Sergio Romano, Corriere della Sera 9/5/2008, 9 maggio 2008
Negli ultimi giorni ho pensato alla Cecenia, fino a poco tempo fa tanto declamata regione ad alta valenza geo-strategica
Negli ultimi giorni ho pensato alla Cecenia, fino a poco tempo fa tanto declamata regione ad alta valenza geo-strategica. Che fine ha fatto? Annientata? Invasa silenziosamente dal potente vicino settentrionale? E i suoi poveri sfortunati abitanti deportati nuovamente? Sono inquieto, e molto, per quello che ci «propinano» i mass media italiani e occidentali. Carlo Alberto Tabacchi tabacchi@libero.it Caro Tabacchi, la Cecenia è ridiventata ciò che era in passato: una repubblica autonoma della Federazione russa. Ha un presidente nella persona di Ramzan Khadirov, figlio di un uomo politico, Ahmad Khadirov, che fu ucciso da una bomba quattro anni fa nello stadio Dinamo di Grozny mentre assisteva a una parata per la celebrazione della vittoria russa nella Seconda guerra mondiale. Ramzan è capo di una milizia che ha collaborato con i russi nell’ultima fase del conflitto ed è stato scelto dal Cremlino, nonostante la sua giovane età (è nato nel 1976), per succedere al padre. Esiste quindi in Cecenia, come si sarebbe detto in altri tempi, un governo collaborazionista che gode della fiducia di Putin e può contare sul finanziamento di un grande programma di ricostruzione. Sono state edificate o restaurate molte scuole. Sono in corso di restauro i palazzi monumentali dell’era staliniana. Stanno ritornando i rifugiati e nella piazza Al Mansur, dove sorgeva il palazzo dei Soviet, è stato aperto un cantiere per la costruzione di una moschea che potrà ospitare migliaia di persone. Secondo Andrew E. Kramer del New York Times, che ha recentemente visitato la città, la vita scorre normalmente e il Paese appare complessivamente pacificato. La sola ombra in questo momento è la frequente scoperta, durante i lavori di ricostruzione, dei cadaveri di persone scomparse durante le guerre che hanno devastato la Cecenia. Secondo calcoli di Memorial, l’associazione per i diritti umani fondata da Andrej Sacharov, il numero dei desaparecidos oscillerebbe fra 3.000 e 5.000. L’identificazione dei cadaveri, quando viene tentata, è generalmente molto difficile e forse non troppo gradita al governo russo. Il Cremlino ritiene che il capitolo della guerra cecena debba considerarsi concluso; e occorre riconoscere che, per il momento, ha ragione. Ho scritto «per il momento » perché i rapporti fra la Russia e la Cecenia obbediscono a una legge storica. Quando a Mosca o a Pietroburgo vi è un potere forte che controlla efficacemente il territorio, la Cecenia accetta il dominio russo e cerca di trarne il maggior vantaggio possibile. Quando il potere centrale entra in crisi, i ceceni proclamano la loro indipendenza. Così accadde dopo la rivoluzione d’Ottobre e dopo l’occupazione tedesca di alcune regioni caucasiche fra il 1941 e il 1942. Ma non appena la situazione si normalizza e il governo centrale è in grado di esercitare le sue funzioni, la Cecenia ritorna fra le braccia della Grande Madre Russia. Il copione è stato recitato più o meno nello stesso modo durante la dissoluzione dell’Unione Sovietica nella seconda metà del 1991, quando un generale ceceno dell’aeronautica sovietica tornò in patria, occupò militarmente il palazzo dei Soviet e proclamò l’indipendenza del suo Paese. Tre anni dopo Boris Eltsin, dopo avere consolidato il proprio potere al vertice dello Stato, ritenne che fosse giunto il momento di ristabilire il controllo della Cecenia. Ma l’operazione si dimostrò molto più difficile di quanto il Cremlino non avesse previsto e Eltsin dovette rinunciare alla conquista. La tentò nuovamente Putin alla fine degli anni Novanta e il risultato, nonostante l’aumento degli attentati terroristici, fu, dopo qualche anno, quello desiderato. La chiave del successo fu per l’appunto la creazione di un blocco collaborazionista che ha deciso di vivere nell’orbita russa e di trarne ogni possibile beneficio. Tutto bene, quindi, fino alla prossima puntata.