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 2008  maggio 06 Martedì calendario

Medvedev il buonista della Russia. La Repubblica 6 maggio 2008 Dmitrij Medvedev si insedia dopodomani al Cremlino, e tra qualche giorno firmerà la nomina di Putin a primo ministro

Medvedev il buonista della Russia. La Repubblica 6 maggio 2008 Dmitrij Medvedev si insedia dopodomani al Cremlino, e tra qualche giorno firmerà la nomina di Putin a primo ministro. Ma in attesa di vedere quali saranno gli esordi della strana coppia destinata a guidare la Russia, c´è nella politica estera del regime una novità che va notata già adesso. L´uragano delle sortite anti-occidentali (moniti, misure militari, ultimatum) che aveva caratterizzato l´ultima parte della presidenza Putin, s´è improvvisamente placato. A partire dai primi di marzo in poi, chiuso il capitolo delle elezioni presidenziali, da Mosca sono venuti in direzione dell´America, dell´Europa e del Giappone un linguaggio più pacato e vari segni di flessibilità diplomatica. Capiamo quindi assai meglio, adesso, a cosa mirassero le sfuriate di Putin: la sospensione del trattato sulle forze convenzionali in Europa, il ritorno in volo dei bombardieri strategici, le intransigenze nella contesa con Washington sullo scudo spaziale in Polonia e Repubblica Cèca, l´aspra polemica sul Kosovo. Si trattava di mosse ad uso prevalentemente interno, destinate ad ottenere – nell´imminenza delle elezioni legislative e presidenziali – due risultati. Alzare la voce contro un supposto ritorno imperialista dell´America e contro la tenaglia delle basi Nato attorno alla Russia, è servito infatti ad evocare una minaccia esterna, un pericolo imminente. I russi erano perciò chiamati a dimostrare il proprio patriottismo, a stringersi attorno agli uomini del Cremlino, votando in massa il successore designato da Putin, il Delfino Medvedev. Allo stesso tempo, la continua frizione nei confronti dell´Occidente, il clima da Guerra fredda che s´era andato creando, dovevano servire a sventare interferenze esterne troppo rumorose, un coro di critiche da parte della stampa e dei governi occidentali, ad elezioni che sarebbero risultate - come il regime sapeva bene - clamorosamente irregolari. Raggiunti i due obiettivi, come s´è visto con l´alta affluenza elettorale e con le timide obiezioni occidentali sulla legittimità del voto russo, Putin sembra aver voltato pagina. Né alla Russia né al regime giova infatti inaugurare la presidenza Medvedev in un´atmosfera di forti tensioni. Anzi, è il momento di dialogare e cooperare. Mosca può farlo del resto in tutta tranquillità: il barile di petrolio a 115 dollari, il continuo, per certi versi patetico declino americano, le divisioni politiche tra gli europei, tutto concorre ad assicurarle oggi una posizione di forza. Le sfuriate non servono più. Ciò che conta di più, adesso, è cercare di far affluire gli investimenti occidentali in misura assai maggiore dei 20 miliardi di dollari dell´anno scorso, che per un paese grande come la Russia sono ancora esigui. Beninteso, i punti di collisione con gli Stati Uniti restano. Dal Kosovo all´ingresso di Ucraina e Georgia nella Nato, dall´installazione d´uno scudo spaziale sui confini russi alle rivalità in Asia centrale. Ma è anche vero che la presidenza Medvedev s´apre in un clima che appare, almeno al momento, rasserenato. A questo cambio d´atmosfera contribuisce l´immagine aperta e cordiale del nuovo presidente: un´immagine in parte costruita dai propagandisti del Cremlino, certo, ma comunque lontana dagli atteggiamenti grintosi di Putin. Osserviamola, l´immagine di Medvedev che proviene da Mosca. Un giurista che proviene da una famiglia d´intellettuali, qualcosa che dopo Lenin, anche lui d´origini borghesi, al vertice russo non s´era mai vista. Un tecnocrate che s´è fatto le ossa alla presidenza di Gazprom, ai forum di Davos, nelle colazioni di lavoro con i dirigenti delle grandi compagnie petrolifere, e inoltre l´unico tra i più potenti personaggi del regime a non provenire dai servizi segreti. Ma c´è anche altro. A comporre l´immagine rassicurante del Delfino hanno infatti contribuito i suoi discorsi in pubblico degli ultimi mesi. L´elogio della libertà e del libero mercato, la necessità di rendere il sistema giudiziario indipendente dal potere esecutivo, la lotta alla corruzione. Insomma, Medvedev ha parlato un linguaggio più vicino a quello di Grigorij Yavlinskij, il capo del partito liberale Yabloko (partito ormai scomparso dalla Duma), che non al linguaggio di Russia Unita, il partito quasi unico presieduto da Putin. E´ vero che se anche il nuovo presidente intendesse davvero mantenere quel che ha promesso, la natura del regime non glielo consentirebbe. Basta pensare all´indipendenza dei tribunali, che in un sistema autoritario è praticamente impossibile. Così, stabilito che non avrebbe senso aspettarsi brusche inversioni di marcia rispetto alle due presidenze Putin, va anche detto che alcune novità significative non possono essere escluse. E´ probabile per esempio che vedremo diminuire il peso dei monopoli di Stato nella gestione dell´economia (con conseguente rafforzamento del settore privato), e che verrà messo un limite alla scandalosa commistione tra incarichi nell´esecutivo e presidenze delle grandi industrie: quell´intreccio chiamato Kremlin Inc. che ha favolosamente arricchito negli ultimi anni gli uomini di Putin, e attraverso di essi lo stesso Putin. In ambito economico non ci saranno contrasti tra il nuovo presidente e il nuovo primo ministro. Putin sa bene che le viti del sistema erano state strette anche troppo, e che adesso è il momento d´allentarle, cioè di liberalizzare, sia pure con la necessaria prudenza. E a proposito di prudenza, va ricordato che nell´ultimo mese sono state approvate due leggi che allargano i poteri del primo ministro. Ma resta che l´ascesa di Medvedev al Cremlino l´ha voluta e preparata Putin, ciò che a breve termine rende improbabile una frattura tra i due. Se una crepa s´aprirà nel regime, essa riguarderà piuttosto gli uomini dei tre massimi apparati del potere russo: l´amministrazione presidenziale, gli organi di governo e i servizi di sicurezza. Negli anni di Putin essi avevano avuto un solo capo, il presidente, e ciò nonostante s´erano scontrati più volte per difendere - a volte con i metodi del clan, con i fucili puntati - i propri interessi. Adesso ne avranno due, il presidente e il primo ministro, ciò che aumenta la possibilità d´una lotta di potere tra i gruppi che hanno attualmente in mano la conduzione politica e l´economia russe. Se il patto societario tra Putin e Medvedev durerà, i due dovrebbero poter tenere sotto controllo la concorrenza tra i clan. Se invece le loro posizioni dovessero divaricarsi, a Mosca ci sarà battaglia. Le cose certe sono due. La prima è che nessuno può dire oggi (forse neppure Putin e Medvedev) come e sino a quando funzionerà il tandem moscovita. La seconda è che se l´aquila a due teste è il simbolo della Russia, la storia insegna che al vertice russo le diarchie sono state brevi e sono finite male. SANDRO VIOLA