sistemi fognari. L situazione generale delle acque marine è in rapido miglioramento. Nel 1987 il 30% delle spiagge del Regno Unito era inquinato, mentre nel 2000 la percentuale era diminuita al 5%. In Danimarca nel 1980 il 14% i tutte le spiagge violava le norme sanitarie: nel 1999 questa percentuale era calata all’1,3%. La percentuale media dell’Unione europea è diminuita in modo ancora più rapido: mentre nel 1992 più del 21% di tutte le spiagge europee era inquinato, nel 199 la percentuale era del 5%. I problemi principali delle acque costiere sono rappresentati dall’impoverimento di ossigeno, la cosiddetta ipossia, e dell’eccessiva crescita delle alghe che negli ultimi anni hanno interessato varie aree del mondo. Il fatto sembra imputabile all’eccessiva quantità di nutrienti che dalle aree agricole fluiscono negli estuari e nelle baie, nutrienti che favorirebbero una crescita abnorme delle alghe, la cui decomposizione provoca l’ipossigenazione delle acque. Il fenomeno è chiamato eutrofizzazione. Questo fenomeno è in effetti in aumento. Sebbene i fertilizzanti e la conseguente eutrofizzazione provochino la morte di determinati organismi negli habitat marini locali, hanno però consentito di ottenere maggiori risorse alimentari senza aumentare la superficie coltivare. E ciò ha salvato circa il 25% dell’attuale patrimonio forestale. La Banca mondiale ha osservato che l’inquinamento dei fiumi da batteri fecali è legato in qualche modo alla ricchezza degli uomini che attingono alle loro acque. L’inquinamento in un primo momento cresce con il crescere della ricchezza. Poi si ferma, prima di tornare a salire quando si supera un certo livello di redditi. Ciò si spiega col fatto che fino a un certo punto di ricchezza l’uomo ha bisogno dell’acqua dei fiumi, dopo, quando ha più possibilità, attinge di preferenza alle acque freatiche e dunque diminuisce l’attenzione ai fiumi. Comunque anche il livello di ossigenazione delle acque è un buon sistema per verificare lo stato di salute dei corsi d’acqua, perché tanto più è migliore tanti più pesci ci sono. In proposito si è osservato che ovunque è migliorata: per esempio nelle acque del porto di New York nei primi anni Settanta non c’era più vita, ma da allora, grazie ai depuratori, la qualità dell’acqua è migliorata e sono tornati pesci e uccelli. A New York i liquami urbani non depurati sono diminuiti del 99,9% rispetto al 1930; a Londra gli scarichi sono diminuiti dell’88% fra il 1950 e il 1980. In Europa il numero dei corsi d’acqua in cattive condizioni è diminuito: da poco più del 16% nel 1970, la percentuale di fiumi con qualità di acqua scarsa o pessima è scesa al 10% nel 1997. A loro volta i fiumi con qualità di acqua buona o molto buona sono aumentati dal 37% del 1989 al 59,2 del 1997.