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 2008  maggio 06 Martedì calendario

Non è possibile fare previsioni sul clima futuro LiberoMercato, martedì 6 maggio 2008 Karl Popper sosteneva che i criteri per definire una linea di demarcazione fra scienza e pseudoscienza sono quelli della falsificabilità e della confutabilità

Non è possibile fare previsioni sul clima futuro LiberoMercato, martedì 6 maggio 2008 Karl Popper sosteneva che i criteri per definire una linea di demarcazione fra scienza e pseudoscienza sono quelli della falsificabilità e della confutabilità. La teoria della relatività, elaborata da Einstein tra il 1905 ed il 1915, formulava alcune previsioni sul comportamento della natura che, se non avessero avuto un riscontro empirico, avrebbero mostrato la falsità dell’ipotesi scientifica formulata. Non era così per il marxismo e la psicanalisi, teorie che non correvano il rischio di essere smentite dalla realtà dei fatti: qualsiasi accadimento si fosse verificato, avrebbero potuto interpretarlo in modo tale da non compromettere lo schema teorico di riferimento. La speranza coltivata dal filosofo tedesco di gpoter vivere abbastanza a lungo da vedere sbugiardate e ridotte a pezzi le invenzioni di due ebrei che scrivevano in tedesco, il comunismo di Karl Marx e la psicoanalisi di Sigmund Freud" si è avverata: già sul finire dello scorso secolo in pochi avrebbero accostato l’aggettivo gscientificoh a tali dottrine. Oggi probabilmente solo qualche nostalgico del Novecento. Nei giorni passati il tema della linea di demarcazione popperiana è riecheggiato in un’analisi di Roger Pielke, professore di scienze ambientali dell’Università del Colorado, relativa ai modelli utilizzati per la previsione dell’evoluzione del clima della terra. Sono tali modelli scientifici oppure no? L’interrogativo traeva origine dalla pubblicazione sulla rivista Nature di un articolo di alcuni climatologi tedeschi nel quale si ipotizza che nei prossimi dieci anni si potrebbe verificare un raffreddamento della temperatura degli oceani e, di conseguenza, un temporaneo arresto della crescita della temperatura del pianeta. Gli autori dello studio hanno sostenuto che i risultati della loro ricerca non sono in contraddizione con i modelli finora elaborati e che prevedono un riscaldamento della terra nel lungo periodo. La domanda che si è posto Pielke è la seguente: esiste una qualche evidenza empirica che possa portare alla falsificazione di tali modelli? La risposta, sulla base di quanto affermato dagli autori della ricerca, è negativa: se l’assenza di riscaldamento del pianeta nella prossima decade è coerente con le predizioni dei modelli allora lo può essere qualsiasi evoluzione futura del clima. Ma, se niente può smentire i modelli, ne consegue che essi non possono essere definiti "gscientifici" e la loro utilità, al fine di adottare politiche di un certo tipo piuttosto che di altro segno, è pressoché nulla. Il fatto che i modelli presentino più di una lacuna è desumibile anche da una dichiarazione di Kevin Trenberth, uno tra i maggiori scienziati che si occupano di riscaldamento globale, il quale, intervistato dal New York Times, a sostegno dell’interpretazione formulata dal gruppo di ricercatori teutonici, ha affermato che "in troppi ritengono che il riscaldamento sia un fenomeno lineare che prosegue senza sosta di anno in anno". Ma questa evoluzione è precisamente quella che viene presentata sugli organi di informazione: la temperatura cresce senza alcuna interruzione per i prossimi decenni. E la stessa previsione è contenuta nell’ultimo Summary for Policymakers dell’IPCC, l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di cambiamenti climatici: il grafico che riporta le varie ipotesi di riscaldamento del pianeta non contempla affatto l’evenienza di una temporanea stabilizzazione delle temperature. In realtà, dalla ricerca pubblicata su Nature sembra trovare conferma una tesi a lungo sostenuta in passato dai cosiddetti "scettici", ossia che la variabilità naturale del clima è assai più rilevante di quanto ipotizzato nei modelli di previsione che attribuiscono all’uomo la responsabilità di gran parte dell’aumento di temperatura nello scorso secolo e che portano ad ipotizzare un riscaldamento per la fine di questo pari a 4 - 5 °C. Se nel prossimo decennio il termometro della Terra non farà registrare variazioni, vorrà dire che nell’arco di mezzo secolo, dal 1970 al 2020, la temperatura media del pianeta sarà cresciuta di poco più di mezzo grado. Sarà difficile a quel punto non riformulare, alla luce delle conoscenze empiriche acquisite, le congetture più estreme in merito all’evoluzione del clima. E fino ad allora sarebbe prudente non intraprendere misure di drastica riduzione delle emissioni. Si correrebbe infatti il rischio di investire risorse significative per cercare di mettere sotto controllo un clima che si evolve prevalentemente per cause non correlate alle attività umane. Questa perlomeno dovrebbe essere la posizione di chi si pone di fronte al problema del riscaldamento globale in termini scientifici ed è_ consapevole che qualsiasi politica comporta costi e benefici. Per coloro i quali vedono nelle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici uno strumento per mettere i bastoni tra le ruote al disprezzato sistema capitalistico, ovviamente non vi sarà alcun fatto che farà riconsiderare le posizioni aprioristiche assunte nel passato. Una linea di azione che consenta di tenere in considerazione il progressivo perfezionarsi delle nostre conoscenze è quella proposta alcuni mesi fa dall’economista canadese Ross McKitrick e che consisterebbe nell’introdurre una tassazione uniforme a livello mondiale per ogni tonnellata di CO2 emessa. Tale imposizione (auspicabilmente compensata dalla riduzione di altre tasse) aumenterebbe o diminuirebbe in funzione della variazione futura della temperatura dell’atmosfera. E, per dirla con George Clooney: no caldo, no tassa. Francesco Ramella