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 2008  maggio 07 Mercoledì calendario

Eppure io ho vinto. Vanity Fair 7 maggio 2008 Roma, mercoledì 23 aprile. Il tassista a cui ho chiesto di portarmi nel Loft, la sede del Pd, a metà corsa mi dice: «Se per caso vedesse Uòlter (lo pronuncia proprio così), gli dica che un uomo che per tutta la vita ha votato a sinistra, dai tempi del Pci, domenica voterà Alemanno

Eppure io ho vinto. Vanity Fair 7 maggio 2008 Roma, mercoledì 23 aprile. Il tassista a cui ho chiesto di portarmi nel Loft, la sede del Pd, a metà corsa mi dice: «Se per caso vedesse Uòlter (lo pronuncia proprio così), gli dica che un uomo che per tutta la vita ha votato a sinistra, dai tempi del Pci, domenica voterà Alemanno. E che la colpa è sua, perché ha dato duemila nuove licenze di taxi in un periodo di recessione». «Se lo vedo glielo dico», rispondo. «Davvero? Sa, io non so se poi ce la faccio davvero a votare Alemanno. Anzi, pensandoci bene, credo proprio che non ce la farò». Entro nell’ufficio del futuro capo dell’opposizione mentre esce Di Pietro, il suo alleato. Veltroni è immerso in un pulviscolo dorato - la luce filtra dalle finestre alte -, la stanza arredata come un hotel di design del Nord Europa, e il suo sorriso accogliente come le grandi poltrone in cui mi fa accomodare. Il tassista che mi ha portato qui mi ha affidato un messaggio per lei. R «Ho già capito: è per via delle licenze. Roma è una città dove il turismo cresce ogni anno del 10 per cento, che ha più di 2 milioni di abitanti, e che da molti anni non concedeva più licenze. Secondo lei è normale che una persona aspetti 20 minuti un taxi? Dobbiamo occuparci dei cittadini, non solo dei tassisti». Mi ha detto di dirle che sta pensando seriamente di votare Alemanno. «Spero non lo faccia: una città chiusa in se stessa e provinciale come la vuole la destra non aiuta né i turisti né la sua categoria. Con la nostra decisione duemila giovani tassisti hanno avuto le licenze. Quando si prendono decisioni importanti per il Paese non si possono accontentare tutti». Roma, 28 aprile. Ci risentiamo dopo la sconfitta di Rutelli. E dire che i pronostici vi davano vincenti al primo turno. « una sconfitta pesante che mi amareggia anche personalmente, visto il mio rapporto con la città. Ha giocato un ruolo importante il vento politico che ha investito il Paese, specie sul tema della sicurezza. E poi c’è da riflettere sui dati divergenti tra Politiche, Provinciali e Comunali: nel ballottaggio per l’elezione del sindaco ha pesato l’astensionismo di chi due settimane fa aveva votato a sinistra».  stata la sconfitta del «modello veltroniano»? «No. Il voto non cancella la straordinaria strada compiuta dalla capitale in questi 15 anni con Francesco (Rutelli, ndr) e con me. La sua crescita economica e sociale è stata ben superiore a quella del Paese. Ripeto, è una sconfitta che non voglio certamente sottovalutare e proprio per questo dovremo analizzarla senza semplificazioni, evitando il gioco della ricerca di colpevoli». Come vede Roma sotto Alemanno? «Posso solo dire che in questi anni il centrodestra ha saputo dire soltanto di no. Fosse stato per loro, oggi Roma sarebbe ancora la città provinciale del ”93, non avrebbe l’Auditorium o la nuova Ara Pacis. Si sono opposti a tutto, anche alle metropolitane. Sapranno cambiare questo atteggiamento? O interpreteranno la loro vittoria come una rivincita contro la nuova città?». Ma quando Alemanno era all’opposizione in Comune e lei sindaco, il dialogo c’era. «Perché io cerco sempre di essere disponibile. Ma i migliori rapporti, nel centrodestra, li ho con Gianni Letta, non fosse altro che per ragioni di cortesia istituzionale e rispetto del prossimo. Sinceramente in Alemanno non vedo queste qualità politiche». Parliamo delle elezioni politiche, allora. Ha trovato una spiegazione per la vostra sconfitta? «Non penso che il Partito democratico sia stato sconfitto». Avete perso le elezioni. «Sì, ma le sfide erano due. La prima, per il governo del Paese, era molto difficile da vincere: i sondaggi e le elezioni amministrative del 2007 ci davano a 22 punti di distacco. Noi poi abbiamo fatto una scelta coraggiosa, nuova, quella di correre da soli. L’altra sfida invece è riuscita. Ed era quella di insediare in Parlamento un grande partito riformista che ha preso il 34% dei consensi, un po’ di più di quello che ha il partito socialista francese, e quanto ha il partito laburista inglese. Ci siamo avvicinati al Pdl, che in questa tornata elettorale ha perso un milione di voti mentre noi ne abbiamo guadagnati seicentomila. Recuperare una dozzina di punti percentuali in campagna elettorale a me sembra un risultato gigantesco». Fatto sta che non governate. «Tutti davano per certa la vittoria della destra». Chi vi ha votato, forse, no. Le rimproverano di non aver lottato per la vittoria, ma solo per ridurre il distacco. «Sono stato sincero. Poi, certo, vedendo le piazze piene, emotivamente ci ho sperato anch’io nella vittoria. Ma razionalmente mi rendevo conto che 22 punti erano un’enormità. Oggi mi rende tranquillo la consapevolezza che se avessi fatto la scelta opposta, ovvero di correre con la vecchia coalizione, ci saremo schiantati anche noi». Bella consolazione: la débâcle dei vostri ex alleati. «Per loro mi è dispiaciuto. Sono persone ed esperienze che sarebbe stato bene fossero rappresentate in Parlamento. Dobbiamo far sì che quel pensiero politico non venga rimosso e in qualche misura cercheremo di interpretarlo, pur essendo noi una forza riformista. Penso che però il loro conservatorismo ideologico abbia pesato enormemente su questo risultato». Si è aperta una crisi a sinistra. «La crisi del centrosinistra c’è in tutta Europa. Ormai solo sette Paesi europei hanno i socialisti al governo, e a volte in coabitazione. Alcuni Paesi del Nord europeo, tradizionalmente socialdemocratici, si sono spostati a destra. Ha contato molto la sensazione di insicurezza sociale che non è solo il problema della ”sicurezza” ma anche quello della convivenza con l’altro, con l’immigrato. Persino l’Olanda, un Paese da sempre molto accogliente, ha scelto politiche più chiuse». «Sicurezza» e federalismo fiscale hanno fatto stravincere la Lega al Nord. Col voto operaio, per di più. «Anche noi abbiamo vinto al Nord: bisogna leggere bene i dati. Il Pd in certe regioni è cresciuto di sei, sette, anche otto punti rispetto alle ultime elezioni. A Milano è arrivato al 33%, in molte città settentrionali siamo il primo partito. Il voto alla Lega, che poi è quello che ha permesso al centrodestra di avere questa maggioranza, è sintomo anche di un grande senso di solitudine, avvertito nelle fabbriche, che c’è e che dovremo risolvere ricostruendo i rapporti interrotti da anni con quel ceto sociale, non fermandoci ai cancelli. Ma quello del 13 aprile è stato un voto di protesta nei confronti dell’ultimo governo. Non si spiegherebbe altrimenti perché due anni fa Bossi ha preso la metà dei voti». La sicurezza però era anche una delle priorità del vostro programma. Perché non avete convinto gli elettori? «La gente, quando si sente insicura, cerca risposte a breve. Noi avevamo promesso certezza della pena e presenza dei poliziotti sul territorio, cioè soluzioni che richiedono tempo. Se uno dice ’vota per me che caccio tutti gli immigrati”, è un discorso più forte. Il punto è che non lo faranno». Non lo faranno? «Ma no, non possono. Siamo in Europa, ci sono norme internazionali da rispettare». Nessuna autocritica da parte vostra, quindi? «No. Non lo dico per presunzione, ma è stata la campagna elettorale migliore che potessimo fare. Siamo riusciti a introdurre forti discontinuità: siamo andati da soli, abbiamo cambiato programma, quindi la nostra posizione sulle tasse, sulla sicurezza, sulla Tav. Abbiamo fatto una rivoluzione dolce; è chiaro che in quattro mesi non è facile vederne i risultati». Se avesse avuto più tempo, avrebbe convinto gli italiani? «Credo di sì. Purtroppo partivamo da una situazione difficilissima: la rottura tra il centrosinistra e il Paese. Una rottura che si è consumata quando è stato fatto un governo di cento persone, quando si è votato l’indulto, la Finanziaria e potrei continuare. Poi c’è stata l’emergenza rifiuti a Napoli... Può immaginare che navigazione controcorrente sia stata». Parla delle cause di questa «rottura» come se il Pd non c’entrasse nulla, ma c’eravate anche voi al governo. E invece in campagna elettorale avete preso le distanze da Prodi. «La nostra è stata un’operazione sincera. Abbiamo fondato un nuovo centrosinistra: che senso avrebbe avuto fare una campagna di continuità con il vecchio centrosinistra? Se volevo continuità, mi presentavo con tutti gli altri. Nel mio nuovo centrosinistra c’è il riformismo: questo non può che determinare una grande differenza rispetto alla coalizione precedente. L’ho sempre detto: Prodi, uomo di Stato, ha fatto un grande lavoro, perché ha risanato i conti, ma la maggioranza che aveva non andava bene». Prodi non c’è rimasto male? Sicuro? «Sicuro. stato lui per primo a dire: si apre un’altra fase. La decisione politica è stata presa prima, quando sono stato eletto alle primarie con la chiara intenzione di perseguire un’altra strada. Anche in campagna elettorale Prodi ha detto: ”Veltroni ha fatto bene”. I nostri rapporti sono ottimi. Continuiamo a vederci e a concordare le scelte». Uno degli ultimi atti del suo governo è stato il prestito ad Alitalia. Perché? «Per evitare che Alitalia fallisse adesso. Il fatto che Berlusconi abbia sbattuto la porta in faccia ad Air France è costato agli italiani 300 milioni di euro». La Lega era contraria. Secondo lei c’è già baruffa nella maggioranza? «Sono tanti i segnali in questo senso, anche la vicenda Formigoni. Il successo della Lega sarà un grande problema per il Pdl al Nord, perché adesso Bossi e i suoi pretenderanno molto. Ma la vicenda Alitalia è paradossale: Berlusconi ha fatto fuggire Air France salvo poi tirare fuori l’ipotesi Aeroflot dopo un incontro in Sardegna con Putin. un modo di gestire dossier delicati che non condivido, tanto più che Berlusconi ha avuto quel dossier sul tavolo dal 2001 al 2006, e non l’ha mai risolto». A proposito: come vede l’amicizia tra Berlusconi e Putin? «Al Cavaliere piacciono i comunisti. Scherzi a parte, quel gesto della mitraglietta - rivolto a una giornalista di un Paese che ha conosciuto il dramma della Politkovskaya - non è diverso dalle corna durante un vertice. un modo di fare politica che non mi appartiene. E vuole sapere che cosa mi è dispiaciuto davvero in questa vittoria della destra?». Prego. «L’incapacità degli italiani di indignarsi. Mi spaventa che certi gesti, certe dichiarazioni, passino senza che ci sia una reazione. Berlusconi in campagna elettorale ha detto che un mafioso, Vittorio Mangano, è un eroe. E nessun editorialista liberale si è sognato di prendere una posizione severa su una dichiarazione del genere. Io, quando ho fatto campagna al Sud, ho chiesto esplicitamente alla mafia di non votarci. Al Sud il Pd non è andato bene: lei prima mi chiedeva del Nord, ma è il voto del Sud che mi preoccupa». Lei prima citava l’episodio della mitraglietta, un gesto fatto a una giornalista che chiedeva a Putin della presunta giovane fidanzata. Pensa che un politico debba rispondere anche della sua vita privata? «Penso che i politici debbano essere giudicati sulla base di quello che fanno. A me sapere se John Kennedy avesse tante donne o poche interessa meno rispetto a sapere se storicamente ha fatto qualcosa di bello e di brutto». Veronica Berlusconi, intervistata dalla Stampa, ha detto che, con le vicende matrimoniali di Sarkozy e Putin, la politica ha rotto gli schemi della famiglia tradizionale. d’accordo? «Non so se sia così. So però che l’opinione pubblica li giudicherà non per le loro vicende personali, ma per quello che sapranno fare per i loro Paesi». Non crede sia giusto richiedere coerenza personale a un politico che fa battaglie su famiglia, Pacs e valori? «Secondo me ci vorrebbe, in generale, più sobrietà. Quando manca la sobrietà il rischio di cadere in contraddizione è alto». Che cosa pensa del ruolo di first lady? La signora Berlusconi ha scelto di non comparire mai al fianco del marito. «E fa bene. Non siamo in America dove la first lady ha compiti istituzionali, la sua segreteria, le sue attività di beneficenza da seguire. Io credo che in Italia la moglie del premier possa comportarsi come desidera e si sente». Fosse toccato a sua moglie Flavia? «Avrebbe sicuramente continuato a fare quello che fa nella vita». Le sue figlie come hanno preso il risultato delle elezioni? «Una era tornata apposta dall’America, dove sta studiando. Sono rimaste un po’ male, ma perché non si riconoscono in tante cose proposte dalla destra. C’è nei giovani una sensazione di perdita dei valori fondamentali». Lei, da padre, come ha cercato di offrire loro una prospettiva diversa? «Parlando molto in casa, facendo viaggi in luoghi in cui si potessero rendere conto della povertà e di un’altra realtà. Ma davanti a certe cose rimango anch’io senza parole». Per esempio? «Mi fa fisicamente male vedere la gente che vive i sentimenti in pubblico. L’altra sera – credo fosse il Grande Fratello – ho visto un ragazzo che faceva la proposta di matrimonio alla fidanzata in Tv». Sua moglie invece come ha commentato i risultati? «Frasi storiche non ce ne siamo dette. C’è stata grande solidarietà, e la consapevolezza di aver girato una pagina della storia politica. Se oggi ci saranno 5 gruppi parlamentari e non più 14, il merito è del nostro coraggio». Si dice che nel Pd non tutti abbiano gradito questa semplificazione. Veronica Berlusconi ha detto che lei è stato bravo, ma che teme possa essere vittima di un complotto. Che la vogliano sostituire. «Per fortuna non la pensiamo tutti allo stesso modo: mi preoccuperei del contrario. La verità è che tutti dentro il partito si sono mostrati molto solidali. Ringrazio la signora Berlusconi del complimento, ma può stare tranquilla: escludo ogni forma di complotto, che avrebbe come vittima non me ma il Partito democratico». Guardi Al Gore, però: in America chi perde, anche se ha lavorato bene, viene messo da parte. Passa a fare altro. «Sono elezioni presidenziali, è un altro discorso. Berlusconi ha perso due volte e non è mica sparito: io sono qui solo da quattro mesi. Sono bravo, ma miracoli dei pani e dei pesci non mi è dato farli. Quindi continuerò a fare politica all’opposizione». Governo ombra. Vale a dire? «Come in Inghilterra: a un ministro del governo corrisponderà un nostro ministro ”ombra” per fare un’opposizione programmatica, reale. un altro elemento di europeizzazione che ho cercato di introdurre, come il bipolarismo, e la scelta di alzare il telefono la sera delle elezioni e dar atto al mio avversario della vittoria. Tutte cose sconosciute prima in Italia». Vede possibile il dialogo col governo? «L’inizio non è incoraggiante. Berlusconi ha annunciato tutte nomine di maggioranza. Io, se avessi vinto, avrei proposto all’opposizione di guidare uno dei rami del Parlamento». Eppure lei con Berlusconi aveva iniziato a dialogare: parlavate di fare insieme la riforma elettorale... «Se al momento della crisi del governo Prodi avessimo fatto un esecutivo per le riforme istituzionali, l’Italia sarebbe uscita dai guai. Avremmo dimezzato il numero di parlamentari, attribuito a una sola Camera il potere di fare le leggi, attuato una riforma elettorale. Purtroppo Berlusconi non ha avuto senso della responsabilità: l’interesse del Paese per lui non è al primo posto». Gad Lerner, sullo scorso numero di Vanity Fair, le rimprovera di non aver mantenuto la promessa di portare in Parlamento il 35% di donne. «A parte il fatto che noi abbiamo raddoppiato il numero delle elette, i giornalisti come lui, che muovono queste obiezioni a chi fa politica, dovrebbero prima guardare a casa loro. Se osservo i giornali, mi riferisco ai principali quotidiani, non vedo nessuna donna direttore o vicedirettore. Lo stesso per i giovani. Ci accusano di non valorizzarli abbastanza, ma nei posti di responsabilità nelle redazioni non ne trovo. Credo ci sia da riflettere per tutti».  faticoso rimettersi a fare politica dopo una campagna così estenuante, e con la prospettiva di 5 anni in salita? «Ho girato 110 province in 40 giorni, dovrei essere clinicamente morto. Eppure mi sento in forma, e non ho fatto un giorno di vacanza». A casa la vedranno poco: sensi di colpa? «Cerco di compensare con la qualità, anche se so che dico una sciocchezza perché conta anche la quantità. Ma ci sentiamo molte volte al giorno, e cerchiamo sempre di fare cose insieme». Trova anche il tempo di scrivere romanzi. «La mia grande passione. Ho in mente un’idea per un nuovo libro, ma devo ancora svilupparla. Al romanzo sono arrivato con calma, però lavorare a La scoperta dell’alba è stata un’esperienza incredibile: creando personaggi, ho avuto la sensazione di produrre vita». Meglio delle sensazioni che le dà la politica? «Piuttosto mi aiuta a fare politica meglio. Perché, a differenza di molti miei colleghi, non penso che la politica sia tutta la mia vita. Ho altri interessi». Il cinema, per esempio. George Clooney è persino venuto a darle una mano in campagna elettorale. « stato lui stesso a propormi di incontrarci in pubblico, è stato molto carino. Un uomo intelligente, colto, con passione civile. E non se la tira per niente. Anche Tom Cruise è una persona che umanamente mi ha piacevolmente sorpreso». In che senso? «In visita al set romano di Mission: Impossible, gli avevo detto che la mia famiglia sarebbe andata in vacanza negli Stati Uniti. Quando mia moglie e le mie figlie arrivano a Chicago, Flavia mi chiama e mi dice che nella camera d’albergo ha trovato una scatola gigante di pop corn, cioccolatini, pizze e altri regali di Tom. Lui non sapeva neanche in che hotel fossero: le ha fatte cercare. Pura gentilezza e amicizia». Mi dica una cosa che l’ha resa felice e che non c’entra con la politica. «Essere stato citato in un libro del mio amico Ian McEwan (Sabato, ndr). Quando l’ho letto ho detto: basta, alla vita non ho più da chiedere nulla». Sara Faillaci