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 2008  aprile 04 Venerdì calendario

La carestia del riso. La Repubblica 4 aprile 2008 I primi tumulti da penuria sono scoppiati nelle Filippine e in Indonesia, i focolai di protesta sono stati segnalati nelle metropoli sovrappopolate di Manila e Giacarta

La carestia del riso. La Repubblica 4 aprile 2008 I primi tumulti da penuria sono scoppiati nelle Filippine e in Indonesia, i focolai di protesta sono stati segnalati nelle metropoli sovrappopolate di Manila e Giacarta. Perfino in una città opulenta come Hong Kong il segretario al Commercio Ma Si-hang ha dovuto sguinzagliare i suoi ispettori nei supermercati, per combattere i fenomeni di accaparramento: da qualche settimana le casalinghe dell´isola cinese si precipitano a svuotare gli scaffali per farsi le scorte in casa come alla vigilia di un cataclisma. Dilaga la crisi del riso, da millenni un simbolo dell´Oriente, il cibo ancestrale per la sopravvivenza. In Asia 2,5 miliardi di persone dipendono ancora in modo soverchiante da questo alimento di base per la loro dieta quotidiana. Ma il prezzo del riso è impazzito. A gennaio sui mercati mondiali si scambiava a 380 dollari la tonnellata. La settimana scorsa è schizzato a 760 dollari. Ieri ha sfondato i 1.009 dollari a tonnellata. una febbre inflazionistica incontrollabile, che nessuno aveva visto arrivare. Ora le accuse puntano contro i soliti sospetti: gli hedge fund, la speculazione internazionale. In parte è vero, il riso è l´ennesima «commodity» agricola su cui si sono avventati grossi investitori in cerca di rapidi profitti. anche questa una «coda» perversa della crisi bancaria americana. Con il crollo di fiducia nel mercato del credito, la fuga dai titoli obbligazionari, la caduta del dollaro, le materie prime diventano il bene-rifugio per eccellenza su cui si riversano i capitali internazionali. Ma speculazione stavolta è saltata su un treno già in corsa. Esaspera un fenomeno reale, non è lei la vera causa di questa crisi. Il Dipartimento dell´Agricoltura degli Stati Uniti ha lanciato l´allarme: «Le riserve mondiali di riso sono cadute ai minimi storici da 25 anni». Nell´èra di Internet e dei telefonini queste notizie volano alla velocità della luce. Raggiungono le campagne più remote della Tailandia, primo produttore mondiale di riso. I contadini tailandesi hanno smesso di portare i raccolti al mercato, accumulano le scorte in attesa che le quotazioni salgano ancora, sempre più in alto. Chookiat Ophaswongse, presidente della Thai Rice Exporters Association, rivela che molti contratti di vendita già firmati non vengono più onorati: «I contadini ci negano il riso, lo tengono ben nascosto nelle campagne». Robert Zeigler, direttore generale dell´Istituto di ricerca sul riso nelle Filippine, avverte la possibilità di una catastrofe: «Tutto il mercato è sull´orlo della paralisi». L´incidente iniziale che è all´origine di questa spirale è una notizia di pochi mesi, un´epidemia di parassiti che ha decurtato i raccolti delle risaie nel Vietnam, terzo esportatore mondiale del prezioso alimento. E´ bastato l´allarme vietnamita per scatenare reazioni a catena, e rivelare una precarietà che ha cause più profonde. Il lungo boom delle economie asiatiche ha generato una pressione formidabile sui raccolti agricoli. Paesi come la Cina e l´India hanno visto raddoppiare i consumi di generi alimentari in meno di un ventennio. L´urbanizzazione ha moltiplicato dappertutto l´uso del riso, che si conserva facilmente nei magazzini, nei negozi e nelle case, è meno deperibile di molti cereali. Ma la produzione agricola non ha retto il passo con la crescita economica. La «rivoluzione verde» di trent´anni fa introdusse nuove tecniche di coltivazione, diffuse la meccanizzazione e i concimi chimici, salvò l´India e altri paesi asiatici dallo spettro delle antiche carestie. Dopo quel benefico balzo in avanti in molti paesi il progresso nell´agricoltura si è quasi fermato. La modernizzazione nei campi è passata in second´ordine rispetto agli investimenti in altri settori trainanti dell´industria e dei servizi. In tutta l´Asia dal 2000 a oggi il miglioramento della produttività agricola è stato impercettibile, appena l´1% all´anno, un´inezia rispetto alle spettacolari avanzate nella produzione manifatturiera. Intanto la superficie coltivabile continua a diminuire inesorabilmente, assediata dalla costruzione di nuove fabbriche, di nuove città, dall´inquinamento e dalla desertificazione. Già oggi la superficie agricola disponibile è ridotta: 650 metri quadri per abitante in India, 600 in Cina, contro 1.900 negli Stati Uniti. Per effetto del semplice aumento della popolazione - senza neppure contare l´ulteriore perdita di terreni arabili per l´urbanizzazione o l´industrializzazione - tra meno di vent´anni questa superficie agricola sarà scesa a 530 metri quadri pro capite in Cina e 520 in India. Kamal Nath, il ministro del Commercio indiano, ammette che «l´approvvigionamento alimentare è tornato a essere il nostro problema numero uno, le scorte a disposizione non sono mai state così basse». Sembra impossibile: le nuove superpotenze dell´economia mondiale sono tutte in Asia, accumulano attivi commerciali giganteschi invadendo il mondo dei loro prodotti, dal tessile-abbigliamento ai computer e telefonini. Ai colossi asiatici non mancano certo i mezzi finanziari per comprare alimenti sui mercati mondiali. Ma a una condizione: che ci sia qualcuno in grado di venderli. L´aspetto patologico della crisi del riso è proprio il prosciugarsi del commercio internazionale. Ha cominciato il Vietnam: ha imposto un taglio netto dell´11% alle sue esportazioni per dare la priorità all´approvvigionamento domestico. L´India a sua volta ha messo l´embargo alle vendite di riso all´estero, per tenersi in casa tutto quello che produce. Ora perfino il governo della Tailandia ha deciso di contingentare le sue esportazioni, per timore di «disordini sociali» se il prezzo del riso sul mercato interno sale troppo. E´ un circolo vizioso che allarga le dimensioni della crisi. Antoine Bouet, ricercatore all´International Food Policy Research Institute di Washington, ha denunciato gli effetti di queste politiche: «Ogni volta che un grosso produttore di riso come il Vietnam decide di tagliare le sue esportazioni, è uno choc che genera onde concentriche in tutto il resto del mondo». La logica che spinge i governi è implacabile. L´iperinflazione sul prezzo del riso migliora i redditi dei contadini ma taglieggia il potere d´acquisto delle immense popolazioni urbane. Ed è lì, nelle megalopoli asiatiche, che si rischiano proteste di massa e rivolte violente. Proprio perché il riso ha un valore simbolico così forte nella tradizione asiatica, dover ridurre gli acquisti per molte famiglie è il segnale di un regresso inaccettabile. Il formidabile decollo economico degli ultimi decenni ha sottratto alla miseria centinaia di milioni di persone; tuttavia in Asia vivono ancora 640 milioni di «poveri assoluti», con un reddito sotto la soglia minima di sussistenza. Grandi paesi come l´Indonesia, le Filippine e perfino l´Iran, pur non essendo più sottosviluppati, sono lontani dall´autosufficienza agricola e devono importare la maggior parte del fabbisogno di riso. La situazione è ancora più drammatica per le nazioni africane che si sono convertite al consumo di riso nei decenni in cui abbondava e costava poco, e oggi sono improvvisamente tagliate fuori dai rifornimenti. La presidente delle Filippine, Gloria Macapagal Arroyo, è stata la prima a trarre la lezione di questa crisi con misure drastiche. Ha imposto una moratoria nazionale a tutte le licenze edilizie, per arrestare la trasformazione di terre coltivabili in centri urbani. e campi da golf. Poi ha lanciato un appello alle popolari catene di fast-food: «Dimezzate tutte le porzioni di riso». Sembra un gesto da economia di guerra, e riporta in Asia i ricordi di un passato che sembrava lontano. FEDERICO RAMPINI