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 2008  maggio 08 Giovedì calendario

Raccolte punti. Corriere della Sera, giovedì 8 maggio 2008 In principio era il frullatore. Duecento punti con le figurine Miralanza, quelle del fustino che alla fine riciclavamo come deposito giocattoli

Raccolte punti. Corriere della Sera, giovedì 8 maggio 2008 In principio era il frullatore. Duecento punti con le figurine Miralanza, quelle del fustino che alla fine riciclavamo come deposito giocattoli. Poi, a furia di incollare bollini, abbiamo riempito anche l’ultimo cassetto di casa: piatti, coperte, lenzuola, magari l’elegante tostapane. Adesso siamo arrivati alla terza generazione. Le tessere per la raccolta punti si chiamano carte fedeltà. Non le usiamo solo al supermercato ma ogni volta che compriamo qualcosa: dal benzinaio, in libreria, nel grande magazzino. Ogni catena, ma anche la profumeria sotto casa, ha la sua tesserina. Lo stesso meccanismo funziona con le carte di credito, con i biglietti aerei (Mille miglia e i suoi fratelli), con l’abbonamento del telefonino, con gli alberghi. Un italiano su tre ne ha almeno una nel portafoglio, molti ne hanno anche quattro o cinque. In tutto le carte distribuite sono 80 milioni, ma solo la metà sono davvero attive. E la novità è che i premi si stanno smaterializzando: chi vuole prende ancora il vecchio frullatore. Ma con i tempi che corrono aumentano quelli che convertono i punti in buoni spesa. Meglio lo sconto  la conferma di come il caro euro abbia fatto diventare più attente le famiglie italiane. Nel 2002, anno di debutto per la moneta europea, solo il 3 per cento dei consumatori preferiva utilizzare i punti faticosamente raccolti per avere un buono spesa. E giù con piatti, accappatoi e biciclette. Nel 2007 – secondo una ricerca dell’Osservatorio carte fedeltà dell’Università di Parma, guidato dalla professoressa Cristina Ziliani – siamo arrivati al 35 per cento. Dodici volte di più. Con un record clamoroso alla Coop, dove siamo addirittura all’85 per cento. vero, la Coop è un caso particolare: chi ha la carta fedeltà è anche socio della cooperativa, e la clientela è nota per la sua attenzione al portafoglio. Ma è il segnale che i premi tradizionali non hanno più il fascino di una volta. Meglio lo sconto, quindi. E poco importa se il tasso di cambio non è proprio il massimo: un punto sulla carta costa in media un euro di spesa. Ma se lo convertiamo in buono sconto vale un centesimo. Cento volte di meno. Anche le grandi catene se ne sono accorte. Oggi più della metà dei supermercati offre la possibilità di convertire i bollini in sconti. L’anno prima erano il 40 per cento. E per il catalogo premi le aziende spendono sempre meno: l’1,54 per cento del fatturato nel 1993 contro lo 0,3 per cento di adesso. Ma è sbagliato pensare che i premi stiano scomparendo. In realtà si stanno trasformando da oggetti in servizi: qualche anno fa si cominciò regalando i biglietti del cinema. Adesso vanno forte le vacanze: la Sma ti offre il «Week end coccole e massaggi a Colfiorito» con 3 mila punti. Anzi, 3 mila punti più 130 euro. Alla fine meglio dell’insalatiera Konik: di euro non ne metti nemmeno uno ma di punti ne servono 270. Aiutare gli altri Altra novità è quella che gli addetti ai lavori chiamano charity. Rinunciare ai premi, rinunciare agli sconti: regalare i bollini al supermercato che li trasforma in soldi da destinare a iniziative di solidarietà. Ormai tutte le catene di supermercati offrono questa possibilità. Con 600 punti della carta DiMeglio possiamo aiutare Medici senza frontiere a «curare dieci bambini malati di malaria in Etiopia». Oppure portarci a casa la teglia da forno media. Con 250 punti della tessera Conad possiamo aiutare la Fondazione Rita Levi Montalcini che forma infermiere in Eritrea e assistenti sociali in Madagascar. Mentre ne servono quasi dieci volte tanto per il set di spugne Gianfranco Ferrè. Aiutare gli altri invece di riempire gli armadi di roba che forse non ci serve. Al momento è il 3 per cento dei consumatori a scegliere questa strada. Come le usano le aziende Noi le usiamo per risparmiare qualcosa, o così crediamo. Ma le carte fedeltà sono uno strumento prezioso soprattutto per le catene e le aziende che le distribuiscono. L’ipermercato ha preso il posto del salumiere all’angolo. E il negoziante non conosce più il suo cliente. Non sa se tra i suo scaffali passano più giovani che anziani, e allora è meglio avere più surgelati. Oppure più uomini che donne, e allora meglio avere qualche dopobarba in più. «Una prima funzione – spiega la professoressa Ziliani dell’Osservatorio sulle carte fedeltà – è proprio quella di conoscere meglio la propria clientela, per calibrare al meglio l’offerta». In realtà avevano esagerato. Per rilasciare la carta fedeltà qualche catena chiedeva anche titolo di studio, email, professione, numero di persone in famiglia... Troppo secondo il Garante della privacy che tre anni fa ha limitato i moduli all’essenziale. Delle carte si è occupata anche l’Antitrust, che però non ha rilevato violazioni della concorrenza ma solo qualche caso di pubblicità ingannevole. Capire chi è il proprio cliente, dunque. Ma la vera funzione di quelle tesserine che intasano il nostro portafoglio è un’altra: la fidelizzazione del cliente. Cioè farci tornare sempre nello stesso posto: rischiare di rimanere a secco per non cambiare marca di benzina, prendere sempre la stessa compagnia aerea, non azzardarsi nemmeno per idea a fare la spesa in un supermercato concorrente. Anche se da un’altra parte, magari quel giorno, c’è un’offerta migliore. Nei supermarket funziona eccome: chi fa collezione dei punti torna nello stesso negozio 100 volte l’anno contro le 46 del cliente abituale ma non maniaco della tesserina. E in un anno spende 2.460 euro contro 1.090. Il doppio. E chissà se valeva la pena. Lorenzo Salvia **** ROMA – Sulla soglia di casa scatta il controllo come alla dogana: «Posa pure le buste. Dove sono i punti? Hai messo benzina? E i bollini?». Mai farsi beccare senza una risposta pronta e Giancarlo Magalli lo sa. Perciò il primordiale istinto di conservazione della specie marito gli ha suggerito di mentire più di una volta: «Come quando mia moglie Valeria si era impuntata sulla raccolta a premi della Esso: ci prendiamo il televisore per la casa al mare di mio fratello. Niente, me ne dimenticavo sempre e mi fermavo al primo benzinaio che capitava. Poi per evitare i rimproveri sostenevo di non aver messo carburante. A oltranza: praticamente facevo 90 km al litro». In caso di spesa al supermercato in solitaria («Carrello pieno di sofficini gran supplì, pizze surgelate, sughetti altrimenti proibiti») Magalli si è attrezzato: «Mi faccio firmare lo scontrino dal direttore». Raccogli-molliche, set di bicchieri («Per la domestica»), pelapatate, aspirapolvere («E funziona pure bene»), i Magalli hanno collezionato, incollato e ritirato di tutto, spesso «per conto terzi». Fin qui il protagonista sembra un raccogli-punti riottoso, in realtà è lui il recordman delle carte fedeltà con 150 esemplari detenuti o giù di lì. «Con quelle domestiche sono distratto, ma se parliamo di aerei e alberghi allora sono un campione assoluto», spiega orgoglioso. «Alitalia, British, Lufthansa, Continental, ho tutte le miglia del mondo». Titolare di carte di credito di ogni banca e colore: «Da ragazzo una volta sono stato fermato, gli agenti erano convinti che le avessi rubate». Vuoi mettere la soddisfazione: «Con i punti dell’American Express mi sono già comprato tre biglietti classe business per me e le mie due figlie. Ad agosto ce ne andiamo negli Usa. E almeno tre o quattro notti saranno gratis: le pago con la tessera Hyatt, ho accumulato i punti con un viaggio in Cina». Marriott, Starwood, Hilton, non c’è catena alberghiera di cui il nostro non sia socio devoto: «Ah, è proprio una bella sensazione lasciare l’hotel saldando soltanto il conto del minibar ». Una paleo-fidelity card il conduttore- autore Rai l’ha proprio inventata: «Era il 1970. Lavoravo all’Eni, in direzione marketing. Brevettai una tesserina con cui, dormendo nei motel Agip, si vincevano bottiglie di vino e altre prelibatezze. Andava alla grande». Della imponente raccolta di rettangoli plastificati «che se le metto per terra ci faccio 30 metri quadrati» e che quando si parte viene selezionata e imbustata in un portafoglione a fisarmonica, fanno parte anche pezzi introvabili (e ormai inutilizzabili): «La tessera della Pan-Am, quella della Twa, ci sono affezionato». La sua prima, pare, fu la «Canguro Card», distribuita da un centro commerciale, che dava diritto al 5% di sconto: «Ma io mi vergognavo perché alla cassa mi riconoscevano e non l’ho mai usata. Però gli equivalenti all’estero sì». Gli resta una qualche nostalgia invece per la gloriosa «Metrecard»: «Non era male. Era convenzionata con i ristoranti, ogni dieci pasti uno era gratis». Giovanna Cavalli