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 2008  maggio 06 Martedì calendario

Il popolo degli scomparsi. La Repubblica 6 maggio 2008 Accadde dodici anni fa. La ragazza, 18 anni o giù di lì, era di una straordinaria bellezza

Il popolo degli scomparsi. La Repubblica 6 maggio 2008 Accadde dodici anni fa. La ragazza, 18 anni o giù di lì, era di una straordinaria bellezza. Che non era riuscita a sfigurare nemmeno il volo fatale dal piano alto di un palazzo del centro di Milano. La polizia mortuaria l´aveva trasportata al Laboratorio di anatomopatologia forense della dottoressa Cristina Cattaneo per scoprire che da quel corpo senza vita tutto si poteva cavare tranne che indizi utili a svelarne il nome. Peggio, che nessuno reclamava quel giovane corpo. La ragazza rimase in una cella frigorifera per otto mesi. Fino a quando una studentessa di patologia forense non ne riconobbe il profilo in una foto mostrata a "Chi l´ha visto". La ragazza era di Roma. Aveva una famiglia da cui si era allontanata pochi giorni prima di togliersi la vita. Quel giorno, la dottoressa Cristina Cattaneo prese una decisione da cui non sarebbe più tornata indietro. Il suo laboratorio ("Labanof"), unico in Italia, avrebbe cominciato a mettere in rete (www.labanof.unimi.it) i volti dei cadaveri senza nome. Le foto dei loro profili tumefatti, contorti nel dolore e nello stupore dell´istante esatto dell´abbandono della vita. «Fu una scelta difficile - dice oggi la Cattaneo - Ma necessaria. Dettata dalla disperazione di chi, come me, proprio perché vive accanto ai morti, ha imparato a conoscere fino in fondo il dolore dei vivi che non sanno e che cercano». Accadde a Milano. Accadde ancora a Vinci, un paesino in provincia di Firenze. Era l´aprile del 2001 e Bachisio Inzaina, classe 1922, lasciò la sua casa senza un biglietto, senza un saluto. Tre mesi dopo, sull´arenile della tenuta presidenziale di san Rossore, a pochi chilometri in linea d´aria da Vinci, militari della guardia di finanza raccolsero il cadavere gonfio e saponificato di un vecchio. Per sette anni, nessuno, a cominciare dalle figlie che lo avevano cercato ovunque, avrebbe saputo che quell´uomo era il signor Inzaina. Nessuno avrebbe incrociato i dati di una denuncia di scomparsa con il verbale di "giacenza" di una camera mortuaria di provincia, in cui la presenza sul cadavere di una cicatrice da intervento neurochirurgico pure offriva la chiave del mistero. Dice oggi il prefetto Rino Monaco, dal luglio 2007 commissario straordinario del governo per le persone scomparse: «La soluzione di quel caso è stato motivo di orgoglio per la passione che ho scoperto in chi, donne e uomini, professionisti e volontari, tra mille difficoltà, dedica la sua vita alla ricerca degli scomparsi». La "disperazione" e la "passione". il perimetro che forse oggi definisce meglio, prima che uno stato d´animo, la sostanza di un numero. Le 23.545 persone (italiani, stranieri, maggiorenni e minorenni) che risultano scomparse al 31 gennaio di quest´anno. Un esercito di fantasmi che si irrobustisce al ritmo di 8000 donne e uomini l´anno. Più o meno, uno l´ora. Tutti li cercano. Ma nessuno li cerca davvero. O, meglio, nessuno li cerca come li si potrebbe cercare. Soprattutto se si scompare "normalmente". Senza che l´improvviso vuoto di chi non c´è più lasci immaginare la trama nera di un delitto, di un sequestro. Di una violenza tra le mura domestiche. Senza dunque un solo vagito della comunità cui si appartiene o un sussulto delle cronache. Elisa Pozza Tasca, ex deputata della Margherita, presiede da cinque anni l´associazione "Penelope", una onlus con sede a Roma. Una delle poche porte, forse la sola insieme alla redazione di "Chi l´ha visto?", cui bussare per chi cerca uno scomparso. Due volontari. Lei e un tesoriere. Due telefoni cellulari. Il suo e quello del marito. una signora veneta, gentile e di temperamento. Che un giorno - racconta - comprese, lavorando con successo al caso di Milena Bianchi, cittadina del suo collegio elettorale, che, di lì in avanti, agli scomparsi avrebbe dedicato tutte le energie della sua vita pubblica. Fino a convincere il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e il ministro dell´Interno, Giuliano Amato, che uno Stato moderno ha tra i suoi doveri anche la cura di vite improvvisamente messe tra parentesi, che la nascita di un commissario di governo ad acta era un passo necessario. Dice la Tasca: «Ripeto spesso che se non fosse per gli speleologi di molti scomparsi continueremmo a non sapere nulla. Per troppo tempo è mancata anche soltanto un´attenzione al fenomeno. Un esempio su tutti. In Parlamento, giace ormai da due legislature un disegno di legge che prevede la creazione di una banca dati con il dna degli scomparsi, la formazione di personale specializzato, un fondo di sostegno alle famiglie, il riconoscimento di poteri di coordinamento tra il commissario di governo e le province, i comuni, le prefetture, le questure, le Asl, gli obitori. Bene, non si riesce a disincagliare questo disegno di legge dal suo limbo parlamentare». Scomparso. O, quantomeno, "clandestino". Come del resto viene da dire se ci si mette anche soltanto a cercare il Commissario di governo. Gli uffici sono in via Santa Maria Maggiore, a Roma, nel quartiere Esquilino. Un portoncino in legno scrostato, in un condominio fatiscente. Una targa. Un citofono tra gli altri, con la scritta sbiadita "ministero dell´Interno". Si percorre un ingresso buio, si attraversa un lucernaio e si sbuca in tre stanze a piano terra, arredate di fresco. Il prefetto Rino Monaco lavora con cinque collaboratori, quattro computer, una batteria di telefoni, un normalissimo software Excel, un collegamento al centro elaborazione dati del Viminale, l´archivio informatico che, dal 1974, raccoglie i nomi di vittime e autori di reato. Di scomparsi volontari o asseritamente non consenzienti. Una Babele dai miliardi di indizi che non distingue. Il prefetto Monaco è un combattente e si è arrangiato con quel che ha. Il lavoro dei suoi uffici grava su un capitolo di bilancio del ministero dove si è riusciti a grattare qualche euro per bollette, stipendi, spese di missione e che fa capo al "Dipartimento per le politiche del personale dell´Amministrazione civile e per le risorse finanziarie e strumentali". Seduto dietro la sua scrivania, Monaco compulsa numeri, incrocia dati, scorre griglie che, lla fine, illuminano il guado in cui arranca la ricerca. Perché scomparire è anche un diritto. E di fronte al diritto a far perdere traccia e memoria di sé, molto si complica. «Lo scomparso - dice il prefetto - entra in una delle quattro grandi famiglie in cui sono divisi gli ignoti. "Allontanamento volontario"; "disturbo della psiche"; "vittima o autore di reato"; "allontanamento per cause sconosciute". Di lì, in avanti, chi cerca deve avere molta fortuna e sperare di incontrare la persona giusta». Se poi lo scomparso è maggiorenne e non ha lasciato dietro di sé gli obblighi di un padre o di una madre, di un marito o di una moglie, ha diritto all´oblio. Se rintracciato, chi lo cerca avrà solo diritto a sapere che è vivo. Solo se si diventa cronaca, si continua ad esistere anche da scomparsi. E, normalmente, si diventa cronaca, se si è bambini. Perché solo allora la soglia di tolleranza della comunità si ritiene lesa al punto da sollecitare la mobilitazione. Le statistiche lo documentano. Dal 1983, il Paese non è riuscito a venire a capo dei suoi minori svaniti nel nulla soltanto in tredici casi: Mirella Gregori (15 anni, Roma 7 maggio 1983); Emanuela Orlandi (15 anni, Roma 22 giugno 1983); Santina Renda (6 anni, Palermo 23 marzo 1990); Pasqualino Porfidia (8 anni, Marcianise 7 maggio 1990); Adriana Benedetta Roccia (2 anni e mezzo, Cetraro, 10 giugno 1990); Mariano Farina (12 anni) e Salvatore Colletta (12 anni, Casteldaccia, 31 marzo 1992); Simona Floridia (17 anni, Caltagirone, 16 settembre 1992); Angela Ponte (14 anni, Francoforte, provincia di Siracusa, 2 gennaio 1993); Domenico Nicitra (10 anni, Roma, 21 giugno 1993); Angela Celentano (3 anni, Monte Faito, 10 agosto 1996); Denise Pipitone (4 anni, Mazara del Vallo, 1 settembre 2004). «Per carità, anche a distanza di vent´anni, non si rinuncia a cercare nessuno», dice Monaco, anche chi, e sono sempre di più, il padre o la madre non li ha più e a 5 o 6 anni, ha deciso di fuggire da un orfanotrofio. «Certo - aggiunge - è necessario riuscire a farlo con metodo e risorse». La dottoressa Cattaneo ricorda ancora quando, più di dieci anni fa, l´allora ministro dell´interno, Enzo Bianco, le mostrò orgoglioso la sperimentazione di un nuovo software in grado di incrociare dati antropometrici, genetici e investigativi. «Pensai davvero che fossimo a una svolta. Poi, non se ne fece più nulla per mancanza di fondi». Si è tornati alla carta. Nelle questure, negli obitori, nelle procure della Repubblica, dove un fascicolo di decesso senza nome è fatto per scomparire negli scartafacci dell´ordinaria amministrazione penale. Dove un magistrato, se e quando ne avrà il tempo, deciderà ad un certo punto di mettere un frego su un foglio con cui si autorizza «all´inumazione dell´ignoto». Soltanto a Milano, ogni anno, un terzo dei cadaveri rimane senza identità. «Ne abbiamo una ottantina - dice la Cattaneo - in gran parte inumati, perché non ci sono più celle dove metterli. E, per altro, il nostro problema continua ad essere quello di incrociare i dati. una procedura delicata, che richiede protocolli rigidi e soprattutto condivisi». Non va meglio nel resto del Paese. Per quel che il commissario straordinario è riuscito sin qui ad accertare - le risposte sono ancora parziali - i cadaveri privi di un nome e di una storia sono 448, con punte nel Lazio (36), in Puglia (51) e, appunto, in Lombardia (112). Molise, Umbria e Valle D´Aosta non hanno sin qui fornito un solo dato, svelando come si possa scomparire, di fatto, anche per mano di una burocrazia mortuaria che divide le proprie competenze tra comuni, asl, ministero della ricerca scientifica. C´è infine un ultimo numero. 13 mila 898 (5.935 maggiorenni; 7.963 minori). Statisticamente significativo, socialmente neppure percepito. Sono gli stranieri scomparsi in Italia. Per il 90 per cento, extracomunitari. Loro, davvero, non li cerca nessuno. E questo sì è un luogo buio. Dove è impossibile distinguere ciò che appare da ciò che è vero. In cui fioriscono e si alimentano favole nere. Di indicibili tratte di piccoli rom destinati ad appetiti pedofili o al commercio di organi. «Ringraziando Iddio - dice il prefetto Monaco - non abbiamo un solo elemento che consenta di dire che questo sia accaduto o stia accadendo. Ma se vogliamo sapere quali storie nascondono davvero i numeri, dobbiamo anche decidere con che strumenti farlo. E sono quelli che ho indicato in questi mesi, a incominciare dalla banca dati e dall´introduzione di tecnologie già disponibili, come in altri paesi». La "passione" e la "disperazione" da sole non bastano. CARLO BONINI