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 2008  aprile 04 Venerdì calendario

Al Qaeda boomerang dell’islam. Avvenire 4 aprile 2008 Le vie di Al Qaeda sono finite. C’è la sensazione che Benladen e compagni abbiano imboccato una strada senza uscita nell’esteso labirinto mediorientale

Al Qaeda boomerang dell’islam. Avvenire 4 aprile 2008 Le vie di Al Qaeda sono finite. C’è la sensazione che Benladen e compagni abbiano imboccato una strada senza uscita nell’esteso labirinto mediorientale. Gilles Kepel, fra i più autorevoli studiosi del fondamentalismo islamico, parla senza troppi giri di parole di ’vicolo cieco’. Professore di Studi sul Medio Oriente e Mediterraneo presso l’Istituto di Studi politici di Parigi, Kepel ieri ha tenuto una conferenza all’Università Cattolica di Milano su: «Le strade dell’Islam. Il Medio Oriente tra Erdogan, Ahma e Bin Laden». All’incontro promosso dal Cipmo (Centro italiano per la pace in Medio Oriente) erano presenti anche Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni internazionali alla Cattolica, e Janiki Cingoli, direttore del Cipmo. Professor Kepel, lei da tempo sostiene che Al Qaeda sarebbe in declino. Eppure c’è il forte sospetto che invece si stia espandendo anche nel Maghreb. E gli ultimi messaggi diffusi su Internet assicurano di un Benladen vivo e in ottima salute.... «Sono convinto che ormai parliamo di piccole cellule. Come potrebbe essere nel caso degli attentati in Africa Settentrionale. Ma la verità è che Al Qaeda in questi anni si è molto indebolita. Che Benladen non sia morto non ha importanza, dal momento che vive su Internet. ’Al Qaeda’ in arabo significa la ’base’, che può benissimo riferirsi al moderno ’database’: questi terroristi si ritrovano su Internet e grazie alla rete son riusciti a globalizzarsi. Si sono serviti del network per spettacolarizzare le loro azioni criminali, come nel caso del crollo delle Torri Gemelle. Oggi però non sarebbero più capaci di organizzare attentati di simili proporzioni. Internet è stata la loro forza, ma anche il loro punto debole. Perché essere presenti in rete o sulle televisioni non significa conquistare il potere. Il problema di Al Qaeda è stato sempre quello di radicarsi su un territorio: non è un movimento come Hamas in Palestina o gli Hezbollah in Libano. Al Qaeda non riesce a mobilitare le masse». Come spiega questo fallimento? «Bisogna leggere il fenomeno del terrorismo jihadista non con lo schema dello scontro di civiltà. Ma come una ’fitna’, una guerra nel cuore dell’Islam, al fine di conquistare le masse e fondare uno Stato musulmano fondato sulla ’shar’ia’ (la legge islamica). Questo è sempre stato l’obiettivo principale del medico egiziano Ayman al Zawahiri, la vera mente di Al Qaeda. Lui è l’ideologo, il Lenin del movimento jihadista. stato lui a prendere atto che la strategia jihadista perseguita negli anni Novanta era fallita: attaccare gli Stati empi (Egitto, Algeria, Arabia Saudita) per instaurare lo Stato islamico non aveva portato frutti. Occorreva individuare un altro bersaglio: l’America e l’Occidente, nemici mortali dell’Islam. Da qui abbiamo avuto l’11 settembre 2001 e le stragi in Europa e in ogni angolo del pianeta. L’intervento americano in Iraq, nel cuore del mondo arabo, ha fornito l’ennesimo pretesto agli uomini di Benladen di presentarsi come l’avanguardia della resistenza conto i ’crociati’. Ma la scelta di Al Qaeda di servirsi degli attentati suicida si è rivelata un boomerang…». In che senso? «La maggioranza delle vittime erano musulmane e sciite. Non dimentichiamo che gli jihadisti sono estremisti sunniti, in un Paese in cui la popolazione è sciita ben oltre il 60 per cento. L’’operazione martirio’ di Al Qaeda ha finito per produrre lo scollamento della gente e la reazione durissima degli sciiti d’Iraq supportati dall’Iran. Nonostante l’appoggio di qualche tv araba che organizzava raccolte di fondi per le famiglie dei martiri, oggi Benladen e i suoi sono abbandonati perfino dai leader della minoranza sunnita. Al Zawahiri è criticato anche dai suoi. Al Qaeda per trovare combattenti è costretta ad arruolare bambini e persone disabili come mostrano gli ultimi filmati». Quanto hanno pesato le scelte degli Usa sull’ascesa dell’Iran? «Tanto. Ahmadinejad accolto con tutti gli onori in un Iraq sotto protettorato americano è il segno del fallimento della politica di Bush. Gli americani volevano fare dell’Iraq uno stato democratico modello per tutti gli altri Paesi dell’area, ma hanno di fatto permesso che l’Iran diventasse la nuova potenza egemonica del Golfo Persico, il polmone energetico della Terra. Eppure nel 2001 l’Iran aveva collaborato con gli Usa nella lotta ai Talebani in Afghanistan. Ma Bush l’anno successivo ha annoverato l’Iran tra le forze dell’asse del male, spegnendo così ogni tentativo di dialogo e favorendo l’ascesa di Ahmadinejad. Oggi però dopo il doppio fallimento degli Stati Uniti e di Al Qaeda è il momento propizio per rilanciare un nuovo piano di equilibrio in Medio Oriente. L’Europa che finora ha fatto poco o nulla deve prendere l’iniziativa. C’è bisogno di guardare all’Islam senza paura. Mi aspetto molto dalla Turchia perché è l’unico paese islamico in cui vige un tipo di democrazia, forse anche perché si trova in un territorio in cui non ci sono grandi risorse. Erdogan ha all’interno del suo partito forze che spingono per l’islamizzazione della società, ma anche quelli che vogliono un allineamento agli stili di vita europei. Un’Europa allargata dal Mar Baltico fino al Golfo Persico può creare insieme agli Stati arabi del Golfo una nuova strada di stabilità e sviluppo in Medio Oriente». «L’uso dei kamikaze è stata una scelta sbagliata. Il movimento jihadista con gli attentati ha ucciso soprattutto musulmani. Allontanando la gente» ANTONIO GIULIANO