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 2008  maggio 09 Venerdì calendario

La Stampa, venerdì 9 maggio Che fare con l’Iran, se l’Iran, nonostante promesse e minacce, porta avanti l’idea di dotarsi di armi nucleari? La politica estera non ha avuto grande spazio nella campagna presidenziale americana - salvo il coinvolgimento nella tragedia irachena - ma c’è stato nei giorni scorsi un significativo scambio di battute tra i due candidati democratici, Hillary Clinton e Barack Obama

La Stampa, venerdì 9 maggio Che fare con l’Iran, se l’Iran, nonostante promesse e minacce, porta avanti l’idea di dotarsi di armi nucleari? La politica estera non ha avuto grande spazio nella campagna presidenziale americana - salvo il coinvolgimento nella tragedia irachena - ma c’è stato nei giorni scorsi un significativo scambio di battute tra i due candidati democratici, Hillary Clinton e Barack Obama. La prima ha lanciato a Teheran un avvertimento apocalittico: se l’Iran sferrasse un attacco atomico a Israele, andrebbe incontro a una rappresaglia, s’immagina americana, che lo cancellerebbe come Stato e come Paese. Il secondo ha replicato che si tratta d’una minaccia «inutile», che serve solo a peggiorare i rapporti col governo iraniano, mentre il problema è cercare che a tanto non si arrivi, esplorando seriamente le possibilità di dialogo diretto Washington-Teheran. Sembrerebbe aver ragione Obama, salvo che, per il momento, sono saltati anche quei pochi vaghi contatti tra gli ambasciatori dei due Paesi a Baghdad, come annunciato da un portavoce governativo iraniano lunedì 5. Quanto al candidato repubblicano McCain, non pare che abbia formulato proposte specifiche, forse perché alle prese col solito problema, distanziarsi da Bush, ma non troppo. In realtà l’Iran è un rompicapo, lo è stato per Bush e lo sarà per il suo successore, chiunque sia. Non molti giorni fa, il presidente Ahmadinejad ha compiuto una mossa a sorpresa, ha fatto diffondere ben 48 foto del sito nucleare di Natanz, ricche di dettagli su impianti, centrifughe per l’arricchimento dell’uranio e così via. Ha inteso dimostrare che il sito è programmato solo per scopi civili o il suo è stato un atto di arroganza, di sfida, verso chi pensa il contrario? Gli esperti di tutto il mondo, soprattutto americani, hanno perso giorni e notti per cercare di capire, e credo che lo stiano ancora facendo. Nel frattempo, ha ricevuto una nuova offerta di compromesso (aiuti economici e tecnologici in cambio della rinuncia alla Bomba) dai Cinque Grandi dell’Onu, più la Germania. Ma non sarà solo l’Iran il rompicapo, politicamente drammatico, del successore di Bush (e sempre che il Presidente uscente non voglia chiudere in bellezza, con qualche stravolgente iniziativa dell’ultim’ora). Un altro è la Corea del Nord, che in teoria avrebbe già concluso un accordo internazionale per il ritiro dal nucleare militare, in cambio di vantaggi d’ogni tipo, ma che in pratica lascia ancora adito ai peggiori sospetti, perché rilutta a fornire un resoconto esauriente delle sue esperienze atomiche, e del grado a cui sono giunte. Non basta, il «caro leader» Kim Jong Il ha usato il tempo del lungo negoziato internazionale (con Cina, Giappone e Russia, oltre che con Usa e Corea del Sud) per aiutare la Siria ad avviare un programma nucleare ambiguo tra civile, cioè energetico, e militare. Anche questa è una storia complicata e anche misteriosa. Una storia che comincia a svelarsi nel settembre 2007, quando un raid di aerei israeliani distrugge una serie di impianti siriani sulla riva orientale dell’Eufrate. E subito si diffonde la voce che fosse un bis del 1981, quando Israele bombardò a sorpresa un nascente reattore nucleare a Osirak, nell’Iraq di Saddam Hussein. Naturalmente, il presidente siriano, Bashir Assad, nega tutto, anche Israele e gli Usa non fanno pubblicità. Ma poi la storia è emersa, c’è persino una foto, pubblicata dall’Economist, che mostra in posa due scienziati nucleari, uno nordcoreano e l’altro siriano, in Siria. L’elenco potrebbe continuare. La tentazione della Bomba è ormai diffusa, perché l’arricchimento dell’uranio, se contenuto, non è vietato e il superamento del limite è difficile da controllare. Il Trattato antiproliferazione è ormai vecchio per i tempi nuovi. Una patata bollente per il dopo-Bush. E per tutti. Anche per l’Europa. Aldo Rizzo