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 2008  maggio 07 Mercoledì calendario

«Io, papà, Veltroni e D’Alema» I segreti di Colaninno junior. Libero 7 maggio 2008 Piccoli Veltroni crescono

«Io, papà, Veltroni e D’Alema» I segreti di Colaninno junior. Libero 7 maggio 2008 Piccoli Veltroni crescono. Considera il leader del Pd «una personalità straordinaria con capacità superiori», ma Massimo D’Alema, assicura, non è affatto da meno. Si professa da sempre di sinistra, ma strizza l’occhio al Cavaliere elogiandone le qualità politiche e imprenditoriali. Difende con orgoglio la sua discesa in campo, ma apprezza anche la scelta di Luca Cordero di Montezemolo di fare l’ambasciatore del made in Italy su proposta dell’avversario. Matteo Colaninno, 38 anni, uno degli uomini più ricchi d’Italia. stato: vicepresidente di Confindustria, leader dei Giovani industriali, vicepresidente della Banca popolare di Mantova e membro del Cda del Sole 24 Ore. Ma soprattutto è figlio primogenito del patron di Piaggio. Sarebbe pure uno dei rampolli più ambiti del Belpaese se non fosse già sposato, con un figlio in culla e un altro in arrivo. La domanda sorge spontanea: Che ci sta a fare uno come lei nel Pd? «Ho scelto di entrare nel Pd perché sono convinto che sia il partito dell’Italia del futuro». Adesso, però, deve fare i conti con la batosta storica incassata dal Pd. Sinceramente, non si è pentito? «Mai. Anche perché il 16 febbraio non mi aspettavo di entrare in un partito che all’epoca si potesse immaginare vincente». E infatti le avete buscate. «La possibilità di vincere, secondo me, era reale, perché il consenso c’era». Prego? «Sono convinto che i sondaggi che a pochi giorni dalle elezioni ci davano a 2-3-4 punti di distanza fossero veri. Quei dati stavano a indicare un consenso inerziale che il Pd ha». E come mai quel consenso non si è tradotto in voti? Dove ha sbagliato Veltroni? «Secondo me non ha sbagliato proprio niente». Allora perché avete subìto una sconfitta peggiore del previsto? «Non penso che abbiamo perso peggio». Nove punti di distacco. Veltroni diceva che eravate testa a testa. «Noi siamo partiti da un consenso bassissimo che in sole tre settimane di campagna elettorale è stato ampiamente recuperato. Quando la Dc superava il 30% si riuniva l’intero stato maggiore per festeggiare. Noi abbiamo raccolto oltre un terzo del consenso degli italiani. E c’è il potenziale per andare oltre». Onorevole Colaninno, sa ora cosa l’aspetta? «No, cosa?». Giorni e giorni di lavoro anonimo e monotono in aula e in commissione a premere un bottone. «Fino ad oggi non ho sentito l’anonimato. Anzi, ho visto attorno a me un interesse sorprendete». Sfido, lei è la new entry vip del centrosinistra. «Ho riscontrato molta simpatia per la mia scelta, non solo da parte degli amici, ma anche da quelle persone che si potrebbero pensare più lontane». Vedrà: ore e ore di aula, votazioni, sedute notturne. «Ho fatto una scelta per convinzione e non mi preoccupa». Non è che tra un po’ si scoccia e non si fa più vedere in Parlamento? «Io penso di no, sono certo che il mio impegno lo porterò fino in fondo. E raccoglierò dei risultati». Ne riparliamo tra qualche mese. Succede a molti parlamentari anche meno famosi di lei che finiscano col preferire il collegio, dove si sentono più riveriti che a Montecitorio. «Ho avuto l’opportunità di far parte di grandi gruppi imprenditoriali italiani e internazionali, ma anche di essere vicepresidente di Confindustria e presidente dei Giovani industriali. Ho sempre cercato sfide più importanti. Penso che il Pd abbia richiesto la mia candidatura per investire su di me». Come gliel’ha chiesto Veltroni? «Al telefono. Poi ci siamo incontrati». Come l’ha convinta? «Mi ha colpito la persona e la totale trasparenza della sua prospettiva politica. Avendo poco tempo per decidere, sono andato dove mi portava il cuore». Certo che ha scelto proprio un momento sfigato per scendere in campo. «A me i momenti difficili piacciono. Io rendo molto meglio nelle difficoltà che nelle situazioni facili». Chi gliel’ha fatto fare? «Primo: la passione politica, che mi ha portato oltre i cancelli dell’impresa. Ho sentito che bisognava dire di sì a Veltroni, al Pd e all’Italia. Finora ho sempre fatto l’allenatore. Adesso che mi hanno chiamato in campo, ho capito che era giunto il mio turno di giocare». Quindi ha sempre votato a sinistra. «Quasi sempre, ma in qualche occasione ho dato il voto alla persona». A chi? «Questo riguarda il Matteo Colaninno privato». Non è che è sceso in campo per intraprendere una carriera che la svincolasse dalla figura di suo padre? «No. Anzi, sono consapevole di quando io debba a mio padre. Ma un percorso di questo tipo uno lo fa se lo sente dentro». Al di là degli indubbi vantaggi di chiamarsi Colaninno, questo non ha gravato sulla sua identità? «Io sono orgogliosamente figlio di un importante imprenditore italiano che si è fatto partendo da zero. Ma la mia esperienza di presidente dei giovani di Confindustria mi ha forgiato». Ma lì non siete tutti figli di papà? «Sì, ma quell’esperienza mi ha dato una luce personale forte e ora mi trovo a iniziare un’esperienza totalmente nuova. Spero di farmi conoscere e apprezzare per quello che sono». Allora lo ammette che si è buttato in politica per essere semplicemente se stesso. « da tantissimo che seguo la politica con grande passione e intensità. Spesso ascoltavo i lavori dell’aula parlamentare nei trasferimenti in auto». Non le è mai venuta la curiosità di nascere povero? «No. Però, siccome sono consapevole di essere nato privilegiato, mi hanno sempre attratto molto le persone che sono più sfortunate e deboli di me, verso le quali qualche volta, in forma anonima, ho cercato di impegnarmi personalmente. Oggi questo impegno è diventato una responsabilità». Ma lei da bambino cosa sognava di fare? «Ho avuto un’infanzia normale. Però ho vissuto le varie esperienze imprenditoriali di mio padre come se fossi operativamente al suo fianco». Lei si vedeva imprenditore già a quattro anni? «A casa non c’era un’ottica dirigista e dinastica, anche perché mio padre non nasce imprenditore. A un certo punto si è pensato persino che facessi il medico». Che rapporto aveva con lo studio? «Sono sempre stato promosso a giugno». Le materie in cui andava forte? «Matematica, chimica, fisica, biologia...». Capito, era un secchione. «No, l’aria del secchione non mi è mai appartenuta. Andavo discretamente in tutte le materie. Si studiava per arrivare a un buon livello e divertirsi». Come si divertiva? «Sci, tennis, la fotografia: un hobby che coltivo ancora con passione». Che musica ascoltava? «I Police erano in testa». Il suo primo amore? «Mia moglie Giovanna era la mia compagna di banco al liceo scientifico». Dopo quanti vi siete sposati? «Ci sentiamo sposati da una vita». A Mantova ricordano come un incubo il suo matrimonio. Raccontano che la città fosse blindata da un massiccio dispiegamento di carabinieri e polizia. «Ah sì? Io non me ne sono accorto. Ero in chiesa che mi sposavo. C’erano molti invitati sottoposti a misure di sicurezza, ma questo non è dipeso da me». Il parterre annoverava quasi tutto il parco imprenditori e politici d’Ita lia. «Confermo. C’erano anche grandi banchieri». Parterre molto bipatisan. «Vero: c’erano Carlo De Benedetti, Pier Ferdinando Casini, Maurizio Gasparri, Enrico Letta, Pierluigi Bersani...». Berlusconi non l’ha invitato? «Sì, ma non è potuto venire. Però è stato molto gentile in quell’occasione». Le ha fatto un bel regalo? «No comment». Faccia capire: ha invitato Berlusconi e Veltroni no? «Veltroni l’ho conosciuto dopo, quando sono diventato presidente dei Giovani di Confindustria». Il giorno più bello della sua vita? «Quando è nato mio figlio, lo scorso 16 giugno». Il giorno più brutto? «Deve ancora arrivare». Non dev’essere stato un gran giorno quando le hanno rubato l’auto. «In effetti...». Chissà che auto era... «Solo una Chrysler, me l’hanno rubata in un albergo, come capita a tanti». Neanche il 15 aprile sarà stato un bel giorno per lei. «Nella vita bisogna saper perdere. Mi vede depresso?». No, ma non vorrà farci credere che si aspettava una batosta simile quando si è candidato. «Negli ultimi giorni no. Ma oggi noi siamo il primo partito italiano». Veramente è il PdL. «Fin quando non ci sarà la fusione, è il Pd il primo». Veltroni può continuare ad essere il leader del Pd? «Sì». I dalemiani non sembrano pensarla come lei. «Durante lo spoglio ero nella stanza di Veltroni, e, con me, c’erano tutte le grandi personalità del Pd. La mia sensazione era ovviamente di delusione per il risultato, ma posso assicurare che chi era in quella stanza si sentiva molto vicino al segretario». Eppure si respira un clima da resa dai conti nel Pd. «Considerato il risultato elettorale, qualche frizione ci può stare. Quando si perde, qualche parola di troppo può scappare. Ma lo sento come un partito forte». Vuole far credere che nessuno nel Pd metta in discussione la leadership di Veltroni? «Walter ha avuto molti meriti straordinari. Primo tra tutti quello di scegliere di correre da soli e di portare il Pd a un grande recupero». Entrerà nel governo ombra del Pd? «Non decido io». Emma Bonino ha rifiutato. «Ah sì? Non lo sapevo». Se glielo offrissero, lei accetterebbe? «Certo che sì. Ne sarei onorato». Per quale "ministero" si sentirebbe tagliato? «Economico o produttivo». Non si sentirebbe in conflitto d’interessi? «No, penso invece di poter portare un contributo di competenza ed esperienza». Lei si è dimesso dai suoi incarichi? «Subito. Prima di accettare la candidatura, ho rinunciato all’incarico di presidente dei Giovani di Confindustria e di vicepresidente di Confindustria, mi sono dimesso dal cda del Sole 24 ore e da vicepresidente della Banca popolare di Mantova». E le sue aziende? «Sono rimasto vicepresidente di Piaggio senza aver alcuna delega esecutiva, quindi è una carica di rappresentanza». Da quanto ha detto sul governo ombra si deduce che sono il Tesoro o le Attività produttive i ministeri che le sarebbe toccati in sorte se aveste vinto le elezioni. «Veltroni mi aveva mandato un messaggio in questo senso». Però, quando ha cominciato a sciogliere la riserva sui futuri ministri, ha nominato la Artoni e non lei. C’è rimasto male? «Veltroni non aveva nominato l’intera squadra di governo». Ma una figura come la Artoni, un’imprenditrice che per giunta era stata leader dei giovani industriali prima di lei, non escludeva Colaninno? «No, glielo posso assicurare». Che idea ha lei di Silvio Berlusconi? « uno dei più capaci imprenditori ed editori europei, uno dei pochi di successo nel campo televisivo. E ricordiamo che nel ’94, in tre mesi, è riuscito a diventare presidente del Consiglio. Sono convinto che il successo politico del centrodestra coincida con il successo personale di Berlusconi. Senza di lui, il PdL si scioglierebbe come neve al sole». Come hanno votato gli imprenditori secondo lei? «Diversi, anche in virtù della mia candidatura, hanno votato per noi. Molti altri no. Ma una parte consistente guarda con grande interesse al Pd». Nomi. «Non posso fare nomi, ma lo dico senza timore di smentite». Montezemolo ha accettato la proposta di Berlusconi di fare l’ambasciatore del made in Italy . Lui e il suo successore, Emma Marcegaglia, sono andati a Palazzo Grazioli subito dopo il passaggio delle consegne. La Confindustria sta con lui. «Lo start è buono, ma a ogni cambio di governo c’è sempre l’auspicio di lavorare bene insieme. Siamo solo all’inizio». Montezemolo ha fatto bene ad accettare l’incarico? «Penso di sì». In Confindustria si dice che lui, invece, non abbia molto gradito la sua discesa in campo. «A me non risulta proprio». Si è sentito chiamato in causa dall’appello lanciato da Berlusconi su Alitalia agli imprenditori italiani? «No, io ho scelto la politica». Quindi lei non si sente un "capitano coraggioso", come D’Alema definì suo padre e tutti gli imprenditori della "razza padana"? «No. Io sono rappresentante degli italiani che mi hanno eletto e di quelli che non mi hanno eletto. Oggi io ragiono in questo senso. Altrimenti sarei rimasto a fare l’imprenditore». Chi le piace di più: D’Alema o Veltroni? «Mi rifiuto di sottostare a questa logica. Sono entrambi personalità straordinarie e con capacità superiori. Hanno dato moltissimo all’Italia e al Pd». Troppo facile. Cosa prova per Veltroni? «Walter è il nostro leader, colui che mi ha scelto e per il quale sento riconoscenza». D’Alema, invece... « uno dei migliori politici europei, con un altissimo profilo internazionale e che io stimo molto». notoria l’amicizia tra suo padre e l’ex leader Ds. Tanti sostengono che lui abbia favorito la vostra azienda. «Si dicono tante balle, è penoso rincorrerle». Oltre alla politica, qual è la sua passione? «La mia famiglia, mia moglie, mio figlio e il figlio che arriverà». in arrivo un altro bimbo? «Sì, ne arriva un altro». Quando? «A luglio, sarà un maschio». Auguri. Vero che odia il mare? « un posto difficile da sopportare per me, mi trovo molto meglio in montagna, ho una casa a Ortisei». Il clan vipparolo di Cortina dice che lei sia un tipo schivo e riservato. In effetti, non si vede una foto della sua famiglia sui giornali. «La mia vita privata è mia. Ma penso che un politico debba avere coincidenza di comportamenti nel pubblico e nel privato, e su questo non prendo lezioni da nessuno. Forse potrei darne io». Sempre i maligni di Mantova dicono che lei sia un tipo abitudinario. Sceglie i soliti ristoranti: il Pescatore a Canneto e l’Ambasciata di Quistello. «Il Pescatore è il primo ristorante italiano, l’Amba sciata credo sia il terzo. Se uno frequenta posti così non è un abitudinario, è un raffinato». E da Meo Patacca a Trastevere, mai? «Come no. Vado spesso nelle trattorie». Chi sono i suoi amici politici? « I don’t know , vedremo». Dicono anche che lei non ami gli eccessi. «Questo sì». Qual è la cosa più eccessiva che ha fatto in vita sua? «Le imitazioni. Sono molto bravo. Tra qualche giorno comincerò a imitare anche i politici». Per esempio? «Non lo dirò mai neanche sotto tortura. Se qualcuno mi lancerà una provocazione, risponderò con un’imitazione shock». BARBARA ROMANO