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 2008  aprile 04 Venerdì calendario

«Scorretta». «No, l’ha fatto solo per paura». Corriere della Sera 4 aprile 2008 Succede che in Inghilterra una bella e capace anchorwoman, Natasha Kaplinsky, cambia tv, passando da Bbc a Channel Five per un milione di sterline, fa lievitare gli ascolti, ma dopo sei settimane comunica di essere incinta, e scoppiano polemiche e dibattiti: è lecito che le donne, se aspettano un figlio, tengano nascosto il loro stato al nuovo datore di lavoro? Una domanda vecchia come il mondo che viene riattualizzata dal rimescolamento di carte che c’è stato sul mercato del lavoro, con il declino del posto fisso e l’emergere di nuove figure legate a rapporti più flessibili, frantumati, precari

«Scorretta». «No, l’ha fatto solo per paura». Corriere della Sera 4 aprile 2008 Succede che in Inghilterra una bella e capace anchorwoman, Natasha Kaplinsky, cambia tv, passando da Bbc a Channel Five per un milione di sterline, fa lievitare gli ascolti, ma dopo sei settimane comunica di essere incinta, e scoppiano polemiche e dibattiti: è lecito che le donne, se aspettano un figlio, tengano nascosto il loro stato al nuovo datore di lavoro? Una domanda vecchia come il mondo che viene riattualizzata dal rimescolamento di carte che c’è stato sul mercato del lavoro, con il declino del posto fisso e l’emergere di nuove figure legate a rapporti più flessibili, frantumati, precari. Nel caso di Natasha si trattava di precariato di lusso, è vero, ma essendo lei comunque freelance ci si chiede anche se, a maggior ragione, non avesse diritto a scegliere tempi e modi della sua comunicazione. Insomma è come se venissero a confliggere due diritti opposti e altrettanto forti: quello del lavoratore a difendere la sua privacy e le sue chance e quello del datore del lavoro di tutelare gli investimenti e le strategie d’azienda. Cosa ne pensano del tema sicuramente controverso, sollevato dal britannico Times, i protagonisti del mondo della comunicazione italico? Enrico Mentana dice che se una sua giornalista non gli dicesse di essere incinta ci potrebbe rimanere male, ma se ne farebbe una ragione e propone una via d’uscita pragmatico-realista: «Per fortuna non abbiamo i tempi di gestazione degli elefanti e se lei è flessibile e torna a lavorare abbastanza presto sarei comunque contento di avere con me una buona professionista ». evidente che a questi livelli è la professionalità che paga, un po’ come è successo alcuni anni fa a Lorenzo Pellicioli, oggi amministratore delegato di De Agostini, allora in una piccola società, la Mkt, dove assunse una brillante signora che qualche giorno dopo scoprì di essere incinta: quando glielo comunicò lui propose di aprire una bottiglia di champagne e di brindare. E lei lo ripagò con presenza assidua fino all’ultimo giorno, con apertura delle acque in ufficio: «Ho capito subito che era in assoluta buona fede, che al momento dell’assunzione non lo sapeva. Credo che invece se uno lo sa debba essere trasparente. Ma credo anche che maternity - e paternity - living siano sacrosanti diritti in una società moderna». Trasparenza anche per Daria Bignardi, freelance di lusso della tv italiana con contratto a La7 per le sue Invasioni barbariche: «Quanto più importante è il contratto e quanto più ci sono in gioco interessi economici, tanto più correttezza vuole che per gentlemen’s agreement lo si dica; ma non un giorno prima della scadenza del terzo mese. Prima ci sono troppi rischi per l’impianto dell’embrione, e alcuni ginecologi sconsigliano di dirlo persino ai familiari». Noblesse oblige, riserbo fino al terzo mese, raccomandato da sempre pure alle regine. Ma le professioniste della comunicazione sarebbero propense a chiudere un occhio, come Mentana, anche nel caso che una loro redattrice lo nascondesse più a lungo. «La capirei, so che se non l’ha detto è stato per paura. Le direi rilassati, è successo anche a me, quando 22 anni fa sono rimasta incinta di mia figlia non l’ho detto subito, avevo paura che gli altri pensassero che non ero più in grado di lavorare come prima» racconta la direttrice di A Maria Latella. Sono passati vent’anni, ma non è cambiato molto da allora su questo fronte. «Forse no, visto che qualche mese fa dall’America è arrivato un film in cui una telegiornalista in carriera rimane incinta per l’incontro di una notte, e ha il terrore di dirlo ai suoi superiori». Trattasi di Molto incinta, film del regista Judd Apatow, che ha messo molto di buonumore Giuliano Ferrara perché la protagonista alla fine, fra la carriera e il figlio, sceglie il secondo. La situazione cambia, e di molto, quando dal mondo rutilante e più disponibile dello spettacolo si passa a quello delle imprese. «Capisco la privacy, ma correttezza vuole che i contratti vadano rispettati» dice Anna Maria Artoni, brillante manager nell’azienda di famiglia. «Se il datore di lavoro investe in quella risorsa, si aspetta lealtà, per questo è importante non compromettere da subito il rapporto di fiducia». E tanto più importante, aggiunge Adolfo Guzzini amministratore delegato del gruppo che produce impianti di illuminazione, è per la competitività delle piccole imprese, «dove un lavoratore vale il 15 per cento del totale. I costi sociali non possono essere scaricati tutti sulle imprese». Ma Susanna Camusso, segretario generale Cgil Lombardia, scuote la testa e dice che finché si considererà la maternità come un disvalore sociale non si va lontano. «Il pregiudizio prevalentemente maschile è lì bello intatto: si teme che dopo la creatura la donna non avrà più la stessa capacità di lavoro. Mi verrebbe da dire: e allora aboliamo il lunedì, perché nelle aziende si parla solo di calcio. La verità è che si risolverebbe tutto con la paternità obbligatoria, e la conseguente redistribuzione di oneri e onori». Nell’attesa, che fare? Forse che ognuno - a cominciare dalle donne - difenda, con sobrietà, se stesso. Maria Luisa Agnese