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 2008  maggio 06 Martedì calendario

Muti nuovo direttore a Chicago: porterò la musica ai giovani Usa Corriere della Sera 6 maggio 2008 MILANO – «Si vede che un matrimonio chiama l’altro

Muti nuovo direttore a Chicago: porterò la musica ai giovani Usa Corriere della Sera 6 maggio 2008 MILANO – «Si vede che un matrimonio chiama l’altro...» Da Salisburgo, dove con la sua Orchestra Cherubini sta provando Il matrimonio inaspettato di Paisiello con cui aprirà venerdì il Festival di Pentecoste, Riccardo Muti commenta scherzoso la notizia bomba, la sua nomina alla Chicago Symphony Orchestra. Nozze musicali, o almeno una lieta unione di fatto, tra il maestro napoletano e una delle più prestigiose formazioni mondiali che vanta tra i suoi leader del passato nomi quali Frederick Stock, Fritz Reiner, Georg Solti, Daniel Barenboim. Dopo il congedo nel 2006 di quest’ultimo, passato in carica proprio in quella Scala da cui Muti se n’era andato in modo burrascoso nel 2005, la CSO cercava un nuovo direttore. E alla fine, decimo della sua storia, è proprio lui, Riccardo Muti. Inizio della collaborazione settembre 2010, contratto quinquennale. «L’intesa è nata durante la tournée europea dello scorso autunno - racconta Muti -. Tra noi si era stabilità un’atmosfera molto intensa. Mi hanno fatto capire che sarebbero stati felici di avermi alla loro guida». Un auspicio? «Vorrei che quest’ultimo incarico potesse arricchire molte persone confida - . La mia intenzione è di portare la musica anche alle fasce più lontane. L’America è un paese multiculturale e multietnico, vorrei uscire dai teatri, raggiungere nuovi pubblici». Nuove partenze prossime venture. Ma prima un ritorno nella «casa» adottiva, in quella Firenze che giusto 40 anni fa lo accolse, giovane direttore al Maggio Musicale. Un anniversario che il 17 maggio lo riporterà su quello stesso podio con l’Ouverture La consacrazione della casa di Beethoven, la Sinfonia in fa maggiore di Haydn e la Missa solemnis di Cherubini. «Sono molto legato a Firenze - ricorda Muti - . Per me che avevo 27 anni e per sopravvivere insegnavo pianoforte al Conservatorio, l’invito di Remigio Paone, allora sovrintendente al Maggio, di dirigere un concerto con il grande Richter mi parve un sogno. L’incontro con l’Orchestra del Maggio fu subito ottimo, il concerto ebbe gran successo e fui invitato di nuovo. Nel frattempo l’Orchestra, che stava cercando un suo direttore stabile, decise di scommettere su di me. Un giovane. Ma era il ’68, e si facevano di queste belle pazzie». Naturalmente lui accettò con grande entusiasmo. «Quell’incarico per me voleva dire molto non solo dal punto di vista professionale. Lo stipendio fisso del Maggio mi permise di sposarmi con Cristina. Trovai casa vicino al teatro, ma con le spese si doveva andar cauti. Non avevamo neanche il frigorifero, ma prima di tutto volevo un pianoforte. Acquistai un piano a un quarto di coda, lo pagai a rate in due anni. E’ stato il mio compagno di vita, l’ho ancora con me. Viviamo e suoniamo insieme da 40 anni». Un altro matrimonio. « stato un periodo bellissimo, tutto accadeva con grande passione e grande energia. In teatro si viveva un senso di rinascita. La prima opera che diressi fu Masnadieri con la regia di Piscator, poi vennero i Puritani, Cavalleria, Pagliacci. E il Guglielmo Tell, versione integrale. Si attaccava alle otto di sera e si finiva alle due di notte. E poi a far festa con il pubblico che gridava Viva Rossini! Viva l’Italia! Per me Firenze, il suo teatro, sono stati una famiglia. L’Orchestra del Maggio la considero ancora oggi la "mia" Orchestra». Tempi d’oro. «Si lavorava al meglio. Con registi come Enriquez, Vitez. Con scenografi come Cagli e Manzù. E poi quel geniaccio di Ronconi. Un suo Nabucco con il protagonista che a un certo punto si levava le vesti e appariva Vittorio Emanuele, scatenava applausi e grida furiose: "Ronconi in Arno!". Una città vivace e coltissima. Per me che amo Dante e colleziono rare edizioni della Divina Commedia, il più meraviglioso degli inizi. L’abbiamo così amata questa città, che con mia moglie abbiamo deciso di far nascere lì tutti e tre i nostri figli. Li volevamo fiorentini». Giuseppina Manin