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 2008  maggio 08 Giovedì calendario

Arrigo Sacchi. «Avevo una forza tale dentro di me che potevo spianare le montagne. Ora le faccio in bicicletta

Arrigo Sacchi. «Avevo una forza tale dentro di me che potevo spianare le montagne. Ora le faccio in bicicletta. Ma allora, ci davo così dentro che a 50 anni dovetti smettere». Arrigo Sacchi parla come se tutto fosse avvenuto un minuto fa. Eppure non rifarebbe più quella vita, non la sopporterebbe. Allora, ma quando precisamente? Il 15 maggio 1988, 20 anni fa. Il Milan pareggiò a Como e tornò a vincere lo scudetto dopo 9 anni. Primo trionfo di Berlusconi. E di un signore 42enne, romagnolo di Fusignano, Ray Ban sugli occhi, figlio di un grossista di scarpe. Un maniaco del pallone che stava discretamente sulle scatole, eccome: «Ma che vuole questo? Non ha fatto nemmeno il calciatore. Ha allenato l´Alfonsine e viene a farci la lezione...». E che lezione: calcio totale, zona, dedizione assoluta. E intensità, ovvio, la parola magica. Cos´era Arrigo? «Asfissiare l´avversario». Ma la parola che preferiva era un´altra: didattica. Faceva la lezione a tutti, dal magazziniere a Van Basten. In una classifica degli antipatici se la batteva con Boniperti, Viola e un po´ dopo Capello. Il suo opposto - il simpatico - era Trapattoni, icona del calcio all´italiana. Il Gioanin caro a Brera. Ora Sacchi ride: «Tolsi certezze a chi il calcio lo faceva prima, gli altri parlavano solo di vincere. Provocavo, non ero diplomatico: erano tutti per il grigio, costringevo a dire bianco o nero...». Nel privato comunque non era antipatico, anzi: c´era anche chi lo attaccava e lo adorava. Una scintilla ed era incendio, un titolo. Venti anni fa dunque, un ciclone sul calcio. Non conta vincere ma fare spettacolo. Giovanni Galli, Tassotti, Maldini, Colombo, Filippo Galli, Baresi, Donadoni, Ancelotti, Virdis, Gullit, Evani: il 1° maggio il Milan che poi entrò nella storia batté al San Paolo il Napoli di Maradona che stava andando a vincere il secondo scudetto. Van Basten, il cigno di Utrecht, entrò e mise ko Diego. 3-2, che partita. «Tutto cominciò - dice ora Arrigo Sacchi - in uno studio televisivo. Il conte Rognoni mi fece andare in tv a Cesena con Trapattoni. Allenavo il Parma e illustrai il mio calcio: divertimento, spettacolo, gioia, lavoro, applicazione. Alla fine un cameraman mi disse: finirà che la prende Berlusconi». Arrigo vinse col Parma a San Siro ed eliminò dalla Coppa Italia il Milan di Liedholm, poi passato a Capello: un Bortolazzi qualsiasi che fa fuori Wilkins, Hateley e Baresi. Ebbe ragione il cameraman: Berlusconi telefonò. Arrigo era stato a Coverciano insieme con Zeman. I vecchi allenatori lo rifiutavano, ma lui si sentiva più coach degli altri: la professione come fede. Da giovane guadagnava bene: aveva una Porsche, girava l´Europa e vendeva partite di scarpe. E quando era ad Amsterdam andava a vedere l´Ajax e l´Olanda, i suoi miti. Piantò tutto per 200mila lire all´Alfonsine. Un pazzo. «Ma dal ´73 al ´96 per 23 anni sono sempre salito e mai retrocesso!». Presuntuoso? «World Soccer ha fatto una classifica delle squadre più belle. 1° il Brasile ”70, poi Ungheria ´54, Olanda ”74, 4° quel Milan lì e 6° il grande Real di Puskas. Incredibile: io che da ragazzino stavo in campagna a sognare il Real. E comunque in 21,5 milioni videro alla tv il mio Milan in finale di Coppa Campioni a Barcellona». Quel Milan lì vinse lo scudetto ”88 - uno solo... - due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali consecutive. «Squadra di 25 anni, come l´Arsenal oggi. Il successo? Una grande società che credeva in me: cultura, intelligenza, innovazione, progetto. E sociologi e psicologi, non solo soldi». Berlusconi aveva riversato un fiume di miliardi sul calcio e affidato il tutto a un semisconosciuto: «Gli debbo riconoscenza, con me fu democratico. Mi difese dopo l´eliminazione con l´Espanol. Non mangerà il panettone, scrivevano. Venne nello spogliatoio e disse: seguitelo, è bravo, ho fiducia in lui. No, non condivideva tutto. Credeva nei campioni, io nella didattica e nel collettivo. Parlavo di giocatori e talenti funzionali al gioco. La società li sceglieva, ma io avevo l´ultima parola: un Milan democratico, sì. Grande non solo per i soldi. Dài siamo il Milan, dicevano, possiamo spendere. Proponevano Francini per 6 miliardi e io presi Mussi per uno. Dopo 3 partite Berlusconi fece: non ho speso 100 miliardi per vedere Colombo. Ma dopo 3 anni non voleva più darlo via. Parlava sempre di mezze punte. Si chiacchierava di Hagi, Francescoli, Stojkovic, Baggio, Maradona... Ma se manca il violinista a che serve un batterista? Il presidente mi rimproverava anche di trattare qualcuno da gregario. Ma li avete mai visti i gregari? I gregari non hanno il maggiordomo». Maniacale, certo. «Ero ossessionato dal perfezionismo. Mentre festeggiavamo l´Intercontinentale a Tokyo nel ´90 trovo Pincolini, il preparatore e gli dico. Pinco hai visto la partita? Studiamo un esercizio così. "Arrigo, godiamoci la serata" rispose. Va bene, ma gli altri ci superano». In allenamento disponeva gli 11 senza palla: si muovevano a vuoto in un disegno astratto. E se sbagliavano erano cazziatoni. Sembravano tanti Marcel Marceau, oppure un film di Fellini. Citava registi e attori quando lo accusavano di frustrare i 10 e i fantasisti, come Baggio o Zola, oppure di tarpare le ali a Van Basten. «De Niro è grande ma in un grande film di Coppola» diceva. E lo ripete ora: «Giocatori bravi, bravi a cosa? Se ho Jerry Lewis gli faccio fare il comico, mica una parte drammatica, no?». Democratico e berlusconiano, dunque. E socialista. «Per me erano tutti uguali. Trattavo Van Basten come gli altri: eh sì, dicevo, io ho un´idea socialista del gioco del calcio!». E teoria, tanta. «Lavoro, applicazione, gioco di squadra, aiuto reciproco: questo ci vuole. La fantasia è un surplus, viene quando sai. Se non sai non c´è fantasia. Van Basten mi criticò, e io lo portai in panchina: "Visto che sai di calcio mi dirai che fare...". Ora che è un bravo allenatore mi dà ragione, siamo amici. Maradona? Grandissimo, fosse venuto al Milan forse non sarebbe successo tutto quello che gli è successo. Ci stimavamo, il Milan si univa per contrastarlo. Mi voleva al Napoli, lo sapete?» Già, il Napoli, la sceneggiata di Alemao e lo scudetto del ´90: «Ancora mi indigna l´invidia e la gelosia che c´era verso di noi. Incontrai Alemao tempo fa: gli scocciava essere ricordato solo per la famosa monetina». Il calcio si divise in sacchiani e antisacchiani. Sacchi fu così sconvolgente che la Juve post-Boniperti si affidò a Maifredi: ancora lo cercano. «Secondo Berlusconi se avessi dovuto pagare come pubblicità tutto quello spazio sui giornali ci sarebbero voluti 100 miliardi». Gianni Brera lo attaccava alla sua straordinaria maniera letteraria. Lo chiamò subito "il fervido profeta". E poi ancora: "Sono atterrito dalla sua propensione per la zona". E in nazionale, nel ´91: "Nelle mani di un pasionario". «Prima della Steaua nell´89 a Barcellona presi il suo pezzo e dissi negli spogliatoi: il più famoso giornalista italiano dice che i romeni sono maestri del palleggio, bisogna attenderli e uccellarli in contropiede, che si fa? Si alzò Gullit: li attacchiamo dal primo secondo». Il trio olandese Gullit, Van Basten e Rijkaard scatenato: 4-0 con doppiette di Gullit e Van Basten. Partita leggendaria. Ma la più bella in assoluto fu il 5-0 in semifinale al Real. Ancelotti, Rijkaard, Gullit, Van Basten e Donadoni, un massacro in 60 minuti. Negato come calciatore, ma se vedi oggi, ti accorgi che non lo sono stati neanche Mourinho o Benitez. «Per Michelangelo le opere d´arte si fanno con la mente e non con le mani. Pelè, Di Stefano e Maradona mi hanno regalato un pallone con i loro autografi». Ha dovuto vincere tanto per farsi accettare. Certo un punto oscuro c´è: confessò di guardare perfino i segni astrologici dei giocatori. Trapattoni a 69 anni ha lasciato l´Italia ma continua, il calcio di Capello (62 come Sacchi), col quale si detesta, ha preso il sopravvento, tutti i suoi uomini sono diventati buoni o grandi allenatori: Ancelotti, Donadoni, Rijkaard, Van Basten. Lui no, ha smesso: dopo nazionale e qualche esperienza da manager fa il commentatore. Chiodo fisso l´etica: «Ho perso un mondiale ai rigori: mai lamentato, bravo il Brasile. Ma il secondo per me non è un asino». Venti anni fa si parlava di "sacchismo". Definizione? «Mai scendere a compromessi. Ma proprio mai». Quando ancora allenava, a tarda sera, mentre la squadra bighellonava in ritiro, Arrigo lo trovavi in palestra a sfinirsi di flessioni. Perché? Uno così magro, in forma. «Scarico lo stress, altrimenti mi uccide» ripeteva. «Ero duro con gli altri ma anche con me stesso. Andai dallo psicologo. Per me lo stress era un valore, mi faceva fare qualunque cosa. Ma finita la spinta non lo sopportavo più, non ci riuscivo. A 50 anni avevo dato tutto». Fabrizio Bocca